Maria: quello che noi saremo

Occorre uno sguardo completo alla storia della salvezza per dare la giusta collocazione a Maria. Questa figura di madre non è comprensibile se la isoliamo dalla sua concretezza di donna ebrea, vissuta a Nazaret, duemila anni fa. Se si deve parlare della donna coronata di stelle, tutta santa, assunta in cielo, bisogna anche ricordare la fanciulla di Nazaret, donna di lavoro e donna di fede. È necessario evitare di presentare solo i privilegi della Vergine. Maria è stata chiamata «icona escatologica della Chiesa». Questo vuol dire che Maria è in anticipo quello che anche noi saremo. Sarebbe un errore mettere la Vergine su un piedistallo troppo alto e isolato. Viene annullato il suo messaggio, se, a forza di ammirarla, la allontaniamo dalla stirpe di Adamo, dal popolo dell’Alleanza. Maria non è una dea né una donna divina né una superdonna: è una madre, e ogni madre desidera avere figli che le somiglino. Se non ci auguriamo di somigliare alla Madre, praticamente rinneghiamo la sua maternità. Una madre ha molta pazienza, una madre è instancabile; con i figli ritardati o difficili, essa è più madre.
La maternità non è un onore ma una responsabilità. Non pensiamo a Maria come a una regina tanto inaccessibile da riuscirci inimitabile: essa invece è un esempio quotidiano. Certo, Maria ha avuto il privilegio dell’Immacolata Concezione; vuol dire che è stata concepita battezzata; a noi Dio concede la stessa grazia con il battesimo. Non ha avuto il peccato originale; neppure noi lo abbiamo più. Non è stata esente dalla sofferenza e dalla morte: come noi. È stata assunta in cielo: questo significa che Maria è la primizia, l’annuncio di quello che riguarda tutti. I nostri corpi sono destinati alla vita eterna. Pensare a Maria come fidanzata, come moglie, come madre, come vedova, in cammino nel buio luminoso della fede, sorretta da una grande speranza, non è facile. Maria, infatti, ha duemila anni di storia. Santi, poeti, artisti ne sono rimasti tanto affascinati fino a idealizzarla, stilizzarla, divinizzarla: divenuta una dea, naturalmente non ha più senso per l’uomo.
Eppure dal vangelo emerge una donna pienamente inserita nella vita e nella storia: per questo dico che solo una madre (e una madre che abbia visto morire suo figlio!) può comprendere in pieno la vita e il messaggio di Maria, perché il cristianesimo non è una teoria ma una passione, non è un’ideologia ma un’esperienza, è vita da vita. Maria è vissuta in terra di Nazaret; i suoi gesti e pensieri soggiornavano nel perimetro del concreto; anche se l’estasi era un’esperienza frequente, Maria era lontana dalle astrattezze dei visionari, dalle evasioni degli scontenti, dalle fughe degli illusionisti: conservava il domicilio nel terribile quotidiano.
Se sottolineo questa «ferialità» in Maria, se per un attimo tolgo l’aureola e spengo i riflettori, è per vedere quanto è bella Maria a capo scoperto; è per misurare meglio l’onnipotenza di Dio. All’interno della casa di Nazaret, tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, Maria ha vissuto gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. Festa dell’Immacolata: non un giorno per fare festa, ma una festa per riflettere su una donna uguale e diversa da tutte le altre. E imitarla, perché la vera devozione è quella che porta all’imitazione.

Beata Vergine Maria Addolorata

Se l’amore è ciò che rende la vita veramente umana, è vero anche che l’amore è un dono che rende vulnerabili. Infatti se tu ami qualcuno allora la vita di quel qualcuno nel bene o nel male ti riguarda. La sua gioia sarà la tua gioia, e il suo dolore sarà il suo dolore.
È questo forse il significato che è nascosto nella festa di oggi: la Beata Vergine Maria Addolorata.
Il dolore che Maria prova è la testimonianza che ama Gesù. Soffre perché non può restare indifferente davanti alla sofferenza di Suo Figlio. L’amore che ha per Lui la rende vulnerabile.
Ed è qui la cosa che ci lascia senza fiato: Maria pur sperimentando questa lancinante sofferenza, non indietreggia. Lo dice bene la pennellata del Vangelo di Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala”.
Lì dove c’è il Figlio, lì c’è la Madre. Non fugge, non si nasconde, non evita, non edulcora.  
Maria si espone al dolore perché non vuole smettere di amare Suo Figlio Gesù.
Ecco allora che questa festa non è la festa del dolore di Maria, ma del Suo coraggioso Amore che non indietreggia neppure davanti al dolore. È a Lei quindi che dobbiamo chiedere di aiutarci a saper vivere così, ad amare così, a non indietreggiare davanti alla vita concreta di chi amiamo. Ecco perché il discepolo Giovanni si accaparra l’affare più importante di tutta la vita: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”.
Avere con sé Qualcuno che ama così non può non essere un affare perché si può star certi che nell’ora della prova non ci lascerà mai soli.

Beata Vergine Maria Regina

Celebrando la regalità di Maria, noi celebriamo lo splendore della risurrezione di Cristo, in forza della quale Egli si è seduto alla destra del Padre, finché tutti i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi.
È in ragione e a causa della regalità di Cristo che anche Maria è entrata in possesso di una dignità regale. Cristo risorto, infatti, non è una eccezione; la sua risurrezione non è un “caso a sé”: è risorto – come insegna l’Apostolo Paolo – come “primizia di coloro che sono morti”. L’immagine dei primi frutti del campo o dei primi nati del bestiame da offrire al tempio dice che si tratta non di un caso sporadico e unico: Cristo è stato risuscitato non come il solo, bensì come il primo di una serie di morti che risusciteranno. Non è un individuo a parte, ma il primo anello di una catena. Come dunque Cristo in forza della sua risurrezione è stato costituito Signore, così ogni suo discepolo diviene partecipe della sua regalità. “Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono”. Così ha promesso il Risorto ad ogni suo discepolo: la partecipazione alla sua regalità. Questa partecipazione raggiunge in Maria un grado eminente e superiore ad ogni altro, così che a titolo unico Ella può e deve essere invocata come nostra Regina. Le ragioni per cui Maria partecipa in modo eminente la dignità regale di Cristo sono tre. La prima e principale è senza alcun dubbio la sua divina maternità. Nella pagina evangelica, del figlio che sarà partorito da Maria è detto: “il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Ne segue che Maria stessa è Regina, avendo concepito e generato un Figlio che nel medesimo istante del suo concepimento era re e signore di tutte le cose. “E’ veramente diventata Signora di tutta la creazione” scrive un Padre della Chiesa “nel momento in cui divenne Madre del Creatore” [S. Giovanni Damasceno]. La seconda ragione per cui Maria deve essere proclamata regina è la parte singolare che Ella ebbe nell’opera della nostra redenzione.
Scrivendo ai cristiani, l’apostolo Pietro dice: “voi non siete stati redenti con oro e argento, beni corruttibili, ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” [1Pt 1,18]. Noi non apparteniamo a noi stessi, ma a Cristo che ci ha “comprati a caro prezzo” [1Cor 6,20 a]. Ora, per divina volontà, Maria fu strettamente associata all’atto redentivo di Cristo, sotto la Croce. Quindi, “Come Cristo per il titolo speciale dell’atto redentivo è nostro Signore e nostro re, così anche la Vergine beata è nostra Signora e regina” dal momento che ha volontariamente offerto il suo Figlio desiderando, chiedendo e procurando in modo singolare la nostra salvezza. La terza ragione è che Maria partecipa in modo singolare al regno con cui Gesù risorto regna ora nelle menti e nei cuori dei suoi discepoli. Egli infatti attraverso il dono del suo Santo Spirito che ci viene fatto mediante i sacramenti della fede, ci configura intimamente a Lui. Ad ogni grazia che proviene solamente da Cristo come dalla sua sorgente Maria coopera ora colla sua preghiera di intercessione. Nel prefazio con cui ci introdurremo nella grande preghiera eucaristica, la fede della Chiesa circa la regalità di Maria è stupendamente espressa: “Accanto a Lui ha voluto esaltare la Vergine Maria, che ha sopportato con fortezza l’ignominia della Croce di Cristo. Tu l’hai innalzata accanto a Lui … dove regna gloriosa e intercede per tutti gli uomini, avvocata di grazia e regina dell’Universo”. A causa di questi triplice titolo di regalità, Maria è collocata in posizione tale che la Madre non contempla nulla al di sopra di sé, se non il solo Figlio, la Regina non ammira niente al di sopra di sé se non il solo Re, la nostra Mediatrice non venera niente al di sopra di sé se non il solo Mediatore, con cui proprio lei ci concilia e a cui ci raccomanda e ci presenta colle sue preghiere. La devozione ed il culto mariano sono dimensioni essenziali nella nostra vita cristiana: non è veramente cristiano chi non è mariano. E’ Maria infatti che ci conduce al suo Figlio. Ella infatti che si gloria di aver generato l’unico figlio del Padre, abbraccia in tutte le sue membra il loro unico e medesimo Figlio, e non si vergogna di venir chiamata madre di tutti coloro in cui riconosce il suo Cristo formato o in cui viene a sapere che il suo Cristo è in formazione.
Affidiamoci pienamente alla sua materna sollecitudine.

Indulgenza della Porziuncola: “Perdono d’Assisi”

Sabato 2 agosto in occasione della Madonna degli Angeli alle ore 21 recita del Rosario in Via Tarenzi.

La maestosa Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola, costruita su interessamento di S. Pio V a partire dal 1569 e che sorge a circa quattro chilometri da Assisi, racchiude tra le sue mura l’antica cappella della Porziuncola, legata alla memoria di San Francesco d’Assisi. Oggi sulla sua facciata c’è un affresco raffigurante l’istituzione del Perdono di Assisi.

COME NASCE IL "PERDONO D'ASSISI"?

Proprio alla Porziuncola il Santo d’Assisi ebbe la divina ispirazione di chiedere al papa l’indulgenza che fu poi detta, appunto, “della Porziuncola o Grande Perdono”, la cui festa si celebra il 2 agosto.
È il diploma di fr. Teobaldo, vescovo di Assisi, uno dei documenti più diffusi, a riferirlo.
S. Francesco, in una imprecisata notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, vide all’improvviso uno sfolgorante chiarore rischiarare le pareti dell’umile chiesa. Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore chiese al suo Servo quale grazia desiderasse per il bene degli uomini.
S. Francesco umilmente rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”.
“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande – gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e
di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra,
da parte mia, questa indulgenza”.

LA RICHIESTA A PAPA ONORIO III
Alle prime luci dell’alba, quindi, Francesco, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si diresse verso Perugia, dove allora si trovava il Papa. Sedeva sul soglio di Pietro, dopo la morte di Innocenzo III, papa Onorio III, uomo anziano ma molto buono e pio, che aveva dato ciò che aveva ai poveri.
Il Pontefice, ascoltato il racconto della visione dalla bocca del Poverello di Assisi, chiese per quanti anni domandasse quest’indulgenza. Francesco rispose che egli chiedeva “non anni, ma anime” e che voleva “che chiunque verrà a questa chiesa confessato e contrito, sia assolto da tutti i suoi peccati, da colpa e da
pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all’ora ch’entrerà nella detta chiesa”.
Si trattava di una richiesta inusitata, visto che una tale indulgenza si era soliti concederla soltanto per coloro che prendevano la Croce per la liberazione del Santo Sepolcro, divenendo crociati.

Il Papa, infatti, fece notare al Poverello che “Non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile”. Francesco ribatté: “Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo”. Nonostante, quindi, l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva (“Piace a Noi che tu l’abbia”). Sul punto di accomiatarsi, il Pontefice chiese a Francesco – felice per la concessione ottenuta – dove andasse “senza un documento” che attestasse quanto ottenuto. “Santo Padre, – rispose il Santo – a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”.
L’indulgenza fu ottenuta, quindi, “vivae vocis oraculo”.

Madonna del Carmelo

La devozione spontanea alla Vergine Maria, sempre diffusa nella cristianità sin dai primi tempi apostolici, è stata man mano nei secoli, diciamo ufficializzata sotto tantissimi titoli, legati alle sue virtù (vedasi le Litanie Lauretane), ai luoghi dove sono sorti Santuari e chiese che ormai sono innumerevoli, alle apparizioni della stessa Vergine in vari luoghi lungo i secoli, al culto instaurato e diffuso da Ordini Religiosi e Confraternite, fino ad arrivare ai dogmi promulgati dalla Chiesa. Maria racchiude in sé tante di quelle virtù e titoli, nei secoli approfonditi nelle Chiese di Oriente ed Occidente con Concili famosi e studi specifici e che oltre i grandi cantori di Maria nell’ambito della Chiesa, ha ispirato elevata poesia anche nei laici.
Ma il culto mariano affonda le sue radici, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.) dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità. In quella nube piccola “come una mano d’uomo” tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia. Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la ‘Stella Polare, la Stella Maris’ del popolo cristiano. E sul Carmelo continuarono a vivere gli eremiti, finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati. Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri. Il 16 luglio del 1251 la Vergine circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell’Ordine, beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine, per vivere sotto la sua protezione ed è infine un’alleanza e una comunione tra Maria ed i fedeli. Esso consiste di due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella, che si appoggia sulle scapole e sui due pezzi vi è l’immagine della Madonna.
Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Maria è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo ‘scapolare’ (tutto porta a Gesù), e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità). La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui nel 1251, apparve al beato Simone Stock, porgendogli l’“abitino”.

Conclusione mese di maggio

Si conclude il Mese di Maggio camminando e pregando. Ci sono itinerari in cui si percorrono solo chilometri, altri che permettono di aprire la mente e altri che mettono in movimento il cuore. Dipende da che cosa si è disposti a “perdere”. Per fare chilometri serve “perdere” tempo. Per aprire la mente serve “perdere” tutto ciò che può distrarre. Ma per mettere in moto il cuore bisogna “perdere” ciò che crediamo di avere. Perlomeno, bisogna essere predisposti a non trattenere. Maria che “si alzò in fretta e andò” è la donna che percorre chilometri mossa dal suo cuore. Maria è la donna davvero libera, che percorre chilometri, che apre la sua mente e lascia che la Parola del Signore metta in movimento il suo cuore. A chi cerca di riempirsi col vuoto di sé, a chi ambisce ai vertici mondani, a chi si affanna inseguendo il proprio benessere, la vita di Maria sembrerà ben poco attraente, per nulla invidiabile, ma essa è il modello perfetto di chi cerca solo l’Amore di Dio.

Visitazione della B.V.M.

La festa della Visitazione chiude il mese di Maggio che per tradizione è dedicato alla Vergine Maria.
Un mese che ci ha visti come comunità cristiana riuniti insieme con Maria per la recita del Rosario serale. È una di quelle feste che ci costringe a metterci in cammino. Maria è la protagonista di un gesto talmente tanto rivoluzionario che rimarrà come battistrada per tutti coloro che vogliono prendere sul serio Dio.
Ella davanti all’annuncio dell’angelo non si ritira in una preghiera individualistica, ma sente l’urgenza di trasformare in carità il dono ricevuto. Ed è proprio in questo gesto che Maria ritrova la parola per sé, cioè la rilettura sapienziale di ciò che le è accaduto. Infatti, le parole che ella pronuncia, sono la diretta conseguenza delle parole di Elisabetta. Maria canta la sua storia, la racconta, la condivide.
E mentre si guarda dentro scorge anche i segni del domani e non solo traccia del passato.
Quando guardiamo la nostra vita non dobbiamo soltanto tirare le conclusioni dalle nostre esperienze, dobbiamo avere il coraggio di guardare anche avanti, al futuro, e ricordarci che siamo figli di un Dio che disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti e gratifica gli umili, ricolma di beni chi è affamato e a chi si crede ricco lascia le mani vuote. Maria dice tutto questo mentre sa che dovrà fare i conti con le angherie di Erode, le incomprensioni dei vicini, la povertà dell’esilio forzato in Egitto.
Ella sa bene che la cronaca è molto spesso cronaca nera, ma, nonostante ciò, sa cantare la luce nascosta in essa. L’esperienza delle fede non è l’esperienza di vedersi risolti tutti i problemi e per questo sentirsi grati, è invece l’esperienza di saper scorgere un misterioso bene lì dove tutti vedono solo ingiustizia e imprevisti. Ma il dono di questo sguardo viene donato solo a coloro che sanno mettersi in gioco nella carità concreta, così come ha fatto Maria. Anzi è proprio lei che ci dice in fondo qual è lo scopo vero di ogni carità: portare gioia nella vita degli altri. Chi sa fare questo trova gioia anche per sé.

Santa Maria della Fonte

“L’anno 1432 dalla nascita del Signore – si legge in un antico racconto – il giorno 26 maggio alle ore cinque della sera, avvenne che una donna di nome Giannetta, oriunda del borgo di Caravaggio, di 32 anni d’età, figlia di un certo Pietro Vacchi e sposa di Francesco Varoli, conosciuta da tutti per i suoi virtuosissimi costumi, la sua cristiana pietà, la sua vita sinceramente onesta, si trovava fuori dall’abitato lungo la strada verso Misano, ed era tutta presa dal pensiero di come avrebbe potuto portare a casa i fasci d’erba che lì era venuta a falciare per i suoi animali. Quand’ecco vide venire dall’alto e sostare proprio vicino a lei, una Signora bellissima e ammirevole, di maestosa statura, di viso leggiadro, di veneranda apparenza e di bellezza indicibile e non mai immaginata, vestita di un abito azzurro e il capo coperto di un velo bianco. Colpita dall’aspetto così venerando della nobile Signora, stupefatta Giannetta esclamò:  Maria Vergine! E la Signora subito a lei: Non temere, figlia, perché sono davvero io. Fermati e inginocchiati in
preghiera”. La Vergine disse alla donna dei gravi peccati che gli uomini commettono e di aver chiesto al Figlio suo “misericordia per le loro colpe”. Invitava a digiunare con pane e acqua al venerdì e di dedicare a lei il sabato.
Inviava poi Giannetta a portare questo annuncio alla gente, promettendo forti segni che avvallassero le sue parole.
E così avvenne: la gente credette, vennero a visitare il luogo dell’apparizione “e vi trovarono una fonte mai veduta prima da nessuno. A quella fonte si recarono allora alcuni malati che se ne tornavano liberati dalle infermità di cui soffrivano, per l’intercessione e i meriti della Madre di Dio ”.

B.V.M Ausiliatrice

L’esistenza umana ha due facce: può essere vista come un cammino da compiere in solitudine dal principio alla fine, oppure come un percorso condiviso dove il senso si trova proprio nel prendersi per mano. La Chiesa oggi ci ricorda che anche la strada verso il Cielo non è mai sforzo eroico individuale ma sempre un’opera da realizzare in comunità. Ricordare la Beata Vergine con il titolo di «Ausiliatrice» o «Aiuto dei cristiani» vuol dire proprio scoprirsi bisognosi di condivisione ad ogni singolo passo, sia esso un passo sicuro e gioioso oppure un insicuro procedere tra le difficoltà.
Maria è colei che rende possibile l’incarnazione, ovvero il modo che Dio ha scelto per salvare l’umanità e aiutarla a trovare la strada verso ciò che conta davvero.
Il titolo di «Ausilio dei cristiani», da sempre accostato a Maria nella tradizione della devozione popolare, trovò una formulazione “ufficiale” dopo la battaglia di Lepanto nel 1571, quando venne invocata a protezione delle flotte cristiane. La festa fu fissata al 24 maggio nel 1815 da Pio VII.
All’Ausiliatrice don Bosco affidò tutta la propria opera.

Mese di maggio: mese Mariano

Nell’anno del Giubileo sulla speranza cristiana, guardiamo a Maria, Madre della speranza.
Maria ha attraversato più di una notte nel suo cammino di madre. Fin dal primo apparire nella storia dei vangeli, la sua figura si staglia come se fosse il personaggio di un dramma. Non era semplice rispondere con un “sì” all’invito dell’angelo: eppure lei, donna ancora nel fiore della giovinezza, risponde con coraggio, nonostante nulla sapesse del destino che l’attendeva. Maria in quell’istante ci appare come una delle tante madri del nostro mondo, coraggiose fino all’estremo quando si tratta di accogliere nel proprio grembo la storia di un nuovo uomo che nasce. Quel “sì” è il primo passo di una lunga lista di obbedienze – lunga lista di obbedienze! – che accompagneranno il suo itinerario di madre. Così Maria appare nei vangeli come una donna silenziosa, che spesso non comprende tutto quello che le accade intorno, ma che medita ogni parola e ogni avvenimento nel suo cuore. In questa disposizione c’è un ritaglio bellissimo della psicologia di Maria: non è una donna che si deprime davanti alle incertezze della vita, specialmente quando nulla sembra andare per il verso giusto. Non è nemmeno una donna che protesta con violenza, che inveisce contro il destino della vita che ci rivela spesso un volto ostile. È invece una donna che ascolta: non dimenticatevi che c’è sempre un grande rapporto tra la speranza e l’ascolto, e Maria è una donna che ascolta. Maria accoglie l’esistenza così come essa si consegna a noi, con i suoi giorni felici, ma anche con le sue tragedie che mai vorremmo avere incrociato. Fino alla notte suprema di Maria, quando il suo Figlio è inchiodato al legno della croce. Fino a quel giorno, Maria era quasi sparita dalla trama dei vangeli: gli scrittori sacri lasciano intendere questo lento eclissarsi della sua presenza, il suo rimanere muta davanti al mistero di un Figlio che obbedisce al Padre. Però Maria riappare proprio nel momento cruciale: quando buona parte degli amici si sono dileguati a motivo della paura. Le madri non tradiscono, e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo figlio. I vangeli sono laconici, ed estremamente discreti. Registrano con un semplice verbo la presenza della Madre: Lei stava. Nulla dicono della sua reazione: se piangesse, se non piangesse… nulla; nemmeno una pennellata per descrivere il suo dolore: su questi dettagli si sarebbe poi avventata l’immaginazione di poeti e di pittori regalandoci immagini che sono entrate nella storia dell’arte e della letteratura. Ma i vangeli soltanto dicono: lei “stava”. Stava lì, nel più brutto momento, nel momento più crudele, e soffriva con il figlio. “Stava”. Maria “stava”, semplicemente era lì. Eccola nuovamente, la giovane donna di Nazareth, ormai ingrigita nei capelli per il passare degli anni, ancora alle prese con un Dio che deve essere solo abbracciato, e con una vita che è giunta alla soglia del buio più fitto. Maria “stava” nel buio più fitto, ma “stava”. Non se ne è andata. Maria è lì, fedelmente presente, ogni volta che c’è da tenere una candela accesa in un luogo di foschia e di nebbie. Nemmeno lei conosce il destino di risurrezione che suo Figlio stava in quell’istante aprendo per tutti noi uomini: è lì per fedeltà al piano di Dio di cui si è proclamata serva nel primo giorno della sua vocazione, ma anche a causa del suo istinto di madre che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione. Le sofferenze delle madri: tutti noi abbiamo conosciuto donne forti, che hanno affrontato tante sofferenze dei figli! La ritroveremo nel primo giorno della Chiesa, lei, madre di speranza, in mezzo a quella comunità di discepoli così fragili: uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura. Ma lei semplicemente stava lì, nel più normale dei modi, come se fosse una cosa del tutto naturale: nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione, ma anche dai tremori dei primi passi che doveva compiere nel mondo. Per questo tutti noi la amiamo come Madre. Non siamo orfani: abbiamo una Madre in cielo, che è la Santa Madre di Dio. Perché ci insegna la virtù dell’attesa, anche quando tutto appare privo di senso: lei sempre fiduciosa nel mistero di Dio, anche quando Lui sembra eclissarsi per colpa del male del mondo. Nei momenti di difficoltà, Maria, la Madre che Gesù ha regalato a tutti noi, possa sempre sostenere i nostri passi, possa sempre dire al nostro cuore: “Alzati! Guarda avanti, guarda l’orizzonte”, perché Lei è Madre di speranza.