La Pace verrà

Se tu credi che un sorriso è più forte di un’arma,
Se tu credi alla forza di una mano tesa,
Se tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide,
Se tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo,
Se tu sai scegliere tra la speranza o il timore,
Se tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora…
La Pace verrà.
Se lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore,
Se tu sai gioire della gioia del tuo vicino,
Se l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu,
Se per te lo straniero che incontri è un fratello,
Se tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore,
Se tu sai accettare che un altro, ti renda un servizio,
Se tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora…
La Pace verrà.
Se tu credi che il perdono ha più valore della vendetta,
Se tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria,
Se tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza,
Se tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo, Se tu credi che la pace è possibile, allora…
La Pace verrà.

Avvento, occasione da non perdere

Il tempo in preparazione al Natale di Gesù contiene in sé l’ansia dell’attesa: più che ozio indifferente, un’opportunità da cogliere per dare senso alla vita

«Se invece di voltarci indietro, guarderemo avanti, se invece di guardare le cose che si vedono, avremo l’occhio attento a quelle che non si vedono ancora, se avremo cuori in attesa, più che cuori in rimpianto, nessuno ci toglierà la nostra gioia». Per scorgere e possibilmente raggiungere l’orizzonte indicato da don Primo Mazzolari, l’Avvento cristiano si pone come strada da percorrere senza incertezze. Il tempo liturgico che abbiamo l’opportunità di vivere contiene infatti in sé l’ansia dell’attesa: più che ozio indifferente, una “Fortuna” da cogliere per dare senso alla vita. Un invito straordinariamente importante per la sua collocazione in un contesto – quale quello contemporaneo – dominato dalla fretta, dall’assurda pretesa di stare sempre e ovunque. L’uomo d’oggi suppone di non aver bisogno di nessuno, men che meno del suo prossimo, chino com’è sui piaceri personali, sugli interessi materiali, sull’utile e sull’immediato. Anche i cristiani spesso danno l’impressione di considerare il tempo come un noioso ripetersi privo di sorprese e di novità esistenziali, un infinito cattivo, un eterno presente in cui possono accadere tante cose, ma non la venuta di Gesù Salvatore. E’ la solitudine più nera, il freddo più intenso che si soffre non quando si trova il focolare spento, ma quando non lo si vuol accendere più, neppure per un inatteso “Ospite di passaggio”. Quando pensi, insomma, che nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti per una improvvisata. Ma in un mondo dove si bada soltanto ai bisogni primari, all’accumulo, allo svago, all’affermazione di sé stessi, è necessario, come ricordava lo scrittore Giovanni Papini, che vi sia ogni tanto «uno che rinfreschi la visione delle cose, che faccia sentire lo straordinario nelle cose ordinarie, il mistero nella banalità, la bellezza nella spazzatura». Il torpore, la sazietà, l’indifferenza, la superficialità che si depositano ovunque come una coltre nebbiosa devono e possono essere squarciati da una voce imperiosa che inquieti le coscienze, che susciti domande di senso e spinga a riscoprire la verità che si cela sotto il velo comune della realtà quotidiana. Anzi, lo stato di disagio fa crescere il desiderio di soluzioni positive. Per il credente, però, tutto ciò non riguarda solo la dimensione sociale, politica ed economica, ma è attesa di una vita che, per dirla con Paolo, «piaccia a Dio». A questo si deve tendere, vigilando e osservando la vita reale ed agire per darle un indirizzo diverso. L’Avvento ci ricorda che una prospettiva nuova si può schiudere a patto che vi sia adesione ad essa, con coinvolgimento ed impegno. Buona attesa, buon Avvento, allora. E come augurava don Tonino Bello, «che il Signore ci dia la grazia di essere continuamente allerta, in attesa di qualcuno che arrivi, che irrompa nelle nostre case e ci dia da portare un lieto annuncio».

Testimoniare: fiamma e promessa

La quarta domenica del Tempo di Avvento di quest’anno precede di soli due giorni l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Roma quale segno dell’inizio dell’Anno Giubilare 2025, il cui motto è Pellegrini di Speranza. Dedicato al tema della Speranza e con un forte richiamo al pellegrinare.
Il pellegrinaggio è, infatti, uno dei segni del Giubileo. Come si legge sul portale dedicato all’Evento, il giubileo chiede di mettersi in cammino e di superare alcuni confini.
Un esempio di questo pellegrinare ci è offerto proprio dal Vangelo di questa domenica: Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Il cammino di Maria verso sua cugina Elisabetta non è facile. Percorrere la regione montuosa, correre il rischio di un viaggio? I racconti evangelici non ci riportano cosa pensasse Maria durante il viaggio verso Elisabetta, ma fra l’annuncio dell’angelo e la visita ad Elisabetta c’è un filo rosso che collega tutta la storia di Maria. Questo filo rosso è la fiamma della contemplazione. Una fiamma invisibile che si accende nel grembo di Maria e che si rivela quando il bambino esulta di gioia nel grembo di Elisabetta. Una fiamma che possiamo contemplare anche noi, nella nostra storia, quando i palmi si rivolgono verso l’altro e verso l’alto, quando il nostro ascolto della Parola si fa preghiera e accoglienza, mani che si aprono e che rendono visibile l’invisibile promessa di Dio nella nostra vita. Elisabetta parla di orecchi, non di occhi.
Cos’ha sentito Elisabetta? Perché il Vangelo ci riferisce questo particolare? Elisabetta ci fa pensare ad un mutismo che all’improvviso viene meno attorno a lei: difatti, proprio suo marito, Zaccaria, era stato reso muto dopo l’annuncio nel tempio della nascita di Giovanni. Più frequentemente, siamo soliti collegare al senso della vista un motivo di gioia, di esultanza, quale quella provata da Elisabetta e da Giovanni nel suo grembo. Ma in questo Vangelo, il collegamento diretto all’emozione della gioia è l’udito. Perché? Perché Maria porta con sé la Parola: la Parola vivente, la Parola fatta carne. E la Parola si sente, si ode, si ascolta, si contempla. Prima che dal vedere Maria, Elisabetta è sorpresa dal sentire il saluto che Maria le rivolge: dall’irrompere nella sua casa della Parola che Maria porta nel grembo.
Maria avrebbe potuto trovare Elisabetta in qualsiasi luogo della città, ma è a casa di Zaccaria che va e la trova. E andando, porta con sé la Parola vivente che irrompe nella casa e, irrompendo, scioglie, non ancora il mutismo di Zaccaria, ma il mutismo che avvolge Elisabetta; quel mutismo che è silenzio sterile perché privo della Parola di Dio. È stato necessario sentire, ascoltare. È lo stesso che può accadere nella vita spirituale di ciascuno: avere al nostro fianco il Signore Gesù in persona, vederlo e non riconoscerlo.
Fintanto che non si ascolta la Sua voce. E poter esclamare: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Probabilmente, è la stessa fiamma della contemplazione che ardeva nel cuore di Maria mentre era in viaggio verso la casa di Zaccaria.

Quali sono i confini che riconosco essere necessario superare per la mia crescita umana e spirituale? Sono disposto a mettermi in cammino per realizzare il progetto di amore che Dio ha pensato per me? Del cammino della mia vita già compiuto faccio memoria delle volte in cui il Signore si è manifestato come compagno di viaggio proprio quando invece credevo di essere solo/a? Sono disposto a custodire e ad alimentare la fiamma della contemplazione che rende visibile l’invisibile nella mia vita?

3 Avvento: Gaudete

La gioia cristiana assume tratti del tutto singolari e unici, “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. La gioia è la risposta al dono di Dio, è la meraviglia per tutto quello che il Signore compie nella nostra esistenza. “La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia”. La gioia è il segno certo della Sua grazia e della Sua vita in noi, non può essere confusa con l’euforia ma “è il respiro, il modo di esprimersi del cristiano”.
Si tratta di fare memoria dell’opera del Signore Gesù Cristo, di accogliere il dono della Sua consolazione e di aprire il cuore alla speranza. La gioia cristiana fiorisce nel cuore di chi si mette in ascolto del Vangelo, genera quella pace che ci permette di non perdere la fiducia davanti alle inquietudini della vita e ha la forza di cambiare la vita. Il contenuto del Vangelo, la buona/bella notizia, è che Cristo Gesù ha condiviso la fragilità della natura umana, capovolgendo la situazione esistenziale segnata dal peccato e riconciliandoci col Padre. La gioia si allarga quando il credente riconosce di essere amato da Dio e di entrare a far parte di una famiglia, la Chiesa. La gioia dell’incontro con Gesù libera dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore e dall’isolamento. Cosa ci manca per essere veramente felici?

È Giovanni il protagonista della Liturgia della Parola di questa domenica. Egli si affretta a chiarire, usando un linguaggio piuttosto forte, che colui che sarebbe giunto dopo di lui, il Cristo, era uno con cui c’è poco da scherzare… se slegare il laccio dei sandali era uno dei gesti più umili che gli schiavi compivano verso i padroni, Giovanni non è degno neppure di compiere questo gesto nei suoi confronti; non battezzerà semplicemente nell’acqua, ma nel fuoco dello Spirito Santo; e il pensiero non va al fuoco che riscalda, ma al fuoco che elimina ciò che resta dopo lo sfalcio… C’è una domanda che si ripete: “Che cosa dobbiamo fare?”. Formulata per avere indicazioni, per sciogliere dubbi, per provocare. È la domanda della folla, dei pubblicani, dei soldati. A tutti Giovanni fa una proposta: forse non è quello che faranno. Ma Giovanni richiama ad una conversione radicale, che non riguarda la pratica religiosa, già normata dalla Legge, dal Tempio, dalla Sinagoga, dalle istituzioni. “Fare qualcosa”: ovvero partire dalle cose concrete della vita, dal vissuto quotidiano: se la conversione resta un discorso suggestivo pieno di buone intenzioni non serve a niente, non cambia il cuore, non trasforma la vita.
La condivisione. “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Un gesto non dettato dalla religione, ma dalla prossimità al destino di ogni uomo: mettere in comune quel che si ha con chi ci sta simpatico è naturale, condividere con chi ha bisogno chiede un passo avanti sulla via di una solidarietà umana essenziale, che non guarda al merito ma assicura la giustizia.
L’onestà. “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Significa riconoscere che in realtà nulla abbiamo portato con noi venendo al mondo e nulla porteremo via alla fine della vita, se non l’amore. Significa riconoscere che Dio è con noi e di ciascuno di noi si prende cura. L’onestà non è considerata la virtù di chi è semplicemente guidato dal senso del dovere ma il segno visibile di una fraternità praticata in ciò che è essenziale e non nel superfluo.
La pace. “Non maltrattate e non estorcete”. Per diventare discepoli del Re che viene bisogna attingere ad una sana determinazione, guidata dal senso del rispetto di ogni persona, soprattutto di chi è più debole e indifeso. La chiamiamo difesa dei diritti: il Vangelo la traduce con le parole di Giovanni rivolte a chi detiene il potere sui propri simili, che non può risolversi in prevaricazione e sfruttamento.

Il Presepe: una bella tradizione che si rinnova

La notte di Natale del 1223 san Francesco, con la semplicità di quel segno, “realizzò una grande opera di evangelizzazione”, che consiste nel “riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità.
Il presepe “suscita tanto stupore e ci commuove” perché “manifesta la tenerezza di Dio”, il creatore dell’universo che “si abbassa alla nostra piccolezza”. 
Fin dall’origine francescana il presepe è un invito “a sentire, a toccare la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. È un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce.
È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”.
Anche quando “la notte circonda la nostra vita”, “Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io?
Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò?”.
Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo, la sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza.
“Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio”. Gli angeli e la stella cometa “sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore”, come fanno i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. “A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata”.
“Gesù è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso”. Dal presepe, quindi, “emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità.
Maria e Giuseppe: insieme a Gesù Bambino, sono il centro del presepe, custodito nella grotta. “Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo”, è la Madre di Dio che “non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica”. Accanto a lei c’è San Giuseppe, “il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia”.
“ll cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino”: “Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia.
Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi”.
“I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo”.
“Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme. Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano
scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo”.
“Non è importante come si allestisce il presepe; ciò che conta, è che parli alla nostra vita”: “Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi”.
Rinnovo la mia gratitudine e i miei complimenti agli artisti del Presepe realizzato in Chiesa. Grato perché anche quest’anno ci hanno regalato questo bellissimo segno di Natale.

In ascolto della speranza

DIO È FELICE PER NOI E CON NOI
Nel libro del profeta Sofonia, il giudizio di Dio è presentato come il suo intervento nella storia. Sofonia annuncia il giorno del Signore e la salvezza riservata ai miti.
Sperare è…GIOIRE
ASCOLTO SAPIENZIALE: Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un
salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa” (Sof 3,14-18)

Il Profeta Sofonia ci invita a gioire. E lo fa con un tono particolarmente vibrante, carico di speranza e dell’entusiasmo tipico dei giorni di festa.
Il brano biblico che la liturgia propone nella terza domenica di Avvento, invita a riscoprire la dimensione festiva, quella stessa che per Israele rappresentava l’incontro rinnovato di Dio con il suo popolo. Un senso di esultanza accompagnava ogni festa religiosa degli ebrei e che noi cristiani dobbiamo riscoprire in un mondo che muore di noia e di tristezza.
Quella che il Profeta annuncia è una gioia “permanente” che risiede nella certezza che il Signore sta in mezzo al suo popolo come “salvatore potente”. Il motivo della speranza che si fa gioia è dato dunque dal fatto che Dio è in maniera costante “in mezzo” ai suoi per aiutarli e salvarli in ogni momento.
Tutto questo si è verificato precisamente nel mistero dell’Incarnazione, con la quale Gesù Cristo ha posto per sempre “la sua tenda in mezzo a noi”. “Gridate giulivi ed esultate…perché grande in mezzo a voi è il Santo di Israele”. Il rimando “cristologico” è dunque nelle pieghe del testo di Sofonia non appena lo si legge più in profondità.
Il profeta Sofonia, scrivendo in un momento drammatico della vita del suo popolo, invita a superare tutte le paure davanti al dramma dell’esilio che incombeva su tutti. Dopo aver richiamato alla conversione in nome di Dio, Sofonia pronuncia così parole meravigliose di speranza rivolgendosi verso i poveri di cuore,
i poveri del Signore, a coloro che non si affidano alle proprie forze, ma mettono la loro fiducia in Dio.
Il motivo della grande gioia è che Dio abita con il suo popolo, una gioia che deriva dal sapersi amati, dal conoscere ciò che Dio vuole da noi, dal perseverare in Lui anche quando tutto sembra venir meno.
Ma c’è dell’altro, c’è la reciprocità della gioia perché Dio è felice per noi e con noi.
Sono tre i verbi che il profeta utilizza per sottolineare questa felicità: esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia come nei giorni di festa. Il Signore Dio grida la sua gioia, non la sussurra né tuona, ma grida per dichiarare il suo amore per l’umanità. È il quadro di un Dio dal volto felice e dalla gioi contagiante, la stessa di cui parlerà Gesù: “perché la mia gioia sia in voi” .

Spes: spalanchiamo la porta

TERZA DOMENICA D’AVVENTO: INIZIARE ALLA SPERANZA
La speranza in questa terza domenica di Avvento, si coniuga con la gioia! È la domenica laetare e la nostra attesa si abbrevia, mentre Luca, nel Vangelo, ci parla della predicazione di Giovanni Battista e di un battesimo di conversione che suscita cambiamenti nella vita. Condividere, non pretendere, non maltrattare, non fare torto: così ci si prepara ad accogliere il Signore che viene. Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Iniziare è allora il verbo che segna il passo di questa settimana; iniziare alla vita di fede significa introdurci in una amicizia piena ed autentica con Gesù che ci dona la gioia autentica e piena.

Tempo di Avvento: la Speranza non delude

La speranza non delude! San Paolo più volte ha saggiato l’amaro della delusione, il fallimento della predicazione rimanendone sempre forte nella speranza che Dio era con lui, il figlio Gesù Cristo lo arricchiva per annunciare nell’amore la lieta parola di Dio.
Cos’è la speranza cristiana? Per chiarire l’idea di speranza ci facciamo aiutare dalle parole del catechismo della chiesa cattolica che dice: “La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo… La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo… salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna”.
All’inizio del nuovo anno liturgico non possiamo non iniziare con la Speranza che ci porta a credere e confidare nell’amore di Dio. Sperare per il cristiano è un obbligo, sperare diventa stile di vita, scuola per un cristianesimo che ancora può dire la sua in un mondo profondamente cambiato.
La speranza ci ha sorretto e ci sorregge, soprattutto nei momenti di difficoltà, di fatica, di prova, di delusione.
Per questo nel tempo di Avvento il cristiano entra nel portico della speranza, dove trova forza per leggere la vita e il mondo con occhi diversi, pieni e desiderosi di Dio.
Se Dio viene abbandonato, la speranza diventa interesse personale, proprio tornaconto, con Dio la speranza diventa vita, bellezza, concordia.
Nell’attesa della nascita del figlio di Dio deve crescere il senso dell’attendere come momento di profondo desiderio della ricchezza dei doni divini.
Si, la preparazione al Natale è prepararsi a capire che sperare è possibile solo se si accoglie la Parola che diventa carne, il Dio che si fa bambino, l’Amore che diventa luce per gli uomini.
Favorire l’entrata di Dio nella nostra storia è darle ancora, oggi, un salvatore.
Il poeta Mario Luzi scrisse prima di morire alcuni versi in cui immagina la speranza come un bulbo che vuole nascere e germogliare:
“Vorrei arrivare al varco con pochi, essenziali bagagli, liberato dai molti inutili,
di cui l’epoca tragica e fatua ci ha sovraccaricato…
E vorrei passare questa soglia sostenuto da poche,
sostanziali acquisizioni
e da immagini irrevocabili per intensità e bellezza
che sono rimaste come retaggio.
Occorre una specie di rogo purificatorio del vaniloquio cui ci siamo abbandonati
e del quale ci siamo compiaciuti.
Il bulbo della speranza, ora occulto sotto il suolo ingombro di macerie non muoia,
in attesa di fiorire alla prima primavera”

Maria la madre della nostra speranza, guidi i nostri passi verso il giorno in cui nasce l’Amore!

In ascolto della Speranza

Il Messia, germoglio di speranza

Geremia è il profeta sofferente che andrà in Egitto, inascoltato dai suoi stessi concittadini . Le sue parole denunceranno le ingiustizie e inviteranno il popolo alla conversione. Egli invita gli esiliati alla Speranza.

Sperare è…GERMOGLIARE

ASCOLTO SAPIENZIALE: In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra (Ger 33,15).

È straordinario che sia proprio un uomo come Geremia ad aprire il cammino d’Avvento il cammino della speranza. Proprio quest’uomo trova nella sua fede, sebben attraverso un cammino tortuoso e faticoso, il
coraggio e la ragione per sperare e non lasciarsi intrappolare nella rete insidiosa del risentimento violento. Il percorso di speranza tracciato da Geremia fiorisce e si conserva non in una serra, ma nel campo aperto delle lotte e delle sofferenze quotidiane. È precisamente la “profonda tenerezza” di Dio a sostenere la nostra. Il Messia viene presentato dal profeta Geremia con un’immagine ricca di poesia: Geremia lo definisce “germoglio”, un termine che viene adoperato nella narrazione profetica anche da Isaia e Zaccaria. Quella del germoglio è un’immagine che richiama un terreno arido e disseccato, da cui Dio fa fiorire un nuovo virgulto di vita, una speranza di sopravvivenza. Dio solo fa suscitare il Messia e lo fa apparire proprio quando la terra sembra ormai impotente a produrre un solo filo d’erba, quale segno di speranza e di vita. I “messianismi” che ci inventiamo volta per volta, sulla base delle nostre attese speranze, durano lo spazio di un giorno, perché la nostra “terra”, la nostra “umanità sola non può produrre speranza! L’unico Messia che può dare compimento alla nostra speranza è Cristo in quanto espressione massima dell’amore, della donazione al servizio verso tutti. Gesù è venuto storicamente duemila anni fa, ma la sua missione di giustizia e di pace, di unificazione degli uomini, di speranza per la nostra umanità è ancora quasi tutta da compiere. Recepiamo l’invito che ci fa Geremia e apriamo il cuore al nostro rinnovamento spirituale e materiale. Spalanchiamo le porte a Cristo, nostra Speranza!

ASCOLTO PROFETICO: Qual è il senso della vita e dove stiamo andando? Sono queste le domande più inquietanti che agitano il cuore dell’uomo di ogni tempo e a qualsiasi latitudine vive.
La cultura contemporanea, segnata da profonde trasformazioni, potrebbe scoraggiarci e impaurirci.
Ma i discepoli di Gesù Cristo interpretano il presente e il futuro confrontandosi con la Parola del Signore che si mostra affidabile non perché accontenta le aspettative e le pretese degli uomini ma perché anche
attraverso il deserto guida i credenti a riconoscere la propria esistenza come un dono da far fruttificare.
Il donarsi di Dio alla nostra vita ci indica una maniera nuova di abitare la nostra casa comune, di riconoscere la nostra fame di felicità e l’aspettativa d comunione piena con Lui e con i fratelli. L’addensarsi di pensieri cupi, delusioni sentimenti di frustrazione ci conduce verso il capolinea della speranza e la sfiducia prevale rispetto ai nostri sogni che finiamo per nascondere e dimenticare. Un nuovo inizio è possibile; bisogna accettare di dover ripartire dalle nostre ferite e dai buchi neri delle nostre attese deluse. La speranza germoglia li dove sembra che tutto sia finito nella tristezza e nell’amarezza. La logica è quella del seme che gettato nella terra deve morire per poter fiorire, così, dove sembra che non ci più nessuna possibilità, il regno di Dio come il seme germoglia e cresce. La speranza è una potenza nascosta che sfugge al nostro controllo e genera stupore e coraggio. Nel tempo d’Avvento siamo invitati ad imparare nuovamente l’arte dell’attesa e de pazienza; non possiamo autoprodurre la nostra felicità, essa è dono di Dio che si sottrae alla logica dell’efficienza e della fretta. Al credente è richiesto solamente d fidarsi e affidarsi alla fedeltà di Dio che realizza sempre i suoi progetti di salvezza. Quali scelte compiere per germogliare?

Andiamo a Gesù su strade di speranza

Il nostro cammino pastorale ci orienta a desiderare fortemente che Gesù venga nella società, nella Chiesa, nelle famiglie e in ognuno di noi, per portare la sua pace, la giustizia e la possibilità di una vita degna e serena per ogni persona, così da rompere ogni giogo di schiavitù e di violenza.
Gesù, Figlio di Dio, grande dono di Dio Padre per noi, può sciogliere tutti i nodi e i grovigli della storia, e regalarci, se lo accogliamo con amore, umiltà, disponibilità, un presente e un futuro di fiducia reciproca, solidarietà e fraternità.
Con questa certezza ci prepariamo con fede e speranza a vivere il Tempo di Avvento, tempo di attesa e di grazia, che ci introduce nel nuovo Anno liturgico e anche nel Giubileo del 2025, e ci mette in cammino per incontrare Gesù che viene con amore e desidera il nostro abbraccio.
Papa Francesco afferma nella «Bolla di indizione del Giubileo» Spes non confundit: «Tutti sperano.
Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene… Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.
Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo ci comunica: La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato».
La luce della speranza scandisce il nostro cammino con l’accensione di una candela a ogni tappa: la luce aumenta progressivamente, avvicinandoci al Natale, assieme al nostro impegno-amore.

Il tempo d’Avvento, con cui inizia l’anno liturgico, è il tempo dell’attesa. Attendere il momento in cui faremo memoria della nascita di Gesù. Ma in Avvento rinnoviamo anche il nostro spirito di attesa dell’incontro definitivo con il Signore ricordandoci che la nostra vita avrà la sua pienezza quando potremmo contemplare il volto di Gesù in tutto il suo splendore.
L’Avvento di quest’anno 2024 si colora però di un clima diverso aiutandoci vivere l’attesa anche di un altro momento particolarmente ricco da un punto di vista spirituale. Infatti in questo periodo inizieremo un percorso di preparazione immediata all’apertura del Giubileo del 2025, a cui il Santo Padre ha dato come tema Pellegrini di Speranza. È importante prepararsi a vivere l’Anno Santo che il Papa aprirà la notte di Natale, perché si tratta di un tempo di grazia, cioè un periodo in cui il Signore manifesta in un modo particolare la sua misericordia verso di noi, offrendo alla nostra vita l’opportunità di cambiare, di rigenerarsi, d ripartire con un entusiasmo diverso che nasce dalla speranza che il suo Vangelo suscita nel nostro cuore.
Questo tempo liturgico sia vissuto con cura, con attenzione, in modo che ci conduca non solo a contemplare il mistero di un Dio che si è fatto bambino, “Dio con noi”, ma ad aprire il nostro cuore perché possiamo vivere con stupore l’opportunità che ci viene offerta di immergerci nella ricchezza di un anno santo, di un anno di grazia. Entriamo dunque nel tempo d’Avvento guidati dall’abbondanza dei testi liturgici e della Parola di Dio che la Chiesa mette a nostra disposizione e che cercheremo di farne tesoro anche come comunità parrocchiale. Gustiamo al meglio questo tempo d’attesa per essere pronti per iniziare un anno che, se glielo permetteremo con umiltà e astuzia evangelica, ci sorprenderà con la novità che scaturisce sempre dalla presenza operante del Signore che viene.