Parliamo di sensibilità, una virtù che sta diventando rara, insieme alla finezza, sua compagna inseparabile. Il posto lasciato vuoto viene preso – sarebbe più esatto dire usurpato – dalla grossolanità, dalla indifferenza, dall’ottusità. Dunque la sensibilità è una di quelle virtù rarissime di cui si sono perse le tracce. Se è ancora in circolazione (e non c’è motivo di dubitarne) si comporta da clandestina, e lo fa con uno stile di riservatezza, tanto da sfiorare l’invisibilità. Per cui non è agevole riconoscerla. Vediamo, allora, di abbozzare i suoi lineamenti essenziali, in modo da mettere insieme una specie di identikit piuttosto attendibile. Possiamo dire che la sensibilità rappresenta una qualità fondamentale dell’amore o, se si preferisce, della carità. La carità ha tre gradini che corrispondono ad altrettanti imperativi. Il primo si colloca in una dimensione negativa: “Non fare agli altri ciò che non vorresti gli altri facessero a te”. Ossia, non far del male, non causare delle sofferenze. È un aspetto non certo trascurabile, ma non basta. Qualcuno così si giustifica: “Io non faccio niente di male a nessuno …”, non possono, per questo, ritenersi a posto. Quello può essere un atteggiamento egoistico, che tutela la propria comodità e giustifica l’indifferenza. L’amore non va confuso con l’amore del quieto vivere. Bisogna pervenire al secondo gradino, che rappresenta la novità evangelica: “Devi fare agli altri ciò che desidereresti gli altri facessero a te” (Mt 7,12). Siamo a un livello nettamente superiore. Infatti, qui è questione di fare, positivamente, del bene, e non solo di evitare di fare il male al prossimo. Tuttavia persiste pur sempre il rischio di rifilare all’altro il nostro bene, quello che abbiamo in testa noi, e che non è necessariamente il suo. C’è il pericolo di imprestare all’altro e trapiantare nell’altro i nostri desideri, le nostre esigenze. Occorre pervenire al terzo gradino: “Fa all’altro ciò che lui vorrebbe che tu gli facessi”. Quest è la sensibilità, che esige attenzione, delicatezza, intuizione, finezza, rispetto.
È questione di sintonia. Occorre scoprire ciò che l’altro vorrebbe da me in questo preciso momento, in questa situazione particolare, evitando di appioppargli il prodotto che decidiamo noi, e abbiamo stabilito noi in partenza. Ci sono negozianti abilissimi a soddisfare le tue richieste secondo le loro programmazioni e disponibilità di magazzino. Tu richiedi una cosa e loro, alla fine, ti convincono ad acquistarne un’altra. Nel campo della carità tale operazione risulta inaccettabile, e va respinta decisamente. La scena di un film. Due ricche signore impiegano il loro (abbondante) tempo libero in un centro sociale di accoglienza. Una sera sbarca lì una prostituta evidentemente frastornata e con un occhio pesto. E quelle, prima ancora di ascoltare le sue richieste, le sparano addosso una raffica di consigli, prediche, rimbrotti: quel mestiere non è dignitoso, deve ribellarsi al protettore che, oltre a sfruttarla, la maltratta, è necessario si cerchi un lavoro onesto, e via sermoneggiando. La poveraccia, dopo dieci minuti di quella grandinata di parole, reagisce: “Sentitemi bene … Io non sono venuta qui per ascoltare i vostri consigli. Ho bisogno soltanto di un cubetto di ghiaccio da mettere sull’occhio gonfio. Ce l’avete?”. “No, non teniamo ghiaccio in questo ufficio”. “E allora, se non avete un cubetto di ghiaccio, pazienza. Tornerò quando e se avrò bisogno di prediche”. “Potevi dircelo prima …”. “Siete voi che non me ne avete dato il tempo. Mi avete subito aggredita con le vostre chiacchiere e le vostre tirate moralistiche”. “Ma noi siamo qui per aiutarti …”. “Sì, ma io ho bisogno di ghiaccio e voi ne siete sprovviste”.
La sensibilità è l’arte delle piccole cose.