Gesù Cristo Re dell’Universo (2)

“Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte… Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.

“Gesù parla di un regno capovolto, dove l’ultimo diventa il primo e dove chi regna non comanda ma serve. La croce su cui Gesù muore è la sintesi di un cammino regale fuori dai luoghi comuni.
È il compimento di un modo di regnare/servire che Gesù ha vissuto nel quotidiano”.
E ha inaugurato per noi. La chiave del mistero di quella morte sta nella risposta alle domande ‘logiche’ di tutti: Perché non scendi dalla croce? Perché non chiarisci tutto facendo il miracolo? Ne hai fatti tanti di strepitosi, per gli altri… Se tu scendessi dalla croce, tutti ti crederebbero… Ma noi possiamo chiederci: in che cosa crederebbero? “Nel Dio forte e potente, nel Dio che sconfigge e umilia i nemici, che risponde colpo su colpo alle provocazioni degli empi, che incute timore e rispetto, che non scherza… Ma questo non è il Dio di Gesù. Se scendesse dalla croce, svuoterebbe il suo messaggio anteriore, tradirebbe la sua missione: avallerebbe l’idea falsa di Dio che le guide spirituali del popolo hanno in mente. Confermerebbe che il vero Dio è quello che i potenti di questo mondo hanno sempre adorato perché è simile a loro: forte, arrogante, oppressore, vendicativo, umano. Questo Dio forte è incompatibile con quello che ci è rivelato da Gesù in croce: il Dio che ama tutti, anche chi lo combatte, che perdona sempre, che salva, che si lascia sconfiggere per amore”. 
Quale Dio annunciamo? Quale volto di Dio rivela la missione che portiamo avanti: un Dio dalla povertà e debolezza o un dio alla ricerca di riconoscimenti e di potere? Quest’ultimo sarebbe in sintonia con la logica umana e con i re di questo mondo. Nel modo di far missione, a volte ci sono concessioni, c’è timore nell’annunciare, con le parole e con i fatti, un Dio che è sconfitto, che perde, soffre, perdona… E quindi non si favorisce la crescita di una Chiesa povera, umile, disposta a perdere… L’abbondanza di mezzi umani rischia di togliere trasparenza all’annuncio. È più conforme al Vangelo una missione che si realizza con mezzi deboli, che annuncia Dio dalla povertà, dall’umiltà, espulsione, persecuzione, distruzione… Perché è nella logica del Re che vince e regna dalla croce! Un re così disturba i nostri piani, perché esige un cambio di vita, capacità di perdono, accoglienza di chiunque, tempi più lunghi, prospettive scomode… Le condizioni sono esigenti, ma con Lui l’esito della missione è assicurato.

Gesù Cristo Re dell’Universo (1)

“Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte… Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini”.

Siamo giunti all’ultima domenica dell’anno liturgico, Anno C.
Domenica prossima comincia un nuovo anno. Intanto l’anno si chiude con una bellissima festa in onore di nostro Signore: la festa di Gesù Cristo re dell’universo. L’espressione “Cristo re” risulta dell’accostamento di due titoli che in realtà indicano la stessa cosa. Cristo è la traduzione greca del termine ebraico “Massiah”, che designa il re, in quanto eletto e consacrato col gesto simbolico dell’unzione. Nella prospettiva veterotestamentaria questo titolo è riservato al discendente davidico che realizza il regno di Dio di giustizia e di pace.
La primitiva comunità cristiana riconosce e proclama Cristo e Signore, Gesù, il discendente della
stirpe di Davide, scelto da Dio per realizzare il suo regno e il dono della salvezza a favore di tutti gli esseri umani. Si tratta essenzialmente della signoria, del dominio, della sovranità di Dio sul mondo.
Il regno di Dio non è dunque un luogo, una situazione o un gruppo di persone, ma è il fatto che Dio regna e le potenze che gli si oppongono (peccato, morte, satana) sono vinte.

Giovedì eucaristico

L’esposizione del SS. Sacramento, fatta sulla mensa dell’altare, attira la nostra attenzione sui segni del Sacramento. Vado a pregare perché sono «attirato», mi accorgo, mi rendo conto del segno del Pane, che significa qualcosa di preciso. La presenza del Signore, messa in risalto dall’esposizione, domanda che non ci siano altri centri di attrazione che sminuiscano, in qualche modo, la semplicità della concentrazione sul Pane consacrato. L’attenzione deve essere concentrata sulla persona di Cristo. Chi crede veramente di trovarsi alla presenza del Signore Gesù, come può allontanarsi su altre strade? Sarebbe un’imperdonabile mancanza di rispetto e, in ultima analisi, di fede. Con l’esposizione entriamo nel dinamismo di un rapporto, fatto di segni, che ci inserisce in una comunione profonda con Cristo e con i fratelli, nel contesto di una comunità, per diventare significativi nella Chiesa. L’adorazione ci porta alla comunione e crea la comunità. L’adorazione, come assemblea, porta un arricchimento nello sviluppo della vita fraterna, stimola lo spirito di unità e di carità, favorisce lo spirito di comunione tra i cristiani che adorano dopo aver celebrato. Contemplare insieme, adorare insieme, fortifica una vita di comunione. L’esposizione ci conduce a comunicare al Signore nella fede e nella carità. Riconoscendo la presenza del Cristo si è invitati ad una comunione di cuore con lui. È, quindi, entrare in comunione con Cristo fino a condividere la sua vita nello Spirito, per essere guidati dal suo stesso Spirito d’amore. L’Eucaristia è un progetto di vita da accogliere.
È qualcosa che non mi lascia come prima, ma che mi coinvolge pienamente in un cammino
continuo di conversione a Lui. L’Eucaristia è pienamente vissuta quando ci porta a donare «corpo e sangue», come Gesù, per i fratelli.


Giornata per il nostro Seminario

La nostra preghiera a sostegno della chiamata

Domenica 20 novembre, nella Solennità di Cristo re dell’Universo, celebriamo la Giornata per il nostro Seminario. Questa chiesa, la nostra chiesa, ha davvero a cuore la realtà del Seminario? 
Nel Seminario e per il Seminario lavora un gruppo di sacerdoti, dediti con passione alla formazione dei seminaristi: dobbiamo tutti essere grati a loro, perché le loro persone, forse prima ancora che la formazione che essi offrono, sono la proposta educativa più efficace per i ragazzi e i giovani.
E poi ci sono persone che amano il Seminario perché lo vedono come la garanzia che in questa chiesa continuerà ad esserci chi offre la Parola, l’Eucarestia e gli altri segni efficaci della presenza amorosa del Signore che sono i sacramenti; che non mancheranno la cura pastorale delle comunità, la formazione cristiana e l’accompagnamento dei cammini di fede di tante persone, e tanti altri servizi propri del prete necessari alla vita di una chiesa.
Davvero, tra le molte cose che in questa chiesa devono stare a cuore a tutti, non può mancare il Seminario. Perché il Seminario fa sì che la nostra chiesa continui ad essere anche in futuro, per grazia del Signore, grembo di fede e di vita cristiana. Il che significa che, se è compito più specifico del vescovo e di alcuni preti assicurare che il Seminario “funzioni bene”, è compito di tutti, a cominciare dalle famiglie, dalle comunità parrocchiali che si creino condizioni perché la voce del Signore che chiama al ministero
presbiterale sia percepita, e il fascino che emana da quella chiamata non venga oscurato da altre attrattive.
Noi ci ostiniamo a credere che Gesù continua a passare accanto a qualcuno, come lungo il lago di Galilea, dicendo: «Vieni dietro a me, ti farò diventare pescatore di uomini».
L’evangelista riferisce che Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Qualcuno avrebbe potuto dire a quei chiamati: ma dove vai? Sai cosa lasci ma non sai cosa trovi!
Ma che cosa ti viene in mente? Ma in quale strana avventura ti stai infilando?
Probabilmente questa opposizione non avvenne per gli apostoli. In ogni caso è arduo lasciare tutto e seguire Lui avendo molti contro, ed è naturale scoraggiarsi riscontrando perplessità o indifferenza attorno a sé. “Avere a cuore” il Seminario significa, prima di tutto, consentire al Signore di chiamare, e aiutare chi avverte la sua voce a farsi liberamente suo interlocutore.
Purtroppo cala il numero dei preti e ancor più quello dei seminaristi.
Comunque i futuri preti nascono nelle famiglie! E allora domenica prossima alla preghiera per il Seminario si accompagnerà quella per la comunità cristiana e per le famiglie: luoghi in cui nascono i futuri preti.

Ci è stato affidato un “giardino”

La terra è creata ed affidata all’umanità come un giardino: l’immagine biblica esprime la bellezza del creato e suggerisce il compito degli uomini di esserne i custodi e i coltivatori, con la responsabilità di trasmetterlo alle generazioni future (cf. Gen 2,15). L’alleanza di Dio con il suo popolo si manifesta nel dono di una terra «dove scorrono latte e miele» (cf Es 3,8), nei confronti della quale Israele conserva sempre la memoria che la prosperità viene dall’Altissimo, e a Lui ogni anno va presentata con gratitudine ogni primizia, condividendo la gioia per i beni ricevuti con chi non ha una sua proprietà, ossia con il levita e con il forestiero (cf. Dt 26,11). L’esperienza del peccato incrina la relazione all’interno dell’umanità e con la casa comune del creato: la Scrittura non manca di denunciare chi calpesta la dignità dell’altro, attraverso un uso ed un commercio iniquo di beni che sono invece destinati a tutti. In modo particolare è il profeta Amos che denuncia questa situazione: mercanti disonesti falsano le bilance e ingannano sulle unità di misura, per fare guadagni iniqui a svantaggio di chi lavora con onestà e dei poveri. Riescono persino a vendere lo scarto del grano! Il profeta si scaglia contro questa cultura di un profitto iniquo, che nega la dignità delle persone più umili, giungendo a «comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali» (Am 8,6).
Alle parole severe di denuncia si associano anche quelle che annunciano una rinnovata prosperità che scaturirà dalla fedeltà alla Parola di Dio: nei tempi messianici le relazioni sono improntate a giustizia ed equità, e l’umanità potrà godere dei frutti del suo lavoro. Lo stesso Amos assicura: «Pianteranno vigne e ne berranno vino, coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto» (Am 9,14). L’ingiustizia che ha devastato il lavoro dell’uomo e ne ha calpestato la dignità è destinata ad essere sconfitta: laddove si custodisce il legame con il Creatore, l’uomo mantiene viva la sua vocazione di custode del fratello e della casa comune.

“Coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto” (Am 9,14) “Custodia del creato, legalità, agromafie”

L’agricoltura è un’attività umana che assicura la produzione di beni primari ed è sorgente di grandi valori: la dignità e la creatività delle persone, la possibilità di una cooperazione fruttuosa, di una fraternità accogliente, il legame sociale che si crea tra i lavoratori.
Apprezziamo oggi più che mai questa attività produttiva in un tempo segnato dalla guerra, perché la mancata produzione di grano affama i popoli e li tiene in scacco.
Le scelte assurde di investire in armi anziché in agricoltura fanno tornare attuale il sogno di Isaia di trasformare le spade in aratri, le lance in falci (cf. Is 2,15).

“Gesù si è fatto povero per voi” (2 Cor 8,9)

Si celebra domenica 13 novembre 2022 la Giornata Mondiale dei Poveri, che Papa Francesco ha dedicato al tema Gesù Cristo si è fatto povero per voi. Papa Bergoglio, a partire dalla tragica attualità del conflitto in Ucraina, dall’insensatezza della guerra più volte definita dal Santo Padre “una pazzia”, individua tre percorsi per vivere la solidarietà responsabile.
Il primo è quello di rifiutare ogni forma di “rilassatezza che porta ad assumere comportamenti non coerenti”. È un tema che ritorna spesso nel magistero del Papa perché è una condizione culturale frutto di un esasperato secolarismo che rinchiude le persone all’interno di una muraglia cinese senza più senso di responsabilità sociale, con l’illusione di vivere un’esistenza felice ma di fatto effimera e senza fondamento.
Il secondo percorso è quello di assumere la solidarietà come forma di impegno sociale e cristiano. La solidarietà è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà. Molti Paesi negli ultimi decenni hanno fatto progressi grazie a politiche familiari e progetti sociali, è giunto quindi il momento della condivisione di questo “patrimonio di sicurezza e stabilità”, perché nessuno abbia a trovarsi nell’indigenza. Centrale in questo spirito di condivisione è il valore che si dà al denaro e l’uso che se ne vuole fare.
Il terzo passaggio è la proposta contenuta nel titolo di questa VI Giornata Mondiale dei Poveri.
È tratto dalla seconda Lettera di Paolo ai cristiani di Corinto: “Gesù Cristo si è fatto povero per voi”. Il contesto della Lettera dell’apostolo è quello della raccolta di fondi per sostenere i poveri della comunità di Gerusalemme. Ieri come oggi è importante dare continuità alla generosità.
La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà. Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo
sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire.

Un’altra povertà

Il pontefice osserva che l’apostolo non vuole costringere i cristiani a un’opera di carità. Infatti dice: «Non dico questo per darvi un
comando». Piuttosto, egli vuole mettere alla prova la sincerità del loro amore nell’attenzione verso i poveri, ricordando la
testimonianza di Cristo che ha voluto farsi povero Lui stesso.
Solo accogliendo questa grazia noi possiamo dare espressione concreta e coerente al nostro credo. Ciò significa essere coinvolti
direttamente, senza delegare a qualcuno la messa in pratica della fede e non diventando indifferenti nei confronti dei poveri per un
eccessivo attaccamento al denaro. Spiega poi il Papa: «C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi.
Richiamando la “grazia” di Gesù Cristo, Paolo vuole confermare quello che Lui stesso ha predicato, cioè che la vera ricchezza non consiste nell’accumulare “tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano”, ma piuttosto nell’amore vicendevole che ci fa portare i pesi gli uni degli altri così che nessuno sia abbandonato o escluso.
Il messaggio di Gesù ci mostra la via e ci fa scoprire che c’è una povertà che umilia e uccide, e c’è un’altra povertà, la sua, che libera e rende sereni».

Giovedì eucaristico

La Pasqua di Gesù è la chiave (senso, fondamento) di tutta l’esperienza umana, di tutta la realtà umana, di ogni pasqua umana. La preghiera ha come obiettivo la pasqua settimanale: festa, partecipazione, solennità, riposo, solidarietà, entusiasmo, esultanza, memoria delle varie morti e risurrezioni. Ed è preghiera con chi e per chi sta vivendo la pasqua nella propria carne.
Grazie alla preghiera di adorazione la nostra vita quotidiana è trasformata in un prolungamento della celebrazione eucaristica, diventa Eucaristia. La preghiera davanti a Cristo Signore, deve portare i fedeli «ad esprimere nella vita ciò che nella celebrazione dell’Eucaristia hanno ricevuto con la fede e il sacramento»; e ad «estendere e prolungare a tutta la vita cristiana l’unione con Cristo, cui il sacramento è ordinato».
La nostra preghiera è una risposta alla presenza di Cristo nel sacramento dell’altare.
La preghiera di adorazione davanti all’Eucaristia è una preghiera tutta particolare: si prega davanti ad un pezzo di pane, che per noi ha un valore più grande di un pezzo di pane.
La presenza nel pane è la presenza di un Cristo vivo, pasquale, che si dona a noi come pane spezzato da condividere. Perciò la nostra è una presenza a Lui che è la presenza per eccellenza.
Nell’Eucaristia, il centro è qualcuno che agisce, che chiama, che riunisce, che parla, che si dona, che nutre, che salva, che libera, che invia. Il centro è una persona che ama, che si dona per essere amata e chiede di amare. Il centro è il Cristo. Questo centro domanda che io aderisca pienamente a Lui, che io Gli doni tutta la vita, che faccia comunione con Lui per vivere di Lui.
Immedesimandoci con i sentimenti di Cristo, dalla preghiera davanti all’Eucaristia nasce un approfondito senso di appartenenza ecclesiale, di rinnovato impegno missionario, di nuova sensibilità ecumenica, di convinta promozione sociale. È una preghiera fatta in nome della Chiesa, che si apre alla universalità. È una preghiera per il mondo: ci facciamo carico di tutta la realtà che ci circonda, soprattutto della sofferenza, del male e del peccato.


La solidarietà

San Paolo apostolo, rivolgendosi ai primi cristiani di Corinto, voleva dare un fondamento alla solidarietà tra fratelli bisognosi. Infatti, su indicazione dell’apostolo essi si erano impegnati a organizzare una grande colletta per aiutare la comunità di Gerusalemme, che si trovava in gravi difficoltà dopo una carestia che aveva colpito il Paese. Come se il tempo non fosse mai trascorso da quel momento, anche noi ogni domenica, durante la celebrazione della santa Eucaristia, compiamo il medesimo gesto, mettendo in comune le nostre offerte perché la comunità possa provvedere alle esigenze dei più poveri. È un segno che i cristiani hanno sempre compiuto con gioia e senso di responsabilità, perché nessun fratello e sorella debba mancare del necessario. Però, dopo l’entusiasmo iniziale, i cristiani di Corinto si dedicarono sempre meno all’iniziativa benefica, spingendo Paolo a rilanciare la raccolta.
Oggi, la situazione si può ripetere: dopo sempre i primi entusiasmi, per tutte le cose, c’è il rischio di non rendere continuo il soccorso oltre l’emergenza.
Ma è questo il momento di non cedere e rinnovare la motivazione iniziale, portandola a compimento con la stessa responsabilità. La solidarietà è proprio questo: condividere quello che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra.