Come è noto, la domenica delle Palme è dominata dalla solenne lettura della Passione, quest’anno secondo la relazione offertaci da Marco (cc. 14-15).
Davanti a questa sequenza di eventi che oggi sentiamo narrare con commozione sono possibili infinite considerazioni. Ne scegliamo tre desumendole dagli stessi dati marciani. Innanzitutto la passione con le sue sofferenze e la morte è il momento più profondo di fratellanza di Dio con l’uomo che soffre e muore: dolore e morte sono infatti qualità specifiche della creatura ed assenti in Dio. E per questo che Marco è attento a segnalare tutti i tratti dell’incarnazione divina nel Cristo non solo attraverso la puntuale annotazione delle date e delle ore ma anche con la precisa indicazione dei luoghi, da Betania al Golgota. Dio entra, quindi, nelle nostre coordinate tragiche e quotidiane, modeste e terribili per seminare la scintilla dell’infinito e della salvezza.
Una seconda suggestione emerge da una specie di atmosfera continua che accompagna la via della sofferenza di Gesù. Essa, infatti, si rivela come un viaggio nella solitudine più insopportabile. Tutti lo abbandonano: da Giuda il traditore a Pietro il discepolo caro, fino a tutti gli altri discepoli, dai membri più qualificati del suo popolo fino alla folla più povera e semplice. Ma il vertice è in quel misterioso silenzio del Padre, sperimentato da tutti i sofferenti della terra ma unico e sconvolgente in Cristo, il Figlio. L’odio degli uomini si scatena, la paura degli amici prevale, il silenzio di Dio sconcerta. In Gesù si ritrova, quindi, tutta la vicenda del dolore umano. Egli raccoglie in sé tutte le lacrime e tutte le lacerazioni fisiche ed interiori per portarle a Dio e dar loro un senso che solo Dio può trovare. Infine, in queste pagine troviamo quello che per tutta la trama del Vangelo di Marco era il vertice dell’itinerario spirituale proposto al discepolo. Sul Calvario, davanti al Cristo morto ma anche di fronte a segni straordinari del suo mistero, un pagano, il centurione romano, proclama la perfetta definizione di Gesù, superiore a quella pur grande pronunziata da Pietro, «Cristo messia»: «Veramente costui è Figlio di Dio!». Nella morte in croce di Gesù, senza fraintendimenti,
si svela in pienezza il suo segreto: egli non era un messia politico trionfatore ma è il Figlio di Dio che donandosi salva. Ed è a questa professione di fede che siamo oggi condotti dalla liturgia attraverso la proclamazione della passione secondo Marco.
