Imparate a fare il bene

Nella pericope biblica scelta quale tema per la Settimana di preghiera per l’unità, il profeta Isaia ci mostra come curare questi mali. Imparare a fare il bene richiede la decisione di impegnarsi in un esame di coscienza.
La Settimana di preghiera è il momento più adatto perché i cristiani riconoscano che le divisioni tra le chiese e le confessioni non sono poi tanto diverse dalle divisioni all’interno della più ampia famiglia umana. Pregare insieme per l’unità dei cristiani ci permette di riflettere su ciò che ci unisce e di impegnarci a combattere l’oppressione e la divisione della famiglia umana.
Il profeta Michea sottolinea che Dio ci ha detto ciò che è bene e che cosa vuole da noi: “Praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio”.
Agire con giustizia significa avere rispetto per tutte le persone.
La giustizia richiede un trattamento veramente equo per superare le condizioni sfavorevoli, sviluppatesi nella storia, a motivo della “razza”, del genere, della religione e del livello socio-economico. Vivere con umiltà davanti a Dio richiede pentimento, ammenda e infine riconciliazione. Dio si aspetta da noi che, uniti, condividiamo la responsabilità per l’uguaglianza tra tutti i suoi figli e le sue figlie. L’unità dei cristiani dovrebbe essere segno e pegno dell’unità riconciliata dell’intera creazione. Al contrario, la divisione tra cristiani indebolisce la forza di quel segno, e finisce per acuire la divisione piuttosto che portare guarigione alle ferite e alla vulnerabilità del mondo che è, invece, la missione della Chiesa.

Isaia, ai suoi tempi, sfidò il popolo di Dio a imparare a fare il bene insieme; a cercare insieme la giustizia, ad aiutare insieme gli oppressi, a proteggere gli orfani e difendere le vedove insieme.
La sfida del profeta si applica anche a noi oggi: come possiamo vivere la nostra unità di cristiani per affrontare i mali e le ingiustizie del nostro tempo? Come possiamo impegnarci nel dialogo e crescere nella reciproca consapevolezza, comprensione e condivisione delle esperienze vissute?
La nostra preghiera e il nostro incontrarci con il cuore hanno il potere di trasformarci, come individui e come comunità. Apriamoci alla presenza di Dio in ogni nostro incontro, mentre chiediamo la grazia di essere trasformati, di smantellare i sistemi di oppressione e di guarire dal peccato della divisione. Insieme, impegniamoci nella lotta per la giustizia nella nostra società. Tutti noi apparteniamo a Cristo.

Imparate a fare il bene e cercate la giustizia (Is. 1,17)

È questa perentoria affermazione del profeta Isaia che le sorelle e i fratelli del Minnesota (USA) pongono alla nostra riflessione per la preghiera comune di quest’anno. È un ammonimento che riceviamo, da comprendere anzitutto nel contesto più generale del linguaggio profetico. Il pensiero 693 del filosofo francese Blaise Pascal ci esorta: “senza la voce dei profeti, non sapremmo chi ci ha messo in quest’angolo di universo, che cosa siamo venuti a fare e che cosa diventeremo morendo”.
Niente meno di questo ci pone sotto gli occhi la pagina profetica che ci guiderà nella preghiera quest’anno.

L’unità dei cristiani

In questa Settimana, la Chiesa di Cristo invita i suoi figli a pregare per la così tanto desiderata, ma così lacerata nei secoli, unità visibile della Chiesa. Rivolge questo invito sempre inalterato nei momenti felici, nei momenti di guerra, di carestie, di malattie. Non lo rivolge riferendosi all’uomo, stressato da tante preoccupazioni e dalle tentazioni tramite le quali la nostra epoca cerca di distrarlo, rendendolo indifferente verso le questioni di fede, ma lo rivolge, perlopiù, alle conseguenze che queste distrazioni e tentazioni, in generale, portano, come la paura, l’angoscia, la mancanza di fiducia verso il prossimo, che potenzialmente rischia di diventare la causa della nostra sofferenza. L’umanità di oggi si richiude in se stessa, cerca di recidere i rapporti con il prossimo e vivere non soltanto in una separatezza fisica, ma in un isolamento spirituale, che fa crescere a dismisura la sua solitudine e la sua sofferenza psicofisica.

Arenandosi nella loro solitudine esistenziale, gli uomini e le donne di oggi gridano a se stessi e si chiedono: ma che valore può avere la nostra preghiera davanti alle tante divisioni che strappano l’unica tunica di Cristo? Che valore può avere la preghiera di fronte al dominio della morte? Non si può rispondere a queste domande, se prima l’essere umano non accetta spiritualmente il grande evento della Visita Divina. Tante volte le condizioni della vita umana induriscono il cuore e la grazia di Dio fa fatica a penetrarlo. Per poter capire e accettare chi è Colui che ci visita e al Quale rivolgiamo la preghiera, l’uomo deve preparare il presepio della sua anima, non tramite un cambiamento esteriore o attraverso uno sterile perfezionamento morale. Ci vuole la conversione di tutto il nostro essere, accettare Cristo come il Signore della nostra vita, accogliendolo nella nostra anima, pur sapendo che essa assomiglia più ad una stalla, riempita da tutto ciò che ci affligge e ci opprime. È molto bello il paragone che i Padri fanno tra anima e stalla.
Come Cristo si è degnato di nascere in una stalla, così si degna e sì rallegra quando entra nella nostra anima convertita

Stando insieme come comunità cristiana, pregando, elevando suppliche e dossologia al nostro unico Salvatore in ogni giorno di questa Settimana, nella celebrazione dell’Eucaristia, riviviamo anche noi misticamente quella notte, dove il cielo e la terra si sono uniti in un’unica lode. Illuminati dal comune battesimo, insieme siamo come piccole stelle che adornano in modo intellegibile il cielo spirituale della Chiesa di Cristo e l’intero universo. Una grande casa capace di accogliere il prossimo non come straniero ma quale fratello e sorella che cerca una famiglia dove trovare sollievo, luce e speranza.

In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo

Come Lui, che per divina condiscendenza riceve ciò che è nostro, escluso il peccato, ci invita ogni anno a preparare la nostra anima e il nostro corpo per farne Sua dimora regale, così ci invita a pregare e a collaborare per la riconciliazione e il superamento delle nostre divisioni. Cristo nasce e diventa bambino per la nostra salvezza. Come gli angeli, i magi, i pastori e l’intera creazione Lo hanno accolto con devozione e la stella l’ha manifestato ai popoli, così spetta a noi convertirci ed unirci nell’unico corpo mistico per lodare ed inneggiare, con una sola voce ed un solo cuore, il Suo onorabilissimo e magnifico Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

L’unità dei cristiani

In questa Settimana, la Chiesa di Cristo invita i suoi figli a pregare per la così tanto desiderata, ma così lacerata nei secoli, unità visibile della Chiesa. Rivolge questo invito sempre inalterato nei momenti felici, nei momenti di guerra, di carestie, di malattie. Non lo rivolge riferendosi all’uomo, stressato da tante preoccupazioni e dalle tentazioni tramite le quali la nostra epoca cerca di distrarlo, rendendolo indifferente verso le questioni di fede, ma lo rivolge, perlopiù, alle conseguenze che queste distrazioni e tentazioni, in generale, portano, come la paura, l’angoscia, la mancanza di fiducia verso il prossimo, che potenzialmente rischia di diventare la causa della nostra sofferenza. L’umanità di oggi si richiude in se stessa, cerca di recidere i rapporti con il prossimo e vivere non soltanto in una separatezza fisica, ma in un isolamento spirituale, che fa crescere a dismisura la sua solitudine e la sua sofferenza psicofisica.

Arenandosi nella loro solitudine esistenziale, gli uomini e le donne di oggi gridano a se stessi e si chiedono: ma che valore può avere la nostra preghiera davanti alle tante divisioni che strappano l’unica tunica di Cristo? Che valore può avere la preghiera di fronte al dominio della morte? Non si può rispondere a queste domande, se prima l’essere umano non accetta spiritualmente il grande evento della Visita Divina. Tante volte le condizioni della vita umana induriscono il cuore e la grazia di Dio fa fatica a penetrarlo. Per poter capire e accettare chi è Colui che ci visita e al Quale rivolgiamo la preghiera, l’uomo deve preparare il presepio della sua anima, non tramite un cambiamento esteriore o attraverso uno sterile perfezionamento morale. Ci vuole la conversione di tutto il nostro essere, accettare Cristo come il Signore della nostra vita, accogliendolo nella nostra anima, pur sapendo che essa assomiglia più ad una stalla, riempita da tutto ciò che ci affligge e ci opprime. È molto bello il paragone che i Padri fanno tra anima e stalla.
Come Cristo si è degnato di nascere in una stalla, così si degna e sì rallegra quando entra nella nostra anima convertita

Stando insieme come comunità cristiana, pregando, elevando suppliche e dossologia al nostro unico Salvatore in ogni giorno di questa Settimana, nella celebrazione dell’Eucaristia, riviviamo anche noi misticamente quella notte, dove il cielo e la terra si sono uniti in un’unica lode. Illuminati dal comune battesimo, insieme siamo come piccole stelle che adornano in modo intellegibile il cielo spirituale della Chiesa di Cristo e l’intero universo. Una grande casa capace di accogliere il prossimo non come straniero ma quale fratello e sorella che cerca una famiglia dove trovare sollievo, luce e speranza.

Rimanendo in Cristo, sorgente di ogni amore cresce il frutto della comunione

La comunione in Cristo richiede la comunione con gli altri. Doroteo di Gaza, un monaco della Palestina del VI secolo, lo esprime con queste parole: “Immaginate un cerchio disegnato per terra, cioè una linea tracciata come un cerchio, con un compasso e un centro. Immaginate che il cerchio sia il mondo, il centro sia Dio e i raggi siano le diverse strade che le persone percorrono. Quando i santi, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, nella misura in cui penetrano al suo interno, si avvicinano l’un l’altro e più si avvicinano l’uno all’altro più si avvicinano a Dio. Comprendete che la stessa cosa accade al contrario, quando ci allontaniamo da Dio e ci dirigiamo verso l’esterno. Appare chiaro, quindi, che più ci allontaniamo da Dio, più ci allontaniamo gli uni dagli altri e che più ci allontaniamo gli uni dagli altri, più ci allontaniamo da Dio”.

Avvicinarci agli altri, vivere insieme in comunità con altre persone, a volte molto diverse da noi, costituisce una sfida. Non vi è amicizia senza sofferenza purificatrice, non vi è amore per il prossimo senza la croce. Solo la croce ci permette di conoscere l’imperscrutabile profondità dell’amore”. Le divisioni tra i cristiani, il loro allontanamento gli uni dagli altri, è uno scandalo perché significa anche allontanarsi ancor di più da Dio. Molti cristiani, mossi dal dolore per questa situazione, pregano ferventemente Dio per il ristabilimento dell’unità per la quale Gesù ha pregato. La sua preghiera per l’unità è un invito a tornare a lui e, conseguentemente, a riavvicinarci gli uni gli altri, rallegrandoci della nostra diversità.

Come impariamo dalla vita comunitaria, gli sforzi per la riconciliazione costano e richiedono sacrifici. Siamo sostenuti, però, dalla preghiera di Cristo che desidera che noi siamo una cosa sola, come lui è con il Padre, perché il mondo creda.

Rimanere in Cristo per produrre frutto

“La gloria del Padre mio risplende quando voi portate molto frutto” (Gv 15, 8). Non possiamo portare frutti da noi stessi. Non possiamo produrre frutto separati dalla vigna. È la linfa, la vita di Gesù che scorre in noi, che produce frutto. Rimanere nell’amore di Gesù, rimanere un tralcio della vite, è ciò che permette alla sua vita di scorrere in noi. Quando ascoltiamo Gesù, la sua vita scorre in noi; Egli ci invita a lasciare che la sua parola dimori in noi e allora qualsiasi nostra richiesta sarà esaudita. Per la sua parola portiamo frutto. Come persone, come comunità, come Chiesa desideriamo unirci a Cristo per il conservare il suo comandamento di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati.

Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto

(cfr. Gv 15,5-9)

Gesù disse ai suoi discepoli: “Rimanete nel mio amore”. Egli rimane nell’amore del Padre e non desidera altro che condividere questo amore con noi: “Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio”. Innestati nella vite, che è Gesù stesso, il Padre diviene il vignaiolo che ci pota per farci crescere. È la descrizione di quanto avviene nella preghiera: il Padre è il centro della nostra vita, Colui che ci ricentra, ci pota e ci rende un tutt’uno, e un’umanità resa tutt’uno rende gloria al Padre. Rimanere in Cristo è un atteggiamento interiore che mette radici in noi nel tempo, che richiede uno spazio per crescere e che può essere sopraffatto dalla quotidiana lotta per le necessità della vita, e minacciato dalle distrazioni, dal rumore, dalle troppe attività e dalle sfide della vita.

Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto

(cfr. Gv 15,5-9)

Anche quest’anno, dal 18 al 25 gennaio, si celebra la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani.                   Si tratta di un tempo di grazia nel quale le diverse  Confessioni cristiane pregano per realizzare l’unità voluta da Cristo per la sua Chiesa e riflettono sui passi di riconciliazione compiuti finora, rinnovando la consapevolezza di essere tutte in cammino verso Cristo, “via, verità e vita”. Il Cristo, infatti, è l’unica “Vite” dalla quale traggono forza e nutrimento i numerosi tralci ed è proprio questa immagine evangelica che ha ispirato il tema guida dell’edizione 2021 della Settimana di preghiera: «Rimanete nel mio  amore: produrrete molto frutto» (Gv 15, 5-9). I frutti del dialogo tra le Confessioni hanno portato a ripensare nel corso della sua storia secolare questo appuntamento spirituale, inizialmente noto, fin dalla sua origine nel 1908, come Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, affinché fosse sempre più occasione ed espressione del cammino comune verso l’unità. Il Sussidio è stato redatto dalla Comunità Monastica femminile di Granchamp, nata in Svizzera negli anni Trenta del secolo scorso da un gruppo di donne di tradizione riformata e che oggi conta una cinquantina di membri, tutte diverse per età, provenienza e tradizione ecclesiale. Le caratteristiche costitutive di questa Comunità – preghiera, vita comunitaria e ospitalità – sono la base delle riflessioni che proposte per la Settimana di preghiera di quest’anno, offrono una chiave di lettura originale ed ecumenicamente condivisa del sofferto e  complicato momento storico che stiamo attraversando e che coinvolge direttamente tutte le Confessioni cristiane. La preghiera, infatti, che ritma la vita monastica è mezzo e segno dell’unità, illumina la vita comunitaria e apre all’ospitalità. L’ascolto della Parola di Dio apre alla comunione d’intenti tra le Confessioni cristiane, getta luce sulle relazioni umane, facendo desiderare «di conservare il suo comandamento di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati». Ma quanto accade tra le mura del monastero diviene via e possibilità per tutti i discepoli di Cristo.