Giornata mondiale per le vocazioni

L’11 maggio 2025, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 62a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema “Pellegrini di speranza: il dono della vita”.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio di Papa Francesco:

Pellegrini di speranza: il dono della vita

Desidero rivolgervi un invito gioioso e incoraggiante ad essere pellegrini di speranza donando la vita con generosità. La vocazione è un dono prezioso che Dio semina nei cuori, una chiamata a uscire da sé stessi per intraprendere un cammino di amore e di servizio. Ed ogni vocazione nella Chiesa – sia essa laicale o al ministero ordinato o alla vita consacrata – è segno della speranza che Dio nutre per il mondo e per ciascuno dei suoi figli. In questo nostro tempo, molti giovani si sentono smarriti di fronte al futuro. Sperimentano spesso incertezza sulle prospettive lavorative e, più a fondo, una crisi d’identità che è crisi di senso e di valori e che la confusione digitale rende ancora più difficile da attraversare. Le ingiustizie verso i deboli e i poveri, l’indifferenza di un benessere egoista, la violenza della guerra minacciano i progetti di vita buona che coltivano nell’animo. Eppure il Signore, che conosce il cuore dell’uomo, non abbandona nell’insicurezza, anzi, vuole suscitare in ognuno la consapevolezza di essere amato, chiamato e inviato come pellegrino di speranza. Per questo, noi membri adulti della Chiesa, siamo sollecitati ad accogliere, discernere e accompagnare il cammino vocazionale delle nuove generazioni. E voi giovani siete chiamati ad esserne protagonisti, o meglio co-protagonisti con lo Spirito Santo, che suscita in voi il desiderio di fare della vita un dono d’amore.

Accogliere il proprio cammino vocazionale

Carissimi giovani, «la vostra vita non è un “nel frattempo”. Voi siete l’adesso di Dio». È necessario prendere coscienza che il dono della vita chiede una risposta generosa e fedele. Guardate ai giovani santi e beati che hanno risposto con gioia alla chiamata del Signore: a Santa Rosa di Lima, San Domenico Savio, Santa Teresa di Gesù Bambino, San Gabriele dell’Addolorata, ai Beati – tra poco Santi – Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati e a tanti altri. Ciascuno di loro ha vissuto la vocazione come cammino verso la felicità piena, nella relazione con Gesù vivo. Quando ascoltiamo la sua parola, ci arde il cuore nel petto e sentiamo il desiderio di consacrare a Dio la nostra vita! Allora vogliamo scoprire in che modo, in quale forma di vita ricambiare l’amore che Lui per primo ci dona. Ogni vocazione, percepita nella profondità del cuore, fa germogliare la risposta come spinta interiore all’amore e al servizio, come sorgente di speranza e di carità e non come ricerca di autoaffermazione. Vocazione e speranza, dunque, si intrecciano nel progetto divino per la gioia di ogni uomo e di ogni donna, tutti chiamati in prima persona ad offrire la vita per gli altri. Sono molti i giovani che cercano di conoscere la strada che Dio li chiama a percorrere: alcuni riconoscono – spesso con stupore – la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata; altri scoprono la bellezza della chiamata al matrimonio e alla vita familiare, come pure all’impegno per il bene comune e alla testimonianza della fede tra i colleghi e gli amici. Ogni vocazione è animata dalla speranza, che si traduce in fiducia nella Provvidenza. Infatti, per il cristiano, sperare è ben più di un semplice ottimismo umano: è piuttosto una certezza radicata nella fede in Dio, che opera nella storia di ogni persona. E così la vocazione matura
attraverso l’impegno quotidiano di fedeltà al Vangelo, nella preghiera, nel discernimento, nel servizio.
La speranza in Dio non delude, perché Egli guida ogni passo di chi si affida a Lui.

Discernere il proprio cammino vocazionale

La scoperta della propria vocazione avviene attraverso un cammino di discernimento. Questo percorso non è mai solitario, ma si sviluppa all’interno della comunità cristiana e insieme ad essa. Cari giovani, il mondo vi spinge a fare scelte affrettate, a riempire le giornate di rumore, impedendovi di sperimentare un silenzio aperto a Dio, che parla al cuore. Abbiate il coraggio di fermarvi, di ascoltare dentro voi stessi e di chiedere a Dio cosa sogna per voi. Il silenzio della preghiera è indispensabile per “leggere” la chiamata di Dio nella propria storia e per dare una risposta libera e consapevole. Il raccoglimento permette di comprendere che tutti possiamo essere pellegrini di speranza se facciamo della nostra vita un dono, specialmente al servizio di coloro che abitano le periferie materiali ed esistenziali del mondo. Chi si mette in ascolto di Dio che chiama non può ignorare il grido di tanti fratelli e sorelle che si sentono esclusi, feriti, abbandonati. Ogni vocazione apre alla missione di essere presenza di Cristo là dove più c’è bisogno di luce e consolazione.
In particolare, i fedeli laici sono chiamati ad essere “sale, luce e lievito” del Regno di Dio attraverso l’impegno sociale e professionale.

Accompagnare il cammino vocazionale

In tale orizzonte, gli operatori pastorali e vocazionali, soprattutto gli accompagnatori spirituali, non abbiano paura di accompagnare i giovani con la speranzosa e paziente fiducia della pedagogia divina.
Si tratta di essere per loro persone capaci di ascolto e di accoglienza rispettosa; persone di cui possano fidarsi, guide sagge, pronte ad aiutarli e attente a riconoscere i segni di Dio nel loro cammino.
Esorto pertanto a promuovere la cura della vocazione cristiana nei diversi ambiti della vita e dell’attività umana, favorendo l’apertura spirituale di ciascuno alla voce di Dio. A questo scopo è importante che gli itinerari educativi e pastorali prevedano spazi adeguati di accompagnamento delle vocazioni. La Chiesa ha bisogno di pastori, religiosi, missionari, coniugi che sappiano dire “sì” al Signore con fiducia e speranza.
La vocazione non è mai un tesoro che resta chiuso nel cuore, ma cresce e si rafforza nella comunità che crede, ama e spera. E poiché nessuno può rispondere da solo alla chiamata di Dio, tutti abbiamo necessità della preghiera e del sostegno dei fratelli e delle sorelle. Carissimi, la Chiesa è viva e feconda quando genera nuove vocazioni. E il mondo cerca, spesso inconsapevolmente, testimoni di speranza, che annuncino con la loro vita che seguire Cristo è fonte di gioia. Non stanchiamoci dunque di chiedere al Signore nuovi operai per la sua messe, certi che Lui continua a chiamare con amore.
Cari giovani, affido la vostra sequela del Signore all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa e delle
vocazioni. Camminate sempre come pellegrini di speranza sulla via del Vangelo!

Io sono il buon Pastore

«Io sono il buon Pastore». Solo Gesù è il vero e buon Pastore, perché la sua vita incarna la bontà e la verità del Dio dell’alleanza. Lui solo vuole ciò che è bene per l’umanità. Infatti è venuto per questo: donare loro una vita abbondante. Di fatto la caratteristica più importante del buon Pastore – che Giovanni ripete per cinque volte – è «dare la vita per le sue pecore». Egli è buono perché dà la sua vita e non c’è prova di amore più grande del donare la propria vita per coloro che si ama. Gesù si designa come il buon Pastore perché «conosce» le sue pecore e le sue pecore lo «conoscono». Si tratta di una comunione viva, di cuore e di pensiero. Ma la nostra fede è veramente una relazione di questo genere, intima e personale? «Ho altre pecore… anche quelle io devo guidare». Il desiderio di Gesù di entrare in comunione con le pecore ha una prospettiva universale. Il suo amore vigilante di pastore si estende a tutti, senza distinzione di razza, di nazione e neanche di religione. Dovunque ci sono pecore disposte ad «ascoltare la sua voce» e a «seguirlo». Egli vuole guidare tutte alla «vita eterna». Il solo ovile che non esclude nessuno non è un luogo, ma una vita, quella del Padre. Nella chiesa il buon Pastore prosegue la sua missione universale. La chiesa di Cristo non è più legata a un ovile culturale, a una struttura, ma a una presenza, quella del buon Pastore glorificato, che solo mantiene l’unità del gregge. Nei nostri sforzi verso l’unità non si dovrà mai dimenticare che il fine non è il recinto di questa o quella confessione cristiana, ma l’ascolto della voce dell’unico Pastore, che chiama ciascuno per nome.
Intimità. L’intimità è lo spazio vitale di Dio, là dove il Cristo, il nostro amico, ci conosce personalmente (vangelo), là dove Dio ci fa suoi figli. Pensiamo innanzitutto alle nostre intimità umane, alle persone con le quali possiamo essere noi stessi, possiamo parlare in tutta semplicità, ai momenti in cui lasciamo cadere ogni difesa. Le nostre intimità possono essere sorgenti di dinamismo nelle nostre vocazioni per il mondo, per ricevere confidenze di fatica, di difficoltà, ma anche di gioia.
L’intimità con Dio nella preghiera ci colma e nello stesso tempo turba le nostre intimità perché contesta questo mondo malato di felicità superficiali.

Creare casa

La tematica che l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni propone in vista della 61a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che si celebrerà la quarta domenica di Pasqua, il 21 aprile 2024 intende cogliere l’invito di Papa Francesco a creare ambienti adeguati nei quali sperimentare il miracolo di una nuova nascita: in tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più
la nostra capacità di accoglienza cordiale, le comunità come la parrocchia e la scuola dovrebbero offrire percorsi di amore gratuito e promozione, di affermazione e di crescita. Quanto sradicamento! Se i giovani sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno aver voglia di sacrificarsi per seminare? L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso.
Fare ‘casa’ è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici e funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana. Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi.
È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere.
Così si attua il miracolo di sperimentare che qui si nasce di nuovo perché sentiamo efficace la carezza di Dio che ci rende possibile sognare il mondo più umano e, perciò, più divino.

L’invito conduce alle radici della fede e riporta agli inizi della Chiesa nella quale da subito i primi credenti si sono adoperati per creare spazi di condivisione della vita nei quali poter sperimentare «la gioia di una casa comune: una domus ecclesiae. Prima che di un edificio ci sia un contesto, un luogo permanente di incontro in cui si respiri uno stile di fraternità, di lavoro e di preghiera. I giovani, oggi più che mai, hanno bisogno di formazione intelligente e affettiva per appassionarsi al Signore, alla comunità cristiana e ai fermenti evangelici disseminati tra i loro coetanei nel mondo.
La Parola di Dio ha bisogno di un terreno buono e l’Eucarestia ha bisogno di una casa.
Anche la vocazione ha bisogno di un terreno buono perché possa attecchire e di una casa nella quale fare Eucarestia, ringraziamento e benedizione per la Parola ricevuta e il dono di quella fraternità che è offerta della propria vita perché insieme agli altri diventi feconda nella carità, a servizio di tutti.
Come la vita, ha bisogno di trovare uno spazio accogliente per nascere, crescere e maturare.
Il desiderio di appartenere ad una persona o ad una comunità nasce da una frequentazione feriale e una conoscenza graduale di quella casa alla quale si sogna di appartenere per essere fecondi. Creare casa è un invito rivolto alla comunità, alla parrocchia, alle famiglie, perché siano sempre più spazi capaci di quell’accoglienza cordiale e libera che fa crescere la vocazione sia di chi li abita che di chi li visita, diviene terreno fecondo di nuove vocazioni.

Chi ha sete, venga!

L’immagine preparata per la 61° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, è un’icona del Cristo che viene; anch’essa porta direttamente alla radice della vocazione cristiana e alla sorgente di ogni chiamata perché la vocazione è incontrare e riconoscere il Signore Risorto che abita i passi della propria storia. Tutta la Scrittura termina con un grido che racchiude una promessa: «Lo Spirito e la Sposa dicono: ‘Vieni!’. E chi ascolta, ripeta: ‘Vieni!’. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
Se il nostro sguardo potesse attraversare il cielo, se potesse guardare attraverso la storia e i fatti della vita altro non vedrebbe che il Cristo che viene perché raggiungerci – venire verso di noi – è l’unica cosa che anch’egli ardentemente desidera; stare in nostra compagnia, fare casa con noi: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Intrattenersi con il Signore Risorto, parlare con lui come con un amico è l’origine della vocazione che si può riconoscere nella Parola – sovente anche un solo versetto di tutta la Scrittura – che è il grembo della fede e il Principio di ogni cosa.
L’immagine scelta è simboleggiata dalla raffigurazione dei quattro evangelisti che occupano gli angoli della tavola: Matteo (l’angelo), Giovanni (l’aquila), Marco (il leone) e Luca (il bue).
La fede e la vocazione – così come la vita e la realtà – hanno a che fare con un invisibile che contiene una promessa, quella della vita eterna che è la vita vera, la vita come dovrebbe essere, la vita che è semplicemente vita, semplicemente felicità.
Il cerchio esterno con i cherubini e i serafini che fanno capolino dai lati del quadrato più interno simboleggia il mondo celeste e ricorda che tutta l’avventura della vita si svolge sotto il cielo ormai aperto dalla Pasqua di Cristo. Cerchio e quadrato ricordano il movimento – immaginando di far ruotare il quadrato attorno al suo centro – iniziato nel Battesimo.
Immersa nell’acqua del fonte la vita di terra ha cominciato a camminare verso la perfezione della carità che potrà essere ricevuta in dono solo nella Gerusalemme celeste ma che già può essere gustata in questo tempo, nella consapevolezza che solo l’amore vale la pena e la bellezza del vivere, l’unica cosa che rimane per sempre.
Intuire la propria vocazione è discernere il calore del divino – ha il volto di Cristo e il sapore dei suoi gesti – che traspare da ciò che è umano come il rosso delle vesti del Signore emerge dal blu che simboleggia la storia, è condividerne la Passione e spendere la vita nel suo amore: il volto di una persona che si accende di una luce particolare nella quale ci si riconosce chiamati come sposi, il mistero di una Chiesa che si desidera servire come ministri ordinati, una famiglia religiosa che chiama ad una appartenenza e ad una consacrazione particolare, una storia di relazioni quotidiane per il quale adoperarsi semplicemente con il lavoro delle proprie mani.

Chiamati

Non è casuale che la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni cada sempre la quarta domenica di Pasqua, in cui si legge un passo del vangelo del buon Pastore. In effetti in questo brano c’è l’essenziale di ogni vocazione: un rapporto profondo, intimo, con il Cristo, in cui lo si conosce e ci si sente conosciuti, amati e si è disposti ad amare con tutti se stessi. Lo si conosce, si entra in relazione con lui. Se ne avverte l’amore, la misericordia, la tenerezza. Si apre il cuore e la mente alla sua Parola, se ne distingue la voce, si prova il desiderio intenso di incontrarlo, di vivere secondo il suo insegnamento. Non si tratta di un contatto episodico, occasionale. C’è gioia e pace, ma anche una fatica, un vero travaglio da affrontare, perché
l’incontro con lui esige una conversione, un cambiamento. Ci si sente conosciuti, ma non da un occhio che indaga e giudica impietosamente. Si percepisce piuttosto uno sguardo benevolo e compassionevole, davanti al quale si può apparire così come siamo. La nostra debolezza, il nostro peccato non costituisce un ostacolo: nulla può fermare il suo amore. La fragilità non diventa una preclusione e la ricchezza non rappresenta un motivo di vanto. È in questa esperienza che si avverte una chiamata, come un’avventura esaltante, che si può correre affrontando ogni rischio. Gesù sarà sempre accanto a noi, anche quando andare avanti significa camminare in un deserto, senza poter contare sul consenso di quelli che ci stanno accanto.
Decisiva è la speranza: il sentirsi parte di un disegno che ci sorpassa, in cui possiamo essere strumenti
di un amore smisurato. Sentirsi chiamati vuol dire passare da spettatori a protagonisti, investendo le proprie energie per un servizio lieto e fedele.

60° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (2)

Le vocazioni nella Chiesa, – la vita consacrata, il ministero ordinato, il matrimonio e il laicato vissuto a servizio del Vangelo – non demarcano territori esclusivi ma sottolineano aspetti complementari dell’unica vita cristiana che è la vita di Cristo donata per il mondo. Cristo, infatti, è forse diviso? «L’intima vocazione della Chiesa» e la sua opera a servizio del mondo non si realizza attraverso una distinzione di compiti ma ciascuna vocazione, occupandosi di un aspetto particolare della vita cristiana senza tralasciare l’insieme, ne richiama l’importanza e la bellezza alle altre vocazioni e porta un annuncio di salvezza ad ogni uomo, come in un meraviglioso poliedro.

La vita consacrata, che fa della professione dei consigli evangelici il nodo portante che dà forma alla vita, ne annuncia la ricchezza per la vita di ciascuno: castità, povertà e obbedienza, infatti, sono il modo di vivere di Cristo, riguardano ciascun battezzato e sono annuncio di vita piena per ogni uomo. L’amore sponsale che riguarda in maniera specifica la particolare vocazione matrimoniale annuncia alla vita dei celibi la gioiosa e drammatica concretezza dell’amore che dona la vita nel concreto della storia, orienta ad una fedeltà che è chiamata ad attraversare la buona e la cattiva sorte in tutti i giorni della vita e annuncia ai celibi l’esigenza di un amore concreto, che si realizza nei fatti più che nelle parole. Viceversa, la coppia riceve dal celibe l’annuncio riguardo la destinazione ultima della vita, la possibilità di affidare a Dio il frutto dei propri gesti e invita a mantenere ampio l’orizzonte dell’amore. La vita missionaria marca in maniera insistente la spinta intrinseca della Parola ad essere lasciata correre fino agli estremi confini della terra perché anche i confini più ristretti della propria casa, del proprio ambiente lavorativo, della propria quotidiana realtà possano essere riconosciuti come terreno nel quale disperdere il seme buono di Dio che attecchisce nel dialogo feriale, da persona a persona. C’è un inter-esse (qualcosa di importante, che mi preme, che conta: letteralmente ‘ciò che si trova nel mezzo’) reciproco tra le vocazioni, ancora tutto da riconoscere e da osservare attentamente per imparare ad ascoltarne il racconto, la narrazione di quel meraviglioso poliedro che la vita dello Spirito intende continuare a tessere lungo i tempi della storia e della Chiesa.

60° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

Quando lo sguardo amorevole e creativo di Dio ci raggiunge in modo del tutto singolare in Gesù la nostra vita cambia.
E nella misura in cui lo accogliamo tutto diventa un dialogo vocazionale, tra noi e il Signore ma anche tra noi e gli altri. Un dialogo che, vissuto in profondità, ci fa diventare sempre più quelli che siamo: nella vocazione al sacerdozio ordinato, per essere strumento della grazia e della misericordia di Cristo; nella vocazione alla vita consacrata, per essere lode di Dio e profezia di una nuova umanità; nella vocazione al matrimonio, per essere dono reciproco e generatori ed educatori della vita.

La pastorale non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un ‘camminare insieme’ che implica una valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa attraverso un dinamismo di corresponsabilità.
In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo.
Essa può attrarre proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie.

A due a due per essere un cuore solo

Voglio stare solo! È il desiderio di qualcuno. A volte gridato con forza. Altre volte sussurrato in silenzio.
Voglio stare da solo è il desiderio dettato dalla stanchezza di dover stare di fronte a un altro viso, a un’altra storia fatta di bellezza e di buio, di voli e di schianti. Meglio solo, così non devo dar conto a nessuno.
Meglio solo, così poso fare quello che voglio. Spesso queste grandi “trovate” sembrano dare ragione.
I primi giorni ci si sente liberi, anche più splendenti del solito, si pensa di fare più cose possibili e di essere molto produttivi, sembra che nessuno possa fermarci perché siamo “sparati” a folle corsa sui nostri obiettivi.
Ecco, sembra! Altro che meglio “soli”. Forse davvero siamo salvi perché qualcuno non ci ha mai lasciato, e se anche abbiamo sempre desiderato non avere nessuno accanto, sognato di partire senza compagnia, qualcuno non ci ha mai creduto, ci ha seguiti e si è messo persino sulle nostre tracce. E da quel momento abbiamo capito che si può partire e sognare anche “a due a due”. Come tutti i mandati del Vangelo.
Sembra che la loro prima vocazione sia stare insieme, scegliersi e abituare il passo a quello dell’altro.
Non grandi annunci prima ma amicizia, non proclami di salvezza per gli altri ma sopportazione di chi mi respira accanto. Mandàti “a due a due” non per dare o dire più cose ma per farne, forse di meno, sentendo il gusto della novità dell’amore e che siamo mandati “a due a due” non per occupare più spazi ma per far intendere che si può essere anche un “cuore solo”.
Mandàti “a due a due” e senza nient’altro. Mandati in cammino, solo col fiato e il cuore dell’amico vicino; con la presenza e il calore di chi insieme con te cammina con un po’ di paura. Senza altri aiuti, se non la voce di chi ci è accanto. Diventiamo umani insieme a qualcun altro accanto a noi.
Mandàti “a due a due” come invito alla società di oggi. Non è solo questione religiosa, è questione sociale.
A due a due per far vedere al mondo che è possibile un cammino insieme, che i nostri passi possono servire da “mappa terrestre” per il cammino altrui. È il tempo dell’aver cura di noi, del noi, del “due a due”.
Di aver cura e non di lasciarlo andare così come altro invito gettato come ago nel pagliaio della nostra vita e che poi nessuno ha voglia di cercare. Per questo bisogna prenderci, adesso, cura del noi.
In cui tenere insieme tutto della nostra vita e della vita degli altri. Questa è la sfida della santità.
Non in cielo ma nelle strade impolverate e incasinate della nostra umana vita.

La santificazione è un cammino comunitario da fare a due a due

La tematica proposta dall’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni si ispira ad una espressione di papa Francesco, contenuta nella Esortazione Apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. Al capitolo su alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale si dice che: “La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due”. L’anno passato si è voluto fissare l’attenzione sul fatto che la vocazione nasce dall’incontro con Gesù. Quest’anno si tratta di mostrare che la vocazione non è mai soltanto “mia” ma è sempre anche la “nostra”: la santità, la vita è sempre spesa insieme a qualcuno. E questo è un elemento essenziale di ogni vocazione nella Chiesa. Ciò è evidente nella vocazione matrimoniale che non esiste senza la coppia, senza che i due futuri coniugi abbiano acconsentito e riconosciuto un’opera comune, l’uno per l’altra e insieme per gli altri. Il medesimo orizzonte è in ogni vocazione ecclesiale che traccia un’appartenenza più o meno marcata sia con chi condivide la medesima “forma di vita” sia con le altre vocazioni all’interno della Chiesa.
Far coincidere il compimento della persona con la realizzazione della comunità. La vocazione è la mia parte, quello che posso fare e che posso fare io soltanto, sempre insieme agli altri, un sogno del noi.

3 maggio – Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

L’immagine scelta è estremamente ricca di riferimenti biblici nascosti nella scena. Il motivo principale è l’annuncio che il «meglio della vita» è Gesù, raffigurato al centro e riconoscibile per due ‘indizi’: l’abito rosso rivestito di blu, colori tipici dell’iconografia per indicare la duplice natura umana e divina di Cristo e la sciarpa con tre righe orizzontali che vuole ‘simboleggiare’ il mantello della preghiera del quale è sufficiente toccare un lembo per essere guariti (Mt 9,20; Mt 14,36).

Appena dopo l’incontro con Gesù i due giovani intuiscono la promessa del loro futuro – la loro vocazione, il meglio di loro stessi – raffigurata dalle loro stesse ombre che, proiettate in avanti, danzano la vita. La felicità, la fecondità, la vocazione è sempre in movimento, in avanti, ‘per’ qualcuno.I due guardano Gesù, forse ancora non lo hanno riconosciuto, ma sono accesi di quella promessa che avvince senza costringere, sempre lascia spazio alla libertà nella sequela (Lc 18,27). All’alba (Mt 20,1; Mt 28,1; Gv 21,4) dell’incontro, il Risorto è già un passo oltre, sempre in cammino.

Il dipinto è ricco di segni che ricordano coloro che dopo l’incontro con il Signore, hanno riconosciuto la loro vocazione: sullo sfondo la casa di Zaccheo con accanto il sicomoro (Lc 19,1-10) e lì accanto la punta della barca di Simone ed Andrea (Mc 1,16); poco più avanti la brocca dimenticata dalla Samaritana (Gv 4,28) e il fuoco di brace ancora acceso dopo il pranzo di pesce arrostito consumato con il Risorto (Lc 24,36-42; Gv 21,1-9). Ancora, sulla sinistra, le monete lasciate da Matteo (Mt 9,9; Lc 5,27) e ai piedi di Gesù, il vaso di nardo, di cui ancora sentiamo il profumo, insieme al Vangelo (Gv 12,3; Mc 14,1.9).

Sulla sinistra alcuni alberi che iniziano a germogliare (Is 61,11) perché c’è un motivo per cui alzarsi (Ct 2,10) e decidersi a spendere la vita: c’è un inverno che sta finendo e qualcosa di nuovo che sorge (Is 43,19) e si impone come la scelta da fare, la via da prendere, qualcuno per cui spendere tutta la propria vita.