Le offerte che verranno deposte nella bussola, all’ingresso della Chiesa,saranno consegnate secondo questa intenzione.
La Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato dal 1914. È sempre stata un’occasione per dimostrare la preoccupazione per le diverse categorie di persone vulnerabili in movimento, per pregare per loro mentre affrontano molte sfide, e per aumentare la consapevolezza sulle opportunità offerte dalla migrazione.
«Le conflittualità e le emergenze umanitarie, aggravate dagli sconvolgimenti climatici, aumentano il numero di sfollati e si ripercuotono sulle persone che già vivono in stato di grave povertà. Molti dei Paesi colpiti da queste situazioni mancano di strutture adeguate che consentano di venire incontro ai bisogni di quanti sono stati sfollati» (Papa Francesco – 9 gennaio 2020).
Ho deciso di dedicare questo Messaggio al dramma degli sfollati interni, un dramma spesso invisibile, che la crisi mondiale causata dalla pandemia COVID-19 ha esasperato. Questa crisi, infatti, per la sua veemenza, gravità ed estensione geografica, ha ridimensionato tante altre emergenze umanitarie che affliggono milioni di persone, relegando iniziative e aiuti internazionali, essenziali e urgenti per salvare vite umane, in fondo alle agende politiche nazionali. Ma «non è questo il tempo della dimenticanza. La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano con sé i patimenti di molte persone» (Papa Francesco: Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020).
Vorrei partire dall’icona che ispirò Papa Pio XII nel redigere la Costituzione Apostolica Exsul Familia (1 agosto 1952). Nella fuga in Egitto il piccolo Gesù sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo «segnata da paura, incertezza, disagi (cfr Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà. Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie» (Angelus, 29 dicembre 2013).
In ciascuno di loro è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella (cfr Mt 25,31-46). Se lo riconosciamo, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire. Le persone sfollate ci offrono questa opportunità di incontro con il Signore, «anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo: coi vestiti rotti, con i piedi sporchi, col volto deformato, il corpo piagato, incapace di parlare la nostra lingua» (Omelia, 15 febbraio 2019).
Si tratta di una sfida pastorale alla quale siamo chiamati a rispondere con i quattro verbi che ho indicato nel Messaggio per questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ad essi vorrei ora aggiungere sei coppie di verbi che corrispondono ad azioni molto concrete, legate tra loro in una relazione di causa-effetto.
Bisogna conoscere per comprendere. È necessario farsi prossimo per servire.
Per riconciliarsi bisogna ascoltare. Per crescere è necessario condividere.
Bisogna coinvolgere per promuovere. È necessario collaborare per costruire.