Qual è l’eredità che ci ha lasciato il Papa Emerito Benedetto XVI?

“Rimanete saldi nella fede. Non lasciatevi confondere”.
Sono le parole che il Papa emerito Benedetto XVI, ha scritto nel suo testamento spirituale.
Parole semplici ma con un grande significato. È un appello rivolto a tutti per rimanere saldi in quella fede che ci viene trasmessa e che noi dovremmo trasmettere a chi ci è vicino.
Lui ci ha insegnato che dobbiamo fondare le nostre azioni su quanto ci dicono la Chiesa e le Sacre Scritture. Il suo studio e il suo amore per la Bibbia, percorso che si è concluso con la trilogia su Gesù di Nazaret, ci mostrano in maniera chiara ed evidente come la nostra fede sia fondata sulla Parola di Dio che Benedetto XVI ha amato, conosciuto e studiato, e sulla tradizione della Chiesa di cui il Papa emerito è stato un interprete eccezionale, richiamandoci sempre all’universalità della Chiesa, sfuggendo a qualsiasi chiusura particolaristica, etnicistica, ricordandoci sempre che la Chiesa Cattolica è Chiesa universale.

Il suo testamento spirituale sono poco più di due pagine.
Il primo ringraziamento lo rivolge a Dio. Cosa dovremmo imparare da queste sue parole?
Molte cose. Soprattutto dovremmo comprendere che noi non facciamo capo a noi stessi, ma la nostra fede è un dono dell’amore di Dio, da una grande storia di salvezza. Non siamo noi a decidere come essere cristiani, ma dobbiamo vivere a partire da ciò che ogni giorno ci viene insegnato. Nessun uomo è un’isola, nessuno fa capo a sé stesso, ogni uomo, in particolare il cristiano che è sempre collegato al Signore, alla sua Parola, al suo Spirito e ai fratelli.
Sempre leggendo il testamento mi ha colpito una frase del Papa emerito: “Rimanete saldi nella fede, non lasciatevi confondere”.
È un appello che sento vero e importante: oggi molti non sanno più che cos’è il cristianesimo, magari perché non si sono mai avvicinati alla Chiesa o non conoscono la verità di Dio. Papa Benedetto si è posto il problema di milioni di persone che conoscono una ‘caricatura’ del cristianesimo. Quello che il Papa emerito ha scritto nel suo testamento spirituale, è un appello rivolto a tutti per rimanere saldi in quella fede che ci viene trasmessa e che noi dovremmo trasmettere a chi ci è vicino”.
Qual è l’insegnamento più grande che Papa Ratzinger ci ha dato?
Mi vengono in mente quelle sue prime parole pronunciate dopo essere stato eletto come Pontefice: ‘Siamo tutti umili operai nella vigna del Signore’. Con questa frase ha aperto il suo pontificato, iniziando a percorrere la via dell’umiltà, del lavoro spirituale quotidiano, sempre a disposizione degli altri. Sono elementi, questi, che ci rendono dei cristiani aperti. Io credo che il Papa ci abbia insegnato che ogni giorno si debba lavorare umilmente nella Chiesa, lavorare ogni giorno umilmente affinché i poveri siano rispettati e affinché ci sia l’amore nella nostra società.

Il testamento spirituale di Benedetto XVI

Il Papa Emerito Joseph Ratzinger, morto il 31 dicembre 2022, ha lasciato un testamento spirituale, scritto nel 2006. Ecco il testo integrale diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede 29 agosto 2006: Il mio testamento spirituale Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare.
Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene.
Ringrazio i miei genitori, che mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi. La lucida fede di mio padre ha insegnato a noi figli a credere, e come segnavia è stata sempre salda in mezzo a tutte le mie acquisizioni scientifiche; la profonda devozione e la grande bontà di mia madre rappresentano un’eredità per la quale non potrò mai ringraziare abbastanza. Mia sorella mi ha assistito per decenni disinteressatamente e con affettuosa premura; mio fratello, con la lucidità dei suoi giudizi, la sua vigorosa risolutezza e la serenità del cuore, mi ha sempre spianato il cammino; senza questo suo continuo precedermi e accompagnarmi non avrei potuto trovare la via giusta.
Di cuore ringrazio Dio per i tanti amici, uomini e donne, che Egli mi ha sempre posto a fianco; per i collaboratori in tutte le tappe del mio cammino; per i maestri e gli allievi che Egli mi ha dato.
Tutti li affido grato alla Sua bontà.
E voglio ringraziare il Signore per la mia bella patria nelle Prealpi bavaresi, nella quale sempre ho visto trasparire lo splendore del Creatore stesso. Ringrazio la gente della mia patria perché in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede. Prego affinché la nostra terra resti una terra di fede e vi prego, cari compatrioti: non lasciatevi distogliere dalla fede.
E finalmente ringrazio Dio per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino, specialmente però a Roma e in Italia che è diventata la mia seconda patria.
A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono.
Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica.
Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità. Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo.
Infine, chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne.
A tutti quelli che mi sono affidati, giorno per giorno va di cuore la mia preghiera.
Benedictus PP XVI

Giovedì eucaristico

Che cosa vuol dire adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti.
Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.

La vera adorazione di Dio viene da un cuore che desidera soltanto Lui.
Questo era esattamente il punto su cui si sbagliavano i samaritani; questi cercavano di adorare sia Dio che gli idoli, e questo viene riaffermato dal Signore Gesù Cristo quando discute sull’argomento della vera fede con la donna samaritana che venne a prendere l’acqua nel pozzo. “Voi adorate quel che non conoscete”. Queste persone adoravano Dio “senza convinzione” perché il loro affetto completo non riposto in Dio. È possibile persino per i veri credenti cadere in questo errore. Possiamo non acconsentire al fatto di avere degli idoli fisici, come facevano invece i samaritani, ma cosa assorbe la nostra volontà, il nostro tempo, le nostre risorse più di ogni altra cosa? Sono forse cose come la carriera, i possedimenti materiali, il denaro, la salute, o persino la nostra famiglia? Gridiamo a gran voce, come il re Davide nel Salmo 63:5: “L’anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra giubilanti”. Solo Dio dovrebbe soddisfare il cuore dell’uomo rigenerato e la sua risposta a quella soddisfazione divina, paragonabile al migliore dei cibi, è il frutto delle labbra che cantano la lode di Dio.


Una missione diversa

Benedetto XVI, Papa emerito

Una missione che ha portato avanti nel silenzio del suo eremo all’interno delle mura leonine, rispettando quanto disse il 28 febbraio del 2013, 17 giorni dopo l’annuncio delle sue dimissioni. «Cari amici – diceva salutando i fedeli della diocesi di Albano e con essi il mondo intero – sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene.
Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia.
Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo».

Il cordoglio della Cei

La Chiesa in Italia esprime «profondo cordoglio» per la morte del Papa emerito Benedetto XVI. Il messaggio della presidenza della Cei richiama la declaratio del 10 febbraio 2013, quando rinunciò al ministero petrino: «Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio». «Anche nel momento della debolezza umana, ha dimostrato la forza che viene dalla fede in Cristo (2Cor 12,10) e l’importanza di una relazione profonda che nasce dalla preghiera nello Spirito».
In queste ore risuonano nel cuore di ciascuno di noi il suo invito a “sentire la gioia di essere cristiano, perché Dio ci ama e attende che anche noi lo amiamo”. La sua vita fondata sull’amore è stata un riflesso della sua relazione con Dio e, nell’ultimo tratto della sua esistenza, ha reso visibile questa relazione con il Signore, custodendo il silenzio.
Ringraziamo il Signore per il dono della sua vita e del suo servizio alla Chiesa: testimonianza esemplare di quella ricerca incessante del volto del Signore, che oggi può finalmente contemplare faccia a faccia.
La Chiesa in Italia, in particolare, gli è riconoscente per l’impulso dato alla nuova evangelizzazione: ricordiamo l’esortazione, rivolta in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Verona, a portare «con rinnovato slancio a questa amata Nazione, e in ogni angolo della terra, la gioiosa testimonianza di Gesù risorto, speranza dell’Italia e del mondo».
In questo momento, facciamo nostra la sua preghiera alla Vergine di Loreto, a cui affidiamo la sua anima: “Proteggi il nostro Paese, perché rimanga un Paese credente; perché la fede ci doni l’amore e la speranza che ci indica la strada dall’oggi verso il domani.
Tu, Madre buona, soccorrici nella vita e nell’ora della morte”.

Battesimo del Signore

Il Battesimo inaugura una nuova fase della vita di Gesù. Egli è presentato ufficialmente al mondo dal padre come il Messia che parla e agisce autoritariamente in nome suo. È questo l’inizio della cosiddetta vita pubblica di Gesù. Da qui cominciano quei “Ma io vi dico …” e quel parlare “con autorità” che stupiranno gli Scribi e i Farisei. Nella fase più antica, era da questo momento che cominciava la narrazione della vita di Cristo. Marco, infatti, il primo evangelista, inizia con il Battesimo nel Giordano il suo Vangelo. Pietro nel discorso riportato dagli Atti degli Apostoli, fa del Battesimo di Gesù l’inizio della sua storia: fu nel Battesimo infatti che Dio “consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth”. Perché tutta questa importanza? Anzitutto, essa è legata alla manifestazione dello Spirito. Giovanni Battista aveva caratterizzato le due epoche così: io vi battezzo con acqua egli vi battezzerà in Spirito. La discesa dello Spirito è il “via!” alla redenzione; essa indica che è cominciata la nuova creazione perché lo Spirito è riapparso sulle acque come alle origini. Lo Spirito era già in Gesù di Nazareth per la nascita.
Esso era disceso su Maria, prima ancora che nel Giordano. Ma là si era trattato di un avvenimento avvenuto nel segreto, rimasto sconosciuto; qui invece c’è la manifestazione al mondo della venuta dello Spirito. L’unzione profetica e messianica di Gesù è palesata al mondo.
Nel suo Battesimo Gesù appare l’atteso sul quale si è posato lo Spirito del Signore, come era stato scritto dal profeta Isaia.
L’importanza del Battesimo, oltre che alla manifestazione dello Spirito, è legata anche alla solenne proclamazione del Padre: “Questi è il mio figlio diletto, ascoltatelo”. Colui che si era fatto il servo è proclamato adesso figlio è il vertice dell’Epifania: non più una stella, ma la voce stessa del Padre che rivela agli uomini chi è Gesù di Nazareth: il figlio beneamato del Padre celeste.
Gesù ha confermato il senso di questa dichiarazione, chiamando costantemente Dio con il nome di Abbà, Padre. Dalle sue parole e dal suo agire affiora la coscienza di essere il Figlio di Dio.
Il Vangelo, specie quello scritto da Giovanni, ce lo mostra in un dialogo ininterrotto con il Padre che continua quello esistente in seno alla Trinità. Tutta la nostra fede è ancorata a questa coscienza di Gesù. Egli ci salva perché è Figlio di Dio; egli fa di noi dei figli adottivi di Dio perché Lui che era figlio naturale si è fatto nostro fratello. “A coloro che ,o hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. A noi non importa se quelli che vissero con Gesù furono coscienti di questo segreto fin dall’inizio e ne capirono la portata. Ciò che importa veramente è sapere che Gesù, Lui, ne era consapevole e ne ha lasciato delle prove sicure durante la sua vita terrena.
La conseguenza di questa rivelazione è nelle parole del Padre al momento della Trasfigurazione che continua idealmente la teofania del Battesimo: “Ascoltatelo!”.
Dobbiamo ascoltare Gesù che ci parla ancora oggi, perché Egli ci parla in nome di Dio.
Questo imperativo però non significa solo prestategli attenzione, o mettete in pratica ciò che vi Dice. Significa soprattutto credergli, dare la vostra adesione di fede a Lui, accogliere la sua persona, prima ancora che la sua parola.

Benedizione dei bambini

«Nascono due figli a Giuseppe prima che venga la carestia. Il primo che chiama Manasse: “Perché — disse — Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno e tutta la casa di mio padre” e il secondo Efraim “Perché — disse — Dio mi ha reso fecondo nel paese della mia afflizione”.
Manasse ed Efraim con un rito interessante vengono adottati da Giacobbe.
Egli è alla fine dei suoi giorni, sapendo che Giuseppe viene a trovarlo con i due figli Manasse ed Efraim, si siede in mezzo al letto».
L’origine della benedizione dei bambini è biblica. Quando Giuseppe condusse i suoi figli da suo padre per ricevere la sua benedizione, li mise davanti a Giacobbe nell’ordine in cui erano nati: Manasse a destra ed Efraim a sinistra. Ma Giacobbe incrociò le mani e mise la mano destra sulla testa di Efraim. Quando Giuseppe protestò dicendo che Manasse era più vecchio, Giacobbe gli disse che Manasse sarebbe stato alto ma che Efraim lo avrebbe superato.
Giacobbe benedisse i suoi nipoti, Efraim e Manasse, figli di Giuseppe, incrociando le braccia e imponendo la mano destra sul capo del più giovane.

È un comandamento per i genitori ebrei benedire i loro figli il sabato e i giorni di festa, prima del pasto serale. L’usanza di benedire i figli è antica e risale secondo la tradizione a Giacobbe.
Le famiglie possono stabilire un loro proprio rituale. Generalmente per la benedizione dei ragazzi si dice: «Possa tu essere come Efraim e Manasse», mentre per le ragazze si dice: «Possa tu essere come Sara, Rebecca, Rachele e Leah». Poi si aggiunge: «Che il Signore ti benedica e ti conservi. Che il Signore ti illumini della sua luce e ti accordi la sua grazia. Che il Signore diriga il suo sguardo verso di te e ti dia la pace».
Anche Gesù benediceva i bambini: «“In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. Prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (Mc 19, 13-16).
È un gesto che aveva imparato da Giuseppe che lo benediceva ogni sabato.

Cosa significa benedire? Già dal verbo latino si può avere un’idea chiara: bene-dicere, dire bene di qualcuno o qualcosa, invocare il bene da Dio. É una lode di Dio per ottenere aiuto e protezione ed è anche una benedizione che sale dalla terra per benedire Lui che è l’Amore sommo: «Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode» (Salmo 66,8). San Paolo, unisce le due benedizioni, ascendente e discendente, all’inizio della Lettera agli Efesini: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (1,3).

Venerdì 6 gennaio
alle ore 15.30: BENEDIZIONE DEI BAMBINI IN CHIESA
Al termine, all’oratorio, TOMBOLA PER TUTTI … e MERENDA PER I PIÙ PICCOLI

Epifania del Signore (2)

“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Abbiamo visto e siamo venuti: qui sta la grande lezione di questi anonimi “predicatori” biblici. Hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio.
Se si fossero messi a calcolare a uno a uno i pericoli, le incognite del viaggio,
avrebbero perso la determinazione inziale e si sarebbero persi in vane
e sterili considerazioni. Hanno agito subito ed è questo il segreto
quando si riceve una ispirazione di Dio.

Un’altra indicazione preziosa ci viene dai Magi. “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Non vogliamo forzare queste parole, ma
vogliamo vedervi un simbolo. Una volta incontrato Cristo, non si può tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L’incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. Non possiamo, anche noi oggi, ritornare a casa per la strada per cui siamo venuti, cioè esattamente come eravamo nel venire in chiesa.
La Parola di Dio deve aver cambiato qualcosa dentro di noi, se non altro le nostre convinzioni e i nostri propositi.
In questa festa dell’Epifania la Parola di Dio ci pone davanti a tre esemplari che rappresentano ognuno una scelta globale di vita. Erode, i sacerdoti, i Magi. A quale vogliamo somigliare nella vita? Dei Magi si dice che, nel rimettersi in cammino, “provarono una grandissima gioia”; niente di simile per quelli che preferirono restarsene tranquilli a casa.
Prostriamoci con fede, apriamo i nostri piccoli e poveri scrigni e offriamogli anche noi oro, incenso e mirra: la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore.

Epifania del Signore (1)

“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Abbiamo visto e siamo venuti: qui sta la grande lezione di questi anonimi “predicatori” biblici. Hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio.
Se si fossero messi a calcolare a uno a uno i pericoli, le incognite del viaggio,
avrebbero perso la determinazione inziale e si sarebbero persi in vane
e sterili considerazioni. Hanno agito subito ed è questo il segreto
quando si riceve una ispirazione di Dio.

Vanno per “Adorarlo”. Questo termine riveste un profondo significato teologico, nel contesto del Natale, che doveva essere ben chiaro nella mente dell’evangelista Matteo.
Egli lo usa di nuovo, quando dice che “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono”. I Magi conoscevano bene cosa significa “adorare”, perché la pratica era nata proprio tra loro, nelle corti d’oriente. Significava tributare il massimo onore possibile, riconoscere a uno la sovranità assoluta. Il gesto era riservato perciò solo ed esclusivamente al sovrano. È la prima volta che questo verbo viene impiegato in relazione a Cristo nel Nuovo Testamento; è il primo, implicito ma chiarissimo, riconoscimento della sua divinità.
I Magi non sono mossi dunque da curiosità, ma da autentica pietà. Non cercano di aumentare la loro conoscenza, ma di esprimere la loro devozione e sottomissione a Dio.
Anche oggi l’adorazione è l’omaggio che riserviamo solo a Dio.
Noi onoriamo, veneriamo, lodiamo, benediciamo la Madonna, ma non la adoriamo.
Questo è un onore che si può tributare solo alle tre persone divine.
L’adorazione è un sentimento religioso da riscoprire in tutta la sua forza e bellezza.
È la migliore espressione del “sentimento creaturale” ritenuto da alcuni il sentimento che è alla base di tutta la vita religiosa. Molti usano questa parola con troppa leggerezza: “Io adora andare a pesca, adoro il mio cane”. Dicono di creature umane “il mio adorato bene”. Non dico che si fa ogni volta peccato, ma certamente non indica una grande sensibilità religiosa.

Maria SS. Madre di Dio

Nel primo giorno dell’anno la Liturgia celebra la Santa Madre di Dio, Maria, la Vergine di Nazareth che ha dato alla luce Gesù, il Salvatore. In questo primo giorno dell’anno solare, fissiamo lo sguardo su di lei, per riprendere, sotto la sua materna protezione, il cammino lungo i sentieri del tempo. È mediante Maria che il Figlio di Dio assume la corporeità. Ma la maternità di Maria non si riduce a questo: grazie alla sua fede, Lei è anche la prima discepola di Gesù e questo “dilata” la sua maternità. Maria è la prima e perfetta discepola di Gesù,
la prima e perfetta credente, modello della Chiesa in cammino,
è Colei che apre questa strada di maternità della Chiesa e ne sostiene sempre la missione materna rivolta a tutti gli uomini. La sua testimonianza discreta e materna cammina con la Chiesa fin dalle origini. Ella, Madre di Dio, è anche Madre della Chiesa e, per mezzo della Chiesa, è la Madre di tutti gli uomini e di tutti i popoli.