Alla Speranza l’ultima parola

“Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea? Cioè come Dio consacrò Gesù di Nazareth in Spirito Santo e potenza? Come lui passò beneficando e risanando tutti?
E come fu ucciso, inchiodato a una croce, dopo aver consegnato se stesso al Padre? E come poi il terzo giorno Dio lo ha risuscitato, e lui Risorto è apparso ai suoi? E come donando il suo stesso Spirito li ha mandati ad annunciare la sua risurrezione, cioè la nostra salvezza?”
Sì, noi lo sappiamo! Ognuno di noi cristiani sa esattamente che cosa è successo. Lo sappiamo con la testa, lo ricordiamo, lo celebriamo, lo festeggiamo: ci crediamo! Alla Pasqua siamo arrivati facendo memoria del grande dono che Gesù di Nazareth ha fatto per la nostra salvezza. Nei giorni precedenti la domenica di risurrezione abbiamo contemplato il Dio-con-noi, la totalità e la radicalità disarmante del suo amore. Ma quanta Pasqua c’è davvero nella nostra vita? Quanto profumo di risurrezione
respira chi vive con noi e accanto a noi? Celebrare la Pasqua, e farlo con convinzione, significa credere nella verità della risurrezione. Credere cioè che la risurrezione non sia qualcosa di straordinario proprio di un Dio, e riservato solo a lui. La Pasqua ci dice che abbiamo diritto alla speranza, che non c’è morte che tenga, che il male non ha l’ultima parola.

Siamo in un momento non facile della nostra storia, e penso alla storia umana. Comprendo quanto sia difficile, per più persone, credere nella risurrezione quando tutto attorno a noi è attraversato da una violenza che sembra moltiplicarsi ovunque. Quanto sia difficile credere nei testimoni della risurrezione quando è difficile trovare credenti con il cuore in pace che sappiano diffondere pace, seminare pace e costruire pace quotidianamente. Sento tutto il disorientamento.
Ammetto che credere nel Risorto non sia facile. Ma mi auguro che questa umanità non voglia cedere, non voglia evitare di entrare nel sepolcro quando la vita lo chiede, non voglia accontentarsi di guardare tombe vuote come se nulla mi appartenesse.
La Pasqua ci dice che siamo nel giorno nuovo, che possiamo essere nuovi.
La Pasqua ci consegna le chiavi della speranza determinata e operosa perché non fondata sulla potenza e sull’efficienza, ma sulla fiducia certa in Colui che trova sempre il modo di dare vita al mondo, di spezzare i vincoli di morte, di far germogliare l’insperato.
Gesù di Nazareth risorge per dare a ogni donna e a ogni uomo la possibilità di risorgere; si lascia attraversare dalla morte per dire a te, a me, a noi: «Non mollare, non aver fretta di mollare, non cedere alla notte, all’impotenza, alla sfiducia. Tu puoi risorgere perché io sono risorto. Tu puoi dare spazio alla speranza perché io ho dato tutto per te».
Ci saranno volte in cui la nostra fede nel Risorto ci porterà davanti a sepolcri vuoti: non restiamo fuori a guardare, non permettiamo al nostro cuore di arrendersi alla morte, all’impotenza, allo scoraggiamento. Chiediamo lo Spirito del Risorto per permettere alla speranza di dire
l’ultima parola e di insegnarci a coltivarla.

Ma ancora non credevano

«Mostrò loro le mani e i piedi»
Cosa serve per credere? Di cosa avremmo bisogno perché la nostra fede sia certa e determinata?
Guardiamo i discepoli: vedono, toccano, fanno esperienza, ricevono lo Spirito, incontrano il Risorto, alternano gioia a stupore, paura a turbamento… eppure non riescono a credere.
I racconti della risurrezione sembrano essere stati scritti per consolare la nostra incredulità, per darci una pacca sulle spalle, per poter dire a noi stessi: «Coraggio, credere è difficile; lo è stato anche per chi ha visto e toccato».
Credere nella risurrezione è qualcosa che va oltre ogni nostra capacità razionale.
Credere in un Risorto ci spinge oltre; ci chiede di relativizzare ogni certezza, ogni bisogno di sicurezza; ci chiede di rimettere ordine alle priorità della nostra vita, spesso fatta di progetti, di opportunità, di traguardi, di obiettivi da raggiungere costi quel che costi.
E invece il Risorto si offre a noi e alla nostra intelligenza portando con sé, e offrendoci, un’esperienza di morte, di sconfitta, di dolore. Accettarla, farla nostra, assumerla come stile di vita non è questione di sforzo personale, ma di apertura: e tutti i Vangeli della risurrezione, pur in modo diverso ce lo dicono. Dobbiamo lasciarci raggiungere dal Risorto. Dobbiamo permettergli di riempirci del suo Spirito. Dobbiamo lasciarci liberare da lui nella mente e nel cuore.

Dio, perchè?

Quanto sta accadendo in questo periodo anche, e non solo, nel nostro paese, nella nostra comunità, cioè il moltiplicarsi di casi di persone giovani che muoiono all’improvviso, lasciando sgomento, dolore e profonde ferite nei propri familiari e non solo, pone sulle labbra di molte persone questa domanda: Perché? Vogliamo capire il perché, vogliamo che qualcuno ci spieghi cosa sta accadendo. Anche a noi credenti di fronte alla sofferenza, viene naturale chiedersi “Perché?”
Tante e possibili risposte ci potrebbero essere (magari qualcuno le possiede). Onestamente ritengo che una risposta soddisfacente non ci sia. Temo che ne escano solo parole di circostanza.
Ho la sensazione che non si riesca a risolvere adeguatamente la ricerca con una logica puramente umana. Il Figlio di Dio venendo al mondo non ci ha offerto una relazione sulla sofferenza, sulla morte. Il Figlio di Dio si è fatto sofferenza, è morto. Dio soffre!
Gesù si è accostato alla sofferenza, si è fatto vicino con la compassione, con la cura e con la fede.
Il volto di Dio, nel Figlio suo, si presenta come Colui che si prende cura dell’uomo, lo ama con viscere materne, in modo appassionato. Gesù non ha spiegato la sofferenza, ma l’ha vissuta, l’ha offerta, ne ha fatto motivo di salvezza per tutto il mondo. Gesù nella sofferenza si affida al Padre e continua a proporci questo esempio perché lo seguiamo. Dio non vuole il male e le sofferenze, ma che nella nostra vita si manifesti il suo amore, anche quando costa e ci inchioda alla croce.
Di fronte a queste prove fidiamoci di Dio: cioè affidiamoci a Lui.
Nella nostra fragilità, nelle nostre lacrime, nelle assenze, percepiamo tutta la nostra debolezza e l’unica cosa da farsi è prendersi cura gli uni degli altri. È sentire e far sentire il calore del cuore.
Soprattutto è percepire la Presenza di Colui che è venuto per darci la vita in abbondanza.

Gesù è risorto e con Lui la nostra comunità

In questa Domenica chiesa ci invita a celebrare la festa della Divina misericordia.
Sottolineiamo la dimensione del perdono legato al mistero pasquale che stiamo celebrando.
La festa della Divina misericordia deve essere un giorno di consolazione e di pace per tutte le anime. C’è infatti una grazia particolarissima legata a questo giorno.
Essa consiste nella totale remissione dei peccati che non sono stati ancora rimessi e di tutte le pene derivanti da questi peccati. La grandezza di questa grazia è in grado di ravvivare in noi la fiducia illimitata in Gesù.

Tutte le domeniche del tempo di Pasqua ripropongono la celebrazione del mistero della morte e resurrezione di Gesù, che ci ha fatti capaci di “vincere il mondo” perché colui che è nato da Dio vince il mondo.
Ma quali sono le condizioni che devono far parte della vita della nostra comunità cristiana che, come Gesù resuscitato, “vince il mondo”? Vince il mondo la comunità che sa superare le sue chiusure. Continuiamo ad essere una comunità arroccata nel cenacolo, terrorizzata per quel che potrebbe succedere, dispersa come le pecore senza pastore.
Eppure, il risorto entra all’ovile passando dalla porta e senza bisogno nemmeno di aprirla perché lui è la porta delle pecore. Dopo, solo dopo, i discepoli avranno il coraggio di fare un passo oltre la porta, superando il confine che genera paura… ma prima questo confine l’ha attraversato Gesù risorto.
Vince il mondo la comunità che ha la Pace nel cuore. La Pace è il saluto della Pasqua ed è la vita della comunità che riceve da Dio questo dono. Quando “eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” e così siamo stati riconciliati: non abbiamo nemici, non abbiamo ragioni che possano giustificare il rancore, l’odio e perfino la guerra. Possiamo solo generare pace, portare pace, essere pace.
Vince il mondo la comunità che vede il Signore e le sue piaghe. “I discepoli gioirono al vedere il Signore” e il primo annuncio della Pasqua è stato “abbiamo visto il Signore”. Vedere è importante e anche toccare, così come vuol fare Tommaso che non era presente la sera stessa del giorno della Resurrezione… perché la nostra corporalità ha bisogno di queste cose, “prendete e mangiatene… prendete e bevetene”, l’eucaristia è il sacramento della corporalità, è la logica dell’incarnazione che non è affatto negata nei giorni posteriori alla Pasqua, quando Gesù mangia con i suoi discepoli. Questa comunità che vede non dimentica Gesù che è venuto alla loro vita non solo con l’acqua, ma con l’acqua e con il sangue, non solo nella gloria della resurrezione ma anche con le ferite della passione che subito mostra ai suoi discepoli.
E allora vince il mondo la comunità che crede in Cristo, nel Cristo totale. È il Cristo della Fede e della Storia, il Cristo figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è Cristo risorto ma ancora ferito, è il Cristo seduto alla desta del Padre ma anche deposto in una mangiatoia. 
Si scopre allora il mistero profondo e anche la nostalgia di quella comunità cristiana primitiva che vince il mondo non assoggettandosi alle logiche del mondo ma alla logica del Regno. Un cuore solo, un’anima sola, un solo progetto, una sola meta. È la comunità perfettamente pasquale che, come cristiani, siamo chiamati a costruire giorno dopo giorno, vincendo le paure e aprendo le porte alla Pasqua.

Il mistero del tempo Pasquale

Tempo dello Spirito Santo

“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20, 19-20).
L’incontro col Risorto porta pace e gioia. Il motivo della gioia pasquale e della pace interiore scaturisce non solo dalla fede nella risurrezione del Signore e dalla sua continua presenza in mezzo a noi, ma anche dal fatto che, mediante i sacramenti pasquali, noi siamo risorti con lui a vita nuova ed immortale.
Ad una abbondante espressione liturgica di gioia deve corrispondere nel cuore dei fedeli il dono della vera gioia pasquale, suscitata dall’azione dello Spirito Santo, che il Signore risorto in questo sacro tempo effonde sulla sua Chiesa in modo specialissimo. Infatti, i frutti dello Spirito sono “amore, gioia, pace …” .
“Le gioie del mondo vanno verso la tristezza senza fine. Invece le gioie rispondenti alla volontà del Signore portano alle gioie durature ed intramontabili coloro che le coltivano assiduamente.
Perciò l’Apostolo dice: “ve lo ripeto ancora: rallegratevi” (Fil 4, 4). Egli esorta ad accrescere sempre più la nostra gioia in Dio mediante l’osservanza dei suoi comandamenti, perché quanto più avremo lottato in questo mondo per obbedire ai precetti del Signore, tanto più saremo beati nella vita futura, e tanto maggior gloria ci guadagneremo agli occhi di Dio”. Ecco perché le formule del congedo della Messa particolarmente indicate per il tempo pasquale sono: “La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace” oppure “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”

Il mistero del tempo Pasquale

Tempo dello Spirito Santo

Nei giorni pasquali lo Spirito Santo, donato dal Signore risorto, esercita una crescente opera di manifestazione e santificazione fino alla sua piena effusione nel giorno di Pentecoste.
Già la sera del giorno stesso della risurrezione, nella sua prima apparizione ai discepoli radunati nel cenacolo, il Signore dona una prima effusione dello Spirito Santo: “alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo…” (Gv 20, 22).
Il libro-guida di questo tempo liturgico, secondo l’antica tradizione, è il libro degli Atti degli Apostoli: il protagonista è lo Spirito Santo, che forma e guida la Chiesa nascente.
Le ferie che intercorrono tra l’Ascensione e la Pentecoste acquistano particolare importanza, con formulari propri, che richiamano la promessa dello Spirito Santo e dispongono i fedeli ad attendere ed invocarne la venuta. Infine la solenne Veglia e il giorno di Pentecoste celebrano l’effusione con potenza dello Spirito Santo, frutto del mistero pasquale.

Il mistero del tempo Pasquale

Tempo del Risorto

Il mistero del tempo pasquale ha le sue radici nella speciale presenza del Signore risorto, infatti: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (Atti 1, 3).
E’ questa singolare presenza del Risorto che la Chiesa celebra attualizzandola nel tempo di Pasqua, presenza che riempie di gioia il cuore dei discepoli. Il cero pasquale, che splende davanti all’assemblea liturgica, esprime simbolicamente la luce del Risorto che illumina la sua Chiesa.
I vangeli delle tre prime domeniche di Pasqua raccontano le apparizioni del Risorto e nei giorni della solenne ottava pasquale vengono proposti con ordine tutti i brani evangelici relativi alle apparizioni del Signore.
Lo stupore e il mistero della risurrezione pervadono tutta la liturgia del tempo raggiungendo espressioni di alta spiritualità come nella sequenza Victimae paschali laudes, nella quale il primo annunzio dato da Maria di Magdala, prima testimone della risurrezione, si fonde con la rinnovata adesione e testimonianza della Chiesa di tutti i tempi: “Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza”. Il tempo pasquale intende quindi rendere attuale, in modo del tutto speciale, rispetto agli altri tempi sacri, quel singolare incontro con Gesù risorto che nei quaranta giorni della Pasqua apparve veramente ai suoi discepoli e che oggi continua la sua presenza ed azione, sempre vere e reali, nel modo mistico-sacramentale delle azioni liturgiche.

I gesti preziosi dei volontari della Parrocchia

Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Il Vangelo di Matteo che è stato proclamato il mercoledì santo, ci ricorda che la Pasqua, prima di essere celebrata, va preparata.
La prima e fondamentale preparazione è stato il nostro cuore, il nostro animo, evidentemente.
Ma nella domanda e nell’atteggiamento degli apostoli sento e vedo il volto di alcune persone della nostra comunità parrocchiale. Prima delle celebrazioni pasquali che abbiamo vissuto insieme c’è stata la presenza importante di coloro che hanno preparato l’ambiente, cioè la nostra Chiesa, perché si potesse celebrare decorosamente la Pasqua. Anche quest’anno, come in altre occasioni, rinnovo il mio ringraziamento e la mia gratitudine a tutte queste persone che con impegno, dedizione, costanza e passione hanno sistemato, adornato, addobbato e pulito l’ambiente.
Soprattutto sottolineo, mettendo in risalto, i continui interventi necessari di sistemazione tra una celebrazione e l’altra. Dietro ad ogni rito c’è una regia, una macchina organizzativa eccellente.
Un servizio sempre prezioso e talvolta poco gratificato.
Ringrazio anche tutti coloro che, nelle varie celebrazioni pasquali, erano presenti, segno di una comunità viva e partecipe. In modo particolare un ringraziamento a coloro che hanno svolto servizi per rendere più partecipe la nostra preghiera: ministranti, lettori, cantori, organisti.
Questa è stata la Pasqua che abbiamo celebrato, augurandoci una crescita nella santità.

Oggi è Pasqua

“Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto”.
È un annuncio di gioia che percorre tutta la liturgia pasquale. Siamo sicuri che verrà accolto nel profondo dell’esistenza di ognuno di noi che saremo partecipi, come comunità parrocchiale, per celebrare il mistero della nostra salvezza, come una luce che rischiara il cammino quotidiano.
Non oso pensare che noi cristiani di san Fiorano correremo il rischio di lasciarci scivolare via, senza scalfirci, senza produrre alcun effetto, questa Pasqua. Neppure oso pensare che sarà per noi solamente un momento rituale, tanto solenne quanto disancorato dalla realtà di ogni giorno e dai suoi problemi. Sono convinto, invece, che vivremo insieme la Pasqua e ne faremo esperienza di vita comunitaria ed esperienza nella nostra carne.
Sì, da questo mistero di salvezza troveremo vigore e forza per testimoniare nella nostra esistenza un’altra vita, nuova, piena, donata. Così impareremo a considerare tutte quelle piccole risurrezioni che ci consentono di intravedere ciò che è accaduto in Gesù Cristo.
Quando l’amore farà sempre il primo passo e permetterà il perdono … Quando lo sguardo o la mano tesa consentiranno all’uomo ferito di rialzarsi e di riprendere il cammino … Quando la vita verrà condivisa e donata … Tutte queste piccole risurrezioni al plurale saranno un segno che ciascuno di noi e tutti insieme abbiamo celebrato la Pasqua. Potranno diventare un invito e un monito perché altri membri della nostra Parrocchia si sentano coinvolti in prima persona ad entrare in questo Mistero e non dovranno cercare altrove: la risurrezione è già donata.
La forza della Risurrezione ha la capacità di coinvolgere tutti. I segni della tomba vuota offrono un indizio valido per il discepolo “che Gesù amava” e sono offerti anche a noi attraverso il Vangelo.
Da questo spunto e da altri, che possono essere accolti nella nostra vita, parte il cammino della relazione personale che ogni credente deve instaurare col il Cristo Risorto.
Insieme abbiamo condiviso il punto di partenza, l’itinerario della Quaresima.
Insieme abbiamo vissuto i vari momenti e le tappe di questo cammino di adesione a Cristo.
Ora, insieme come credenti e comunità cristiana, ci ritroviamo a celebrare il Signore della Vita.
La Pasqua di Gesù è il culmine di una vita spesa totalmente nella dedizione per gli altri, nell’amore del prossimo, alla luce di una radicale relazione con Dio Padre. È solo in questo orizzonte che trova davvero senso la ricerca della felicità cristiana.
In questo senso, allora, la felicità della Pasqua può diventare qualcosa di quotidiano, di “semplice”, che illumina e orienta tutti i nostri giorni.

Ci sentiamo in famiglia attorno alla mensa!

Dal riconoscerci figli del Padre “buono”… ad accogliere gli altri “figli” come “fratelli e sorelle”, sedersi all’unica mensa e fare comunione

La mensa della parola sfocia naturalmente nella mensa del pane eucaristico e prepara la comunità a viverne le molteplici dimensioni, che assumono nell’eucaristia domenicale un carattere particolarmente solenne. Nel tono festoso del convenire di tutta la comunità nel “giorno del Signore”, l’eucaristia si propone in modo più visibile che negli altri giorni come la grande “azione di grazie”, con cui la Chiesa, colma dello Spirito, si rivolge al Padre, unendosi a Cristo e facendosi voce dell’intera umanità.
La scansione settimanale suggerisce di raccogliere in grata memoria gli eventi dei giorni appena trascorsi, per rileggerli alla luce di Dio, e rendergli grazie per i suoi innumerevoli doni, glorificando “per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità dello Spirito Santo”.
La partecipazione dell’intera comunità assume una particolare evidenza nel convenire domenicale, che consente di portare all’altare la settimana trascorsa con l’intero carico umano che l’ha segnata. È un convito pasquale e incontro fraterno.
È importante inoltre che si prenda coscienza viva di quanto la comunione con Cristo sia profondamente legata alla comunione con i fratelli. L’assemblea eucaristica domenicale è un evento di fraternità, che la celebrazione deve mettere bene in evidenza, pur nel rispetto dello stile proprio dell’azione liturgica. A ciò contribuiscono il servizio dell’accoglienza e il tono della preghiera, attenta ai bisogni dell’intera comunità. Lo scambio del segno della pace, significamene posto prima della comunione eucaristica, è un gesto particolarmente espressivo, che i fedeli sono invitati a fare come manifestazione del consenso dato dal popolo di Dio a tutto ciò che si è compiuto nella celebrazione e dell’impegno di vicendevole amore che si assume partecipando all’unico pane, nel ricordo dell’esigente parola di Cristo: “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24).
L’eucaristia è un insieme di gesti comunitari; non è la somma di singole preghiere o azioni, ma un unico gesto che nasce dal sentirsi un cuore solo e una sola famiglia. Insieme si canta e si prega, insieme si proclama “Padre nostro”, insieme si va a ricevere la comunione.
L’eucaristia è la celebrazione di quanti prendono coscienza di essere figli di un Dio che è Padre, come Gesù ci ha insegnato, e accolgono gli altri “figli” come “fratelli e sorelle”, ai quali augurano pace e serenità. Solo così ci si può sedere a mensa e “mangiare” insieme il corpo del Signore. Stare attorno allo stesso tavolo significa essere una famiglia; infatti attorno alla mensa si celebrano gli avvenimenti più significativi della vita.
L’eucaristia non è un pasto ordinario ma è una celebrazione secondo il comando del Signore Si tratta di ripetere ciò che il Signore ha fatto con i dodici apostoli, una celebrazione dell’alleanza “in fraternità”.