Via Crucis

Proprio la croce, il simbolo più terribile e umiliante conosciuto all’interno della società romana, accogliendo su di sé Gesù Cristo è divenuto il punto culminante della storia di salvezza di Dio con l’umanità, l’evento in cui avviene la rivelazione definitiva del volto di Dio. La croce è il segno della responsabilità illimitata di Dio nei confronti dell’umanità peccatrice. Nel Figlio Gesù Cristo, giusto e innocente, è Dio stesso che sulla croce assume le conseguenze dei peccati commessi dall’umanità e si sottomette alla pena riservata ai peccatori. Questa gratuità fino all’estremo, questa «follia» che si può spiegare solo con un eccesso d’amore diventa allora ciò che fa intravedere nella croce il senso radicale dell’esistenza umana del credente come esistenza responsabile.
Il Crocifisso ci rimanda all’amore per l’altro fino al dono della vita: la croce è il compimento dell’amore di Cristo per i suoi discepoli e per l’umanità tutta; la croce è il compimento dell’obbedienza del Figlio al Padre; la croce è il compimento della libertà di Cristo che depone da se stesso la propria vita. Sì, la croce è compimento più che fine: è il compimento di un’esistenza vissuta nell’amore, nell’obbedienza e nella libertà, di una vita di fede come vita responsabile, di fronte a Dio e di fronte agli uomini. Ebbene, sulla croce Gesù è stato l’uomo che si è caricato delle sofferenze dei fratelli, l’uomo che non si è difeso rispondendo con violenza alla violenza che gli veniva inflitta, ma ha speso la vita per gli altri, offrendo se stesso «fino alla morte e alla morte
di croce». Proprio in questa morte che agli occhi del mondo è una sconfitta consiste la vittoria dell’amore di Gesù, il Servo del Signore crocifisso, «vincitore perché vittima».
E come Gesù ha narrato Dio, vivendo e predicando l’amore fino ai nemici, così i cristiani sono chiamati a rinnovare questo racconto tra gli uomini. Certo, questo è possibile solo per grazia, solo perché lo Spirito è stato effuso nel cuore del cristiano; solo perché il cristiano può gemere gridando: «Abba, Padre!»; solo perché nel cristiano non vive più l’io segnato dall’egoistico amor proprio e dall’odio verso gli altri, ma vive Cristo. È lui, il Cristo crocifisso e risorto, il Signore vivente, che nel cristiano vive, ama, perdona, prega, intercede. Questo è follia per il mondo, ma è il linguaggio del Crocifisso: chi lo contempla non può non vedere i segni di questo amore, che spinge al dono totale di sé.