Si conclude qui il tempo di Natale, con questa affermazione del Padre: “Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. È un bisogno fondamentale sentirsi riconosciuti, apprezzati, ma qui c’è anche qualcosa di più: il Padre si compiace di te. Compiacersi di qualcuno è più che provare stima o orgoglio per lui, è provare un piacere intimo, una soddisfazione particolare nell’apprezzare il suo valore. Il Padre prova dunque anche una gioia intima nel dichiarare il suo amore per te, suo Figlio. Se penso che il Natale ci ha condotti proprio alla riscoperta del nostro essere figli di Dio, allora non posso non credere che queste parole siano rivolte anche a ciascuno di noi. Io, gli altri, siamo gli “amati”. Vivere in questa condizione è rappacificante, ma è anche uno stimolo a rispondere a un tale amore. È in questa direzione che sono andati gli anni che tu hai vissuto nel nascondimento, un lungo apprendistato all’umanità, all’ascolto interiore del Padre nell’imparare ad essere Figlio dalle cose che hai vissuto e patito.
Siamo figli, è vero, ma dobbiamo imparare ad esserlo. Il segno che qualifica il tuo essere figlio è l’aver ascoltato la voce del Padre in quella di Giovanni il Battista e nell’averla accolta nel mettersi in fila, accanto a coloro che confessavano il loro peccato per farsi battezzare. Il Padre non poteva non notare la tua umiltà e bontà, la tua vicinanza e solidarietà con gli uomini, ragione della tua venuta, per non prorompere in questa frase proveniente dal suo cuore a conferma di ciò che sei e fai: “Tu sei l’amato”. Tocca ora a me, seguire la medesima tua via, mettermi al passo degli ultimi e seminare ovunque i germi universali della fraternità, così come ci ha ricordato il Papa parlando di S. Francesco: “solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi”.