“Giubileo, rigenerazione della terra e speranza per l’umanità”

CEI: 75ª GIORNATA NAZIONALE DEL RINGRAZIAMENTO

La pratica cristiana del Giubileo affonda le sue radici nell’Antico Testamento, riletto in relazione alla pienezza della salvezza che si realizza in Gesù Cristo, Colui che pro-clama e compie «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4, 19). Nel celebrare l’Anno Santo rileggiamo le indicazioni che vengono dai primi libri della Bibbia, di grande rilievo per la cura del lavoro della terra e delle relazioni. Già Papa Francesco, nella Laudato si’, aveva invitato a scorgere nella Scrittura «la riscoperta e il rispetto dei ritmi inscritti nella natura dalla mano del Creatore» (n.71). Anzitutto il senso del sabato (cf. Dt 5, 12-15), nel quale il Popolo di Dio custodiva la memoria grata dell’opera del Creatore, che fa del settimo giorno un tempo di libertà dal lavoro per tutti gli esseri umani e anche per quei viventi che in esso sono coinvolti: tempo di ricreazione e di festa, di discontinuità rispetto all’operare feriale. La Scrittura invita a estendere tale logica del sabato anche alla terra, ogni sette anni: «la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai la tua vigna» (Lv 25, 2b-4). Ogni sette volte, poi, tale sabato della terra viene celebrato con solennità anche maggiore: «Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. (…) Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate» (Lv 25, 8-9.11). La celebrazione del Giubileo ci insegna ad essere grati per i doni che riceviamo e a non dimenticare mai che la terra è di tutti: «Facendo eco alla parola antica dei profeti, il Giubileo ricorda che i beni della Terra non sono destinati a pochi privilegiati, ma a tutti. È necessario che quanti possiedono ricchezze si facciano generosi, riconoscendo il volto dei fratelli nel bisogno» (Spes non confundit, 16). Dal Giubileo emergono alcune istanze che interpellano la nostra responsabilità, per dare segnali di speranza al nostro tempo. Un tempo di festa e di giusta discontinuità dal lavoro, che lo umanizzi e gli dia senso, dona speranza a tutti. Riposare ci rende umani, delimitare la pratica del lavoro – nella qua-le pure corrispondiamo alla volontà di Dio – apre spazi per vivere le relazioni con lo stesso Signore e con i fratelli per godere di questi beni e per rendere grazie a Dio. Recuperare il senso del Giorno del Signore, che ci vede riuniti per celebrare l’Eucarestia, e del riposo da ogni tipo di lavoro, anche quello agricolo, permette ai cristiani di vivere e di far vivere nelle proprie aziende un tempo nel quale possono costantemente guardare i beni della terra con gratitudine e coltivare meglio le relazioni familiari e con le proprie comunità. Dona speranza la restituzione di dignità che scaturisce dall’an-no sabbatico, perché ci fa volgere lo sguardo a tanti fratelli, soprattutto immigrati, che vengono sfruttati nel lavoro dei campi, che non sempre si ve-dono riconosciuto il giusto salario nel triste fenomeno del caporalato, forme di previdenza, tempi di riposo. L’Anno Giubilare viene anche perché gli imprenditori agricoli che trattano in questo modo gli operai abbiano un sussulto di coscienza e donino speranza a tanti uomini e donne continuamente sfruttati. L’attenzione alla pausa della festa interessa gli esseri umani, ma anche quei viventi che sono coinvolti nelle varie attività; anche per essi siamo richiamati ad una giusta attenzione al benessere, evitando di farne meri strumenti al nostro servizio. Non a caso l’Enciclica Laudato si’ richiama proprio la legislazione sul sabato, prendendo le distanze da forme di «antropocentrismo dispotico» che non si interessa delle altre creature (cf. 68). Anche ogni impegno che contrasta lo spreco alimentare è un modo per essere grati dei doni di Dio ed es-sere solidali con tanti fratelli che non hanno accesso a tan-ti beni. Assume una particolare forza, nell’attuale crisi socio-ambientale, il richiamo al riposo della terra, un segno dei tempi a cui invita a guardare anche la Bolla Spes non confundit. Oggi è possibile contemperare la pratica del coltivare la terra con la sua custodia (cf. Gen 2,15) attraverso un nuovo paradigma di coltivazione. La cura della casa comune ed il contrasto al mutamento climatico, a cui richiama l’Esortazione apostolica Laudate Deum, sono impegni che devono vedere in prima fila il mondo agricolo e il sistema agro-alimentare, dal campo al consumatore. Questa nuova visione dell’agricoltura deve basarsi su pratiche agro-ecologiche che valorizzino la terra senza sfruttarla oltre misura, rigenerando la fertilità e salvaguardando l’ambiente e la salubrità dei prodotti alimentari. Dal Giubileo viene una saggezza che siamo chiamati a interpretare perché illumini le buone pratiche agricole del nostro tempo, che vanno conosciute e condivise. Grazie ad essa possiamo abitare la terra dando speranza anche alle generazioni future, sapendo che il Signore benedice chi si prende cura delle sue creature.

Lettura, riflessione e musica a 800 anni dal Cantico delle Creature

Altissimo, onnipotente, buon Signore tue sono le lodi, la gloria e l’onore ed ogni benedizione. A te solo, Altissimo, si confanno, e nessun uomo è degno di te.
Laudato sii, o mio Signore, per tutte le creature, specialmente per messer Frate Sole, il quale porta il giorno che ci illumina ed esso è bello e raggiante con grande splendore: di te, Altissimo, porta significazione.
Laudato sii, o mio Signore, per sora Luna e le Stelle: in cielo le hai formate limpide, belle e preziose.
Laudato sii, o mio Signore, per frate Vento e per l’Aria, le Nuvole, il Cielo sereno ed ogni tempo per il quale alle tue creature dai sostentamento.
Laudato sii, o mio Signore, per sora Acqua, la quale è molto utile, umile, preziosa e casta.
Laudato sii, o mio Signore, per frate Fuoco, con il quale ci illumini la notte: ed esso è robusto, bello, forte e giocon-do.
Laudato sii, o mio Signore, per nostra Madre Terra, la quale ci sostenta e governa e produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba.
Laudato sii, o mio Signore, per quelli che perdonano per amor tuo e sopportano malattia e sofferenza.
Beati quelli che le sopporteranno in pace perchè da te saranno incoronati.
Laudato sii, o mio Signore, per nostra sora Morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scampare. Guai a quelli che morranno nel peccato mortale.
Beati quelli che si troveranno nella tua volontà poiché loro la morte non farà alcun male.
Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo e servitelo con grande umiltate.

San Martino di Tours

Signore nostro Dio, Ti rendiamo grazie per la vita e la testimonianza di San Martino di Tours, che ha brillato come faro di carità, fede e devozione nel suo tempo. San Martino di Tours, Tu che hai di-mostrato l’amo-re per il prossimo condividendo il tuo mantello con un mendicante, e che hai dedicato la tua vita a diffondere la fede cristiana, intercedi per noi presso Dio. Aiutaci a vivere con generosità e compassione, a riconoscere la presenza di Dio in ogni persona che incontriamo, e a servire il prossimo con cuore umile e disinteressato. San Martino di Tours, Tu che hai guidato tante anime verso la luce della fede, ispiraci a essere testimoni viventi del Vangelo e a rispondere con gioia alla chiamata della missione cristiana. Proteggici nei momenti di dubbio e di incertezza, e sostienici nel nostro cammino verso la santità e la verità. San Marti-no di Tours, Patrono dei soldati, dei cavalieri e degli indigenti, intercedi per noi presso Dio, affinché possiamo camminare con co-raggio e determinazione sul cammino della fede e della carità.

Autenticità della vita di fede

Adorare in Spirito e Verità

Il palazzo del Laterano, proprietà della famiglia imperiale, diventò nel IV secolo abitazione privata del papa; la basilica adiacente, dedicata a Gesù Salvatore, fu la prima cattedrale del mondo; dedicata poi anche ai due santi Giovanni, il Battista e l’Evangelista, per molto tempo fu considerata la chiesa-madre di Roma e ospitò anche i lavori di cinque grandi concili ecumenici. Questa festa la troviamo inserita nel calendario universale a parti-re dal 1565; all’inizio fu una festa della sola città di Roma, poi la celebrazione fu estesa alle chiese di rito romano per onorare la «chiesa-madre di tutte le chiese» e come segno di amore e di unione con la cattedra di Pietro. Unendosi alla Chiesa romana, le Chiese di tutto il mondo oggi le riconoscono la «presidenza della carità», di cui parlava sant’Ignazio di Antiochia. Lo stesso avviene per la festa della dedicazione della chiesa cattedrale di ogni diocesi, alla quale sono «legate» tutte le parrocchie che ne dipendono.
Ogni chiesa è dedicata a Dio, e intende esaltarlo; la sigla DOM (Deo Optimo Maximo, A Dio, il più buono, il più grande) campeggia sui frontoni degli edifici sacri. Quella di oggi è una festa del Figlio di Dio che si è fatto uomo, ha messo la sua tenda tra noi; Gesù risorto è presente nella sua Chiesa: ne è il capo. Le chiese di pietra sono un segno di questa presenza di Gesù: è lui che vi parla, dà se stesso in cibo, presiede la comunità raccolta in preghiera. Nella festa della dedicazione della Basilica Lateranense, ogni comunità locale di rito latino, oltre a esprimere la propria comunione con la Sede di Pietro, ricorda e celebra anche la dedicazione della propria chiesa locale, piccola o grande che sia. Gesù insegna che il tempio di Dio è, primariamente, il cuore dell’uomo che ha accolto la sua Parola. Parlando di sé e del Padre dice: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), e san Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «Non sapete che voi siete tempio di Dio?» (1 Cor 3,16). A che titolo, allora, noi cristiani diamo tanta importanza alla chiesa, se ognuno di noi può adorare il Padre «in spirito e verità» nel proprio cuore? Perché questo obbligo di recarci in chiesa ogni domenica? La ri-sposta è che Gesù Cristo non ci salva separatamente gli uni dagli altri; egli è venuto a formarsi un popolo, una comunità di persone, in comunione con lui e tra di loro.
Di questa realtà universale e invisibile, l’edificio sacro è segno visibile. Esso è il luogo privilegiato del nostro incontro con Dio perché è il luogo dove si realizza e si rende visibile la comunità cristiana. Il nome ecclesia (che significa «convoco») gli viene proprio da questo fatto: dall’essere il luogo dove si riuniscono «i chiamati» da Dio in Gesù Cristo. La chiesa è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, soprattutto perché è il luogo dove risuona la paro-la di Cristo e dove si celebra il suo memoriale che è l’eucaristia. L’edificio ecclesiale è il luogo privilegiato in cui poter fare anche oggi l’esperienza del sacro. Quante persone hanno incontrato Dio semplicemente entrando un giorno in una chiesa! Una di queste è il poeta Paul Claudel che ritrovò la fede, entrando una sera, mentre si celebravano i vespri, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi: «Tutta la fede della Chiesa», disse egli più tardi, «entrò in quel momento dentro di me». Per questo è necessario preservare, o restituire, alle nostre chiese il clima di silenzio, di rispetto e di compostezza che si ad-dice loro. Quello che Gesù diceva del tempio di Gerusalemme vale ancor più per i templi cristiani: «La mia casa è casa di preghiera». Bisogna stare attenti a non «profanare» la chiesa. Ogni parola inutile, detta ad alta voce come se si fosse sulla pubblica piazza, specie durante le funzioni, è un’offesa alla santità del luogo, e diminuisce la capacità che esso ha di favorire l’incontro con Dio. Un profondo silenzio al momento della consacrazione parla, a volte, più eloquentemente che non tutte le parole. C’è un bel salmo, scritto per celebrare la gioia di ritrovarsi nella casa del Signore, ospiti nel tempio santo di Dio: «Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi. Un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove» (Sal 84,2).

Dalla morte verso la Vita

«Ammettili a godere la luce del tuo volto».

La liturgia non ha pianti, perché ciò di cui essa fa memoria non è la morte, ma la speranza della risurrezione. La liturgia non ha lacrime, se non asciugate dalla mano di Dio, perché essa non è memoria della lacerazione, ma profezia di futuro, di nuova comunione. «Se tu fossi stato qui mio fratel-lo non sarebbe morto». La fede generosa di Marta, sopraffatta dell’emozione, si sbaglia. È quello che pensiamo anche noi: in questo mio dolore, dov’è Dio? Se Dio esiste, perché tanti morti innocenti? Se Tu sei qui, i miei cari non moriranno… E invece Dio è qui, sempre, ma non come esenzione dalla morte. Gesù mai ha promesso che i suoi non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita lunghissima, un infinito sopravvivere. Per Gesù l’essenziale non è il non morire, ma il vivere. E il vi-vere una vita risorta (Pozzoli). L’eternità è già en-trata in noi, entra in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede, con i gesti del quotidiano amore. Il Signore ci insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che non della morte. A temere di più una vita vuota e inutile che non l’ultima fron-tiera che oltrepasseremo aggrappandoci forte al cuore che non ci lascerà cadere. La vita eterna è la cosa più seria e più forte che Gesù ha preparato per noi. Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né angeli né demoni, né vita né morte, nulla ci potrà mai separare dall’amore di Dio (Rom 8,35-37). Que-sta certezza mi basta. Se Dio è amore, mi vendiche-rà della mia morte. La sua vendetta è la risurrezio-ne, un amore mai più separato. Dio salva, è il suo nome. Salvare significa conservare. E nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere d’acqua fresca, neanche il più piccolo filo d’erba. Una pre-ghiera per i defunti, forse la più bella, invoca: am-mettili a godere la luce del tuo volto. I verbi della fede (adorare, lodare…) cedono ad un verbo umile e forte, inerme ed umanissimo: godere. La ragione cede alla gioia. La stessa fede cede al godimento. L’eternità fiorisce nei verbi della gioia, non nell’an-sia del ragionamento. Perché Dio, nella sua più in-tima essenza, non risponde al nostro bisogno di spiegazioni, ma al nostro bisogno di felicità. Per lo spirito, ma anche per gli affetti, per il cuore, per gli occhi, per tutto il mio essere. L’esperienza dell’uo-mo dice che tutto va dalla vita verso la morte. La fede cristiana dichiara invece che tutto va dalla morte alla vita. Dalla terra, dove nessun uomo può restare a vivere, le porte della morte conducono verso l’eterno Ma su che cosa si aprono i battenti di questa porta? Sulla Vita risorta!

(Ermes Ronchi)

Messe dei defunti: indicazioni

Il ricordo e la preghiera per i defunti sono grandi gesti di carità. Il modo migliore per sentirci in comunione di vita con i nostri cari è quello di celebra-re l’Eucaristia e di ritrovarci uniti in Cristo, il Crocifisso Risorto. Nelle nostre comunità è forte la tra-dizione, bella e significativa, di far celebrare Ss. Messe secondo l’intenzione dei defunti.
Quando e dove è meglio segnare le intenzioni?
L’invito rivolto a tutti è quello di indicare le proprie intenzioni con almeno un mese di anticipo rispetto alla data richiesta. Per segnare tali intenzioni ci si può rivolgere a Don Gianmario per San Fiorano, Don Daniele per Corno Giovine, Virginia per Cornovecchio, Gabriele per la Chiesa di San Rocco. Sono da evitare intenzioni aggiunte all’ultimo momento o foglietti volanti, che poi si disperdono e rendono difficile l’effettiva registrazione e celebrazione della S. Messa.
Quanto costa una Messa?
La Messa non costa nulla. Solitamente si dà un’offerta che non è destinata al Sacerdote celebrante ma per le necessità della Parrocchia. Ciascuno, se vuole, dà quello che può e crede, consapevole che si tratta di una offerta e non di un prezzo.

La nostra meta

Oggi è la festa della nostra memoria, la memoria storica che prepara il futuro. Facciamo memoria di tutte le persone che ci hanno preceduto e, avendo vissuto bene, adesso sono nella gloria di Dio. La memoria è il ricordo del passato, ma in questo caso è ricordo del futuro: ricordiamo coloro che sono davanti a noi, ci aspettano e costituiscono la nostra meta, il traguardo verso cui anche noi camminiamo. I Santi sono uomini e donne che hanno rea-lizzato la loro vita, sono coloro che hanno sulla fronte il sigillo del Dio vivente. È una immagine che adopera il libro dell’Apocalisse per indicare coloro che hanno nella mente, nel cuore, nell’animo, il progetto stesso di Dio. Che cosa è un sigillo? È un oggetto che noi non adoperiamo più – al massimo parliamo di una lettera sigillata o di un vasetto ben sigillato – nel nostro modo di parlare vuol dire che è chiuso bene. Il sigillo però non è un elemento di chiusura, ma di autenticazione, è come un timbro. Nell’antichità i grandi sovrani adoperavano un anello con dei segni particolari che venivano impressi nella ceralacca, lasciando così un segno di autenticazione. Quando un’autorità mette il sigillo su un documento vuol dire che lo riconosce come autentico: è proprio suo, ha valore. La parola sigillo noi la adoperiamo nella liturgia soprattutto nella celebrazione della Cresima. Chi l’ha già fatta dovrebbe ricordare che cosa gli ha detto il vescovo in quel momento e chi si prepara a farla comincia a comprenderne il significato. Che cosa dice il vescovo al ragazzo che riceve la Cresima? Gli mette una mano sulla testa e con il pollice, bagnato nel sacro Crisma, gli fa un segno di croce sulla fronte dicendo: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”. Eccolo il sigillo di Dio: è quel segno di croce fatto con il Crisma sulla fronte. Non è una chiusura, è un segno di appartenenza: appartieni al Signore, perché ti è stato dato in dono lo Spirito Santo che è il suo amore, la sua forza, la sua capacità di vivere bene. Questo gesto del segno di croce sulla fronte è il primo che si compie nel rito del battesimo. Quando si accoglie un bambino, prima di iniziare la celebrazione, si fa il segno della croce sulla fronte: “Ti segno con il segno della croce”. È il sigillo del Dio vivente – è come mettere il timbro – è molto di più … è mettere dentro la testa il pensiero stesso di Dio. Quand’è che vi fate un segno di croce sulla fronte? Durante la Messa, prima di ascoltare il Vangelo. Talvolta può essere un gesto banale fatto semplicemente senza pensarci, invece è un gesto importante: ascoltando l’annuncio del Vangelo tutti i partecipanti portano la mano alla fronte e si fanno un segno di croce; poi ne fanno uno sulle labbra e un altro sul petto all’altezza del cuore. Quel segno di croce sulla fronte è il sigillo del Dio vivente, è una silenziosa preghiera con cui diciamo al Signore: “Mettimi nella testa le tue idee, dammi la tua mentalità”. Ce lo hanno fatto all’inizio nel battesimo, lo ripete il vescovo solennemente nel giorno della Cresima, lo ripetiamo noi tutta la vita ascoltando il Vangelo. Quando alla fine della vita riceveremo l’Unzione degli infermi, ancora una volta il sacerdote farà sulla nostra fronte un segno di croce: il sacramento della Unzione serve proprio per affidare al Signore una persona che soffre e sta per lasciare la terra.
Dall’inizio alla fine il sigillo del Dio vivente è impresso sulla nostra fronte: perciò deve entrare nel nostro cuore, deve diventare il nostro modo di pensare.
Impariamo dunque a pregare proprio così: “Signore, insegnami a pensare secondo il tuo stile, insegnami a riflettere secondo i tuoi criteri, insegnami a ragionare come ragioni tu, a volere le cose come le vuoi tu, mettimi nella testa la tua parola”. È una preghiera da fare dall’inizio alla fine della vita: “Signore, insegnami quello che devo fare, dammi la forza di fare quello che devo, fammi capire come devo comportarmi, aiutami a fare bene, mettimi nella testa l’idea del tuo
bene”. Ricordiamoci i Santi, che hanno vissuto be-ne e sono felici nella gloria. Noi siamo in cammino verso di loro. Chiediamo al Signore che imprima nella nostra fronte, il sigillo della sua volontà e ci metta in testa il suo modo di vedere perché anche noi possiamo arrivare alla santità eterna.