Se è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano, dobbiamo fare attenzione a un grosso pericolo che stiamo correndo: l’evacuazione della croce. Che non significa disprezzo della croce, o rifiuto della croce, o irrisione della croce. No. La croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive. Ma noi vi giriamo al largo. Troppo al largo. Prendiamo una extramurale lontanissima dal colle dove essa s’innalza. Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota.
Passa di striscio dalle pendici del luogo del Cranio. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte.
Le rivolgiamo inchini e incensazione in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.
L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. È un albero nobile che cresce su zolle recintate, lontano, troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Dobbiamo ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera del Calvario.
