La Giornata Missionaria Mondiale vuole metterci nel cuore la nostalgia di questa novità: il mondo come nel disegno di Dio, come nel suo cuore, nel suo mistero. È opportuno allora ridirci alcune motivazioni, utili per gli addetti ai lavori, preziose per tutti coloro che sentiranno parlare di missioni, missionari, missionarietà, proprio perché il tutto non si riduca ad un po’ di compassione, un’offerta e la coscienza sistemata almeno per un anno ancora.
La missione è espressione di una consapevolezza: il Signore Gesù è fondamentale per la vita.
Proprio per questo sento di doverlo comunicare, far conoscere e condividere.
C’è una responsabilità di generare alla fede che è propria di chiunque nella fede già vive, di chiunque dalla fede è già stato segnato. È qualcosa che si manifesta a livello personale, nel contesto familiare e degli amici, ed insieme assume rilevanza nell’ambito della comunità parrocchiale e della Chiesa in genere. La fede chiede di diventare testimonianza e questo avviene nell’orizzonte della missione. Non è casuale che alla ripresa di un anno pastorale proprio la missione ci accolga sull’uscio del tempo appena iniziato.
La missione trova il suo habitat nella quotidiana storia dell’uomo intercettando bisogni, attese, speranze, mettendo a disposizione di tutto questo l’annuncio del Vangelo che trova modo di esprimersi in ogni cultura e situazione. Un mese, quello di ottobre, per ricordarci che la vita di fede non è riconducibile alla banalità di alcuni gesti e riti, ma che gesti e riti assumono tutta la loro rilevanza perché capaci di prendersi cura della vita. L’impegno dei missionari nel mondo raggiunge spesso contesti e persone che altri rifiutano, si spende per situazioni che sembrano senza ritorno, raggiunge limiti di sopportazione e di accettazione. Non è eroismo, ma testimonianza di fede.
Perché allora l’ottobre missionario? Per non lasciare che la Chiesa, i suoi ministri e ed i suoi fedeli, assaporino il riposo della conquista dimenticando di essere sempre per strada.
È il Vangelo che cammina, prende corpo, interroga la vita, risponde alle attese, realizza i sogni, sconvolge il potere, restituisce dignità.
Il vangelo che la Chiesa, indegnamente, ma con passione offre all’uomo di sempre e per sempre.
In queste ragioni della missione, noi ci mettiamo in gioco come comunità cristiana!
È chiaro, dunque, che la missione non ci appartiene, anche solo perché è più grande di noi, perché le nostre forze sono limitate e, molto di più, perché piena di contraddizioni è la nostra volontà.
Ma della missione, almeno come cristiani, non possiamo fare a meno. Verrebbe a mancare il volto di un’esperienza di fede che è per natura sua estroverso e chiede continuamente di impastarsi con la storia dell’uomo. È lì che misura la sua credibilità! E la missione costa!
Il costo più gravoso si misura però sulla vita, perché occorre “imparare” la missione, occorre educare il cuore all’irrompere del Vangelo nella vita.
Quante volte questo impatto ha sconvolto i nostri piani. Ci ha chiesto di prendere posizione.
Abbiamo questa disponibilità? Abbiamo questo coraggio?