La perla è splendida e preziosa. Nasce dal dolore. Nasce quando un’ostrica viene ferita.
Quando un corpo estraneo — un’impurità, un granello di sabbia penetra al suo interno e la inabita, la conchiglia inizia a produrre una sostanza (la madreperla) con cui lo ricopre per proteggere il proprio corpo indifeso. Alla fine si sarà formata una bella perla, lucente e pregiata.
Se non viene ferita, l’ostrica non potrà mai produrre perle, perché la perla è una ferita cicatrizzata.
Quante ferite ci portiamo dentro, quante sostanze impure c’inabitano? Limiti, debolezze, peccati, incapacità, inadeguatezze, fragilità psico-fisiche… E quante ferite nei nostri rapporti interpersonali?
La questione fondamentale per noi sarà sempre: cosa ne facciamo? Come le viviamo?
La sola via d’uscita è avvolgere le nostre ferite con quella sostanza cicatrizzante che è l’amore: unica possibilità di crescere e di vedere le proprie impurità diventare perle. L’alternativa è quella di coltivare risentimenti verso gli altri per le loro debolezze, e tormentare noi stessi con continui e devastanti sensi di colpa per ciò che non dovremmo essere e per ciò che non dovremmo provare.
L’idea che spesso ci portiamo dentro è che dovremmo essere in un altro modo; che, per essere accettati da noi stessi, dagli altri e da Dio, non dovremmo avere dentro di noi quelle impurità indecenti.
Vorremmo essere semplici “ostriche vuote”, senza corpi estranei di vario genere, dei “puri” insomma.
Ma questo è impossibile, e anche qualora ci considerassimo tali, ciò non significherebbe che non siamo mai stati feriti, ma solo che non lo riconosciamo, non riusciamo ad accettarlo, che non abbiamo saputo perdonarci e perdonare, comprendere e trasformare il dolore in amore; e saremmo semplicemente poveri
e terribilmente vuoti.
