Il desiderio di essere dei personaggi oggi è abbastanza diffuso: si ambisce ad essere influencer con tanti followers; oppure ad andare in televisione, ad essere protagonisti di qualcuno di quei programmi che permettono anche alle persone comuni e senza doti particolari di farsi vedere, di essere famosi per una sera o per un giorno, di essere riconosciuti il giorno dopo quando si va a fare la spesa. Oppure non fare nulla senza che un fotografo possa immortalare quanto è accaduto e di cui l’io personale diventa protagonista.
Le persone per le quali la fede è ancora un’esperienza importante può darsi che ambiscano ad essere dei personaggi davanti a Dio: persone che si segnalano per il proprio impegno, il proprio zelo, le loro opere buone.
È molto difficile vivere la verità della propria vita: c’è un Narciso che vigila sulla soglia della nostra coscienza, a difesa del nostro onore, del nostro buon nome, della nostra onestà: anche davanti a Dio, che vorremmo costringere a riconoscere i nostri meriti e a darci la “patente” di cristiani per bene, meritevoli dell’elogio di Dio.
Questo è il paradosso: la nostra vita buona ci ha permesso di costruire il personaggio che pretendiamo di esibire anche davanti a Dio.
Questa vita impegnata spesso fa crescere il senso di noi stessi, ci fa sentire protagonisti, mette al centro della scena della nostra vita il nostro Io. Chi vive con questo spirito, non ha bisogno di salvezza: sono le sue scelte, le sue azioni, le sue opere a salvarlo.
La vera fede è quella che si affida a Dio, nel dono e nella dimenticanza di sé.
Dio non chiede di essere convinto dalle nostre opere buone: piuttosto è un Padre buono che conosce la nostra fragilità, anche quando noi stessi non la sappiamo riconoscere, ed è pronto ad accoglierci così come siamo, perché ci vuole bene.
Restituiti alla verità della nostra condizione personale, che fare? Disperarci perché si è infranta la maschera che ci teneva prigionieri del nostro personaggio? Oppure gioire perché attraverso quello scacco abbiamo potuto conoscere che c’è un amore che è più forte del peccato, del limite e della fragilità umana e che ci permette di riconciliarci con la persona che siamo?
Fine di un personaggio; inizio di una vita da persona.
Allora possiamo permetterci anche di essere fragili; non abbiamo nulla da dimostrare a Dio. Possiamo permetterci di continuare a fare il bene, con cuore libero e semplice, che non tiene il conto dei propri meriti.
Così, resi veri da una nuova esperienza di Dio, possiamo anche guardare con benevolenza ai nostri fratelli, senza più la pretesa di essere migliori di loro.
La comunità cristiana ha un grande bisogno di persone che non accampino la pretesa di essere migliori degli altri, e che siano disposte umilmente a mettersi a servizio di ciò di cui vi è bisogno, dove vi è bisogno. Così insegna il Vangelo.
