Il pastore bello-buono

La quarta domenica di Pasqua viene detta “del buon pastore”, perché nel ciclo liturgico triennale si legge ogni anno un brano del capitolo 10 di Giovanni, imperniato su questa importante immagine e ambientato durante la festa della Dedicazione del Tempio.
L’immagine del buon pastore, tenera e drammatica, è in assoluto la più antica dell’arte paleocristiana.
Dopo il superamento del tabù ebraico contro le immagini, sulle pareti delle catacombe romane – prima di Priscilla e poi di san Callisto – comparve la rappresentazione di un Cristo giovane dai delicati tratti apollinei, con la pecorella smarrita sulle spalle.
Il brano odierno inizia con l’affermazione di Gesù: «Io sono il buon pastore». La traduzione letterale è il “bel” pastore, cioè il pastore ideale: colui che realizza pienamente la missione del pastore. Dunque si tratta del “vero”, “autentico” pastore. Sempre nel Vangelo di Giovanni, durante la scena delle nozze di Cana, il maestro di tavola commenterà con piacere la somministrazione alla fine del pasto del vino «bello».
«Io sono il pastore buono»: è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso.
Eppure questa immagine non ha nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi e ha il coraggio di non fuggire. Il pastore bello non è il campione o l’eroe, ma il servitore fedele. La bellezza coincide con lo spirito di servizio e di gratuità, nella ricerca coraggiosa di ciò che lo Spirito desidera.
L’esperienza cristiana è incontro con Gesù, fiducia in Lui: sequela e unione. Chi è il cristiano? Che cos’è il cristianesimo? Che significa vivere da cristiani? Ecco un bel grappolo di domande tanto semplici quanto essenziali, che questa domenica del buon pastore ci aiuta a riprendere.