Breve storia
La Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti e la Chiesa ortodossa celebrano la festività liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre, anniversario del ritrovamento della vera Croce da parte di sant’Elena (14 settembre 320), madre dell’imperatore Costantino, e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (335). Secondo la tradizione, Sant’Elena avrebbe portato una parte della Croce a Roma, in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, e una parte rimase a Gerusalemme. Bottino dei persiani nel 614, fu poi riportata trionfalmente nella Città Santa.
Nella celebrazione eucaristica di questo giorno il colore liturgico è il rosso, il colore della Passione di Gesù che richiama appunto la Santa Croce e che viene utilizzato anche il giorno del Venerdì Santo durante il quale i fedeli cattolici compiono l’adorazione della Croce. In Oriente questa festa, per importanza, è paragonata a quella della Pasqua.
Qual è il significato di questa celebrazione?
La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l’albero della vita, il talamo, il trono, l’altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell’uomo che comparirà alla fine dei tempi.
La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è la semplice presentazione di “Cristo crocifisso”.
Il cristiano, accettando questa verità, “è crocifisso con Cristo”, cioè deve portare quotidianamente la propria croce, sopportando ingiurie e sofferenze, come Cristo, gravato dal peso del “patibulum” (il braccio trasversale della croce, che il condannato portava sulle spalle fino al luogo del supplizio dov’era conficcato stabilmente il palo verticale), fu costretto a esporsi agli insulti della gente sulla via che conduceva al Golgota. Le sofferenze che riproducono nel corpo mistico della Chiesa lo stato di morte di Cristo, sono un contributo alla redenzione degli uomini, e assicurano la partecipazione alla gloria del Risorto.
Per la preghiera e la riflessione personale
«Signore, io ti voglio bene e quindi mi auguro che queste cose non ti accadano mai. Tu ti meriti di vincere, non di essere sconfitto. Tu sei in grado di sbaragliare i tuoi nemici, non di subire la loro condanna? Tu sei il Figlio di Dio: fatti rispettare, dunque, mostra la tua forza!». Sì, anche noi, come Pietro ci siamo sentiti rimproverare, e ci ha addirittura chiamati “satana”, un impedimento, una tentazione sulla sua strada.
È vero: davamo per scontato che Dio la pensasse come noi e che le nostre strategie fossero in perfetta sintonia con i suoi progetti. È vero: finché resta un ornamento prezioso, un oggetto artistico, un simbolo prezioso da mettere al collo, la croce, tutto sommato, ci piace. Ma quando diventa vera, autentica, un fardello pesante da portare, un legno a cui venire inchiodati, uno strumento di dolore e di morte… Allora no! Non ci stiamo più! Sì, lo sappiamo, “dopo” viene anche la risurrezione, ma “intanto” ci troviamo in una situazione di pericolo, di insicurezza, di fallimento… “Dopo” tutto assume un senso, ma “intanto” ci troviamo nel bel mezzo del guado con un oggetto ingombrante sulle spalle, dalla parte degli sconfitti… Noi siamo pronti a guadagnare la vita eterna, ma non a perdere questa esistenza; disposti ad assicurarci un vantaggio enorme, ma non a correre un rischio mortale; fiduciosi nella tua potenza, ma non tanto da andar incontro a questi pericoli. Eppure non c’è un’altra strada. Non ci sono scorciatoie.
Resta quel sentiero stretto che passa per il Calvario, ed è l’unico che porti al mattino della Pasqua.