L’insostenibile leggerezza del Bene

Il male trova un grande sostegno nel tempo presente. È sponsorizzato dalla spettacolarità delle immagini televisive e cinematografiche ed è il filo conduttore del passatempo per i bambini che consumano cartoni, in cui le relazioni umane sono fondate spesso sui fatti di forza o di violenza, e videogiochi. Il male, l’uccidere per esempio, finisce per appassionare e tenere la vista, come anche la mente, occupata nelle tecniche relative a come fare del male al prossimo. Ma ciò che ancor più colpisce, in questa nostra società, è l’inutilità del bene.

Nulla lo promuove e se si offre un gesto di bontà, un’attenzione gratuita, una risposta “strana” rispetto alla regola dominante, essa non trova riconoscimento, nemmeno si viene ringraziati. Penso subito alla strada: se lascio passare un’auto, rallentando, considerate le strade strette in alcuni punti della nostra zona, non sono quasi mai ringraziato. Lo so che il bene dovrebbe essere compiuto per sé, senza ricercarne la mercede e semmai aspettarsela nell’altra vita, oltre il tempo mortale. Ma sono convinto in ogni caso che dovrebbe esserci anche un riconoscimento su questa terra, un valorizzare gesti belli e positivi, altrimenti il bene scompare e saremmo sopraffatti solo dai dispetti, dal male, potendosi dire contenti solo se non abbiamo ricevuto improperi, o evitato disgrazie. Il bene, quando si limita a evitare una disgrazia, grande o piccola, non ha alcun senso, poiché non produce nulla. Il bene tende a essere ridotto ai vantaggi economici. Un bene tramutato in oggetti.

Il bene  –  dal gesto gentile ad un sorriso, fino a dare la propria vita perché si è parte dell’altro  –  è perdente in questa società. Un’insensibilità al bene a cui si è giunti seguendo un decrescendo drammatico: prima la professionalità, poi la paura della violenza quotidiana e il sospetto, dunque la chiusura nel privato, poi il costo del fare il bene, che va dalla “perdita di tempo” al rischio di danni a sé o alle cose proprie, poi la percezione del non riconoscimento: tutto ciò allontana dai bisogni del prossimo. E così non lo vediamo o scappiamo tra mille giustificazioni plausibili. In questa società c’è bisogno di riportare il gusto del bene, il piacere di farlo, la gratificazione per averlo espresso e promosso. Insomma, una società che ha banalizzato il male ed è insensibile al bene fino a nemmeno riconoscerlo, non può che essere una società perduta, una nave in mezzo al mare senza riferimenti, in balia di un’onda che la può inabissare.

Mentre il male va in video, il bene scompare nel silenzio e nell’indifferenza. Sempre più spesso si sente affermare “non sono affari miei”, “non mi riguarda” e il mondo risulta costituito di tante isole, di tanti narcisi dove ognuno guarda a se stesso e ignora l’altro e semmai lo strumentalizza al proprio tornaconto. Non c’è certo posto per il bene, ma per il proprio bene che è sempre una profanazione, poiché il bene ha una dimensione comune, un’appartenenza a una intera società. So che esiste nel nostro paese, nella nostra comunità un volontariato straordinario con la voglia di fare il bene per il bene, anzi con il gusto e il piacere di farlo. Spero proprio che queste persone non si scoraggino di fronte alle molteplici e crescenti difficoltà (soprattutto la mancanza di riconoscimento del bene).

Spero proprio che queste persone continuino a dare volto concreto al bene, a testa alta, con passione e a mostrarlo con “umiltà”, perché il bene deve essere visto, soprattutto dalle nuove generazioni.

Don Giuseppe