Mio Signore e mio Dio (2)

I discepoli, nello stesso tempo, sono chiamati a compiere un itinerario per giungere alla fede pasquale. Tommaso, a questo proposito, è un simbolo eloquente. Non è stato facile per lui accettare quegli eventi drammatici che avevano tutto l’aspetto di una sconfitta definitiva. E ora che tutto sommato si è arreso all’evidenza dei fatti, non è nemmeno facile accogliere l’annuncio della risurrezione. Come spiegarsi questo tragitto paradossale di morte che conduce alla gloria? Ecco perché vuole vedere e toccare con mano. Ed è quello che Gesù gli offre di fare: «Metti il tuo dito… stendi la tua mano…». Il vangelo non dice se poi egli abbia veramente dato compimento al suo proposito. Ci mette, invece, con chiarezza, davanti alla sua professione di fede. In quelle parole – «Mio Signore e mio Dio!» – c’è infatti tutto il suo abbandono e la sua fiducia nel Crocifisso risorto. È come se le sue difese finalmente cadessero, assieme al suo bisogno di sapere, di spiegarsi, di vedere e di toccare, ed egli lasciasse spazio a questa presenza nuova, capace di trasformare la sua esistenza. In quelle parole non c’è l’affermazione di un fatto storico – “sei veramente risorto!” – ma l’inizio di una relazione nuova in cui si offre al Cristo la propria esistenza perché sia rigenerata e trasfigurata dal suo amore.