Con cuore di padre

Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe

Giuseppe è discendente della famiglia di Davide. Il suo è un cognome di peso in tutti i sensi. Quando i Vangeli riportano la genealogia di Gesù, nell’elenco degli antenati non sono menzionati solo Santi, ma anche persone di dubbia moralità, tra cui anche il santo re Davide che, in un momento di vera mediocrità spirituale e umana, non solo rubò la moglie a un suo amico, ma ne decretò anche la morte. Tra gli elenchi di nomi c’è di tutto e per questo possiamo sentirci davvero in buona compagnia. Gesù entra nella discendenza di Davide, che solo in rari casi assomigliava a Giuseppe, e per il resto mostra invece un folto numero di fragilità, difetti e peccati. Credo che sia un modo tutto particolare del Vangelo di non farci immaginare la santità come qualcosa che non poggia con i piedi per terra.
Giuseppe è un “giusto”, ma la santità è la capacità di sapersi santificare anche con i propri difetti e le proprie cadute. Ecco perché ci vengono raccontate anche le crisi di Giuseppe e le sue paure. Pensare che la santità significhi avere sempre la soluzione ci porta fuori strada.
La santità è fare il nostro possibile con la grazia di Dio, senza evitare la nostra umanità così com’è. Ecco perché l’evangelista Matteo riporta questo dettaglio: “Quando Giuseppe venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi”. Senza saperlo, grazie a quella paura dirottarono a Nazaret e si compirono le Scritture: “Sarà chiamata Nazareno”.
Ci si fa santi anche con le nostre paure.

Pasqua eucaristica

Tanti modi per dire Pasqua

Perché lo hanno riconosciuto “nello spezzare il pane”. Un pane che non stimola per un momento, ma dà la vita per sempre. Gesù si incontra nell’Eucaristia e da lì Gesù parla al cuore e lo riempie della sua grazia. Quando si fa l’esperienza del Sacramento dell’Eucaristia si aprono gli occhi del cuore e si vede Dio in ogni cosa, come i discepoli nella pasqua di Emmaus.

Terza domenica di Pasqua

Non è facile credere alla risurrezione di Gesù. Non è immediato e spontaneo accogliere il vangelo della Pasqua. A questo proposito il racconto di questa domenica ci mostra con sano realismo tutta la fatica che fanno gli apostoli a credere al Risorto. Gesù vede il loro turbamento e i loro dubbi e proprio con la sua presenza cerca di rincuorarli e di incoraggiarli. Non è bastato il messaggio che hanno ricevuto il giorno di Pasqua: c’è un itinerario da percorrere per giungere alla fede. Ci sono alcuni passaggi significativi da compiere.
È quello che viene chiesto anche ad ognuno di noi. All’inizio di tutto c’è un evento imprevisto, che sconvolge le donne che si erano recate alla tomba di Gesù. Quest’esperienza, tuttavia, non può bastare. Ecco allora gli incontri con il Risorto. C’è un ulteriore passaggio da compiere. «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture». Il racconto di oggi lo dice in modo esplicito e cita la Legge di Mosè, i Profeti e i Salmi. Sono le Scritture che permettono di decifrare ciò che è accaduto a Gesù, il senso di tutto. Sono le Scritture che un po’ alla volta ci mettono nella condizione di accogliere la strada scelta da Dio per salvare l’umanità. Sono le Scritture che ci fanno superare le difficoltà che proviamo davanti al nuovo che Dio mette sotto i nostri occhi. Ecco dunque perché la comunità cristiana celebra di domenica in domenica l’eucaristia. Non si limita a ripetere il gesto che Gesù ha compiuto nell’Ultima cena e che ha affidato ai suoi come testamento. In quella stessa celebrazione apre la Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, per comprendere, per cogliere il senso di tutto e per essere in grado di riconoscere il Risorto nel suo cammino. L’esperienza della fede pasquale è, tuttavia, un’esperienza che mobilita, diventa una missione. I discepoli, rincuorati e incoraggiati, illuminati e fiduciosi prendono le strade del mondo per portare a tutti il messaggio che salva, per annunciare la bontà e la misericordia di Dio.

Prima Comunione

Cari ragazzi e ragazze, il giorno della 1° Comunione è finalmente arrivato.
So che l’avete atteso con gioia e trepidazione: per voi dovrà trattarsi di uno dei giorni più belli di questo anno un po’ particolare e difficile.
I vostri genitori con i catechisti vi sono stati vicini e vi hanno accompagnato, con costanza e passione, per una più piena consapevolezza di questo grande Dono. Sono certo che l’intera comunità parrocchiale vi sarà vicino con la preghiera, affinché la vita di Dio possa crescere in voi e rendervi, oggi, i piccoli amici di Gesù e, domani, i suoi validi e coraggiosi testimoni. Quando, per la prima volta, domenica, potrete parlare a tu per tu con Gesù presente nel vostro cuore, non abbiate paura di chiederGli le cose più importanti e più belle per la vostra vita e per la vostra famiglia. Soprattutto, non dimenticate di domandarGli di stare sempre con voi e di indicarvi la strada da seguire. In questo modo Gesù diventerà il vostro Amico, da cercare soprattutto attraverso la preghiera di ogni giorno, la Messa di ogni domenica, l’adempimento dei vostri doveri e l’attenzione ai poveri.
Cari ragazzi e ragazze, lasciatevi amare da Gesù. Lui ha sempre dimostrato di amare i piccoli benedicendoli e imponendo le Sue mani su di loro.

Messa della Prima Comunione

La Messa delle 10.30 di domenica 18 aprile sarà riservata solo ai familiari stretti dei bambini che riceveranno la Prima Comunione. Questa scelta si è resa necessaria a causa della ridotta capienza della chiesa parrocchiale dovuta alla pandemia. I fedeli potranno dunque partecipare alla messa del sabato alle 18 oppure a quelle delle 8.30 e delle 18 della domenica. Grazie per la comprensione.

L’ultimo monte: di Galilea

Matteo apre la sua Passione con il Monte degli Ulivi e chiude il suo Vangelo con un misterioso Monte di Galilea dove Gesù fissa un ultimo appuntamento ai suoi discepoli.
Questa scelta si comprende bene nell’intero racconto della Passione di Matteo, dove l’evangelista ha la costante preoccupazione di spingere avanti lo sguardo del lettore: Gesù indirizza i suoi discepoli, per un incontro già anticipato fin dalla notte dell’ultima cena.
È verso questo monte, da cui partirà l’annuncio del Vangelo per il mondo intero, che Matteo spinge il nostro sguardo. Nel suo Vangelo la croce sarà una porta aperta verso la risurrezione e verso la missione che Gesù affida ad ogni credente. Matteo conclude il suo Vangelo con un racconto molto solenne, sull’ultimo monte del cammino evangelico, il monte fissato da Gesù per l’inizio di una nuova e perenne comunione con Dio.
In quest’ultimo monte l’umanità incontra Dio in Gesù ed è un incontro che non ammetterà più separazioni. Questo monte dice che tutto il Vangelo di Matteo ha avuto come obiettivo di indicare la via della comunione perenne con Dio, una comunione che si realizza soltanto attraverso una comunione con Gesù risuscitato nella forza dello Spirito Santo.
Mai come in questo caso il monte ha un valore simbolico nel Vangelo di Matteo.
La Galilea simboleggia chiaramente l’apertura al mondo pagano (Is 4, 12-16).
Il monte è il luogo dell’incontro e della comunione con Dio. In questo ultimo monte, Matteo riassume tutti i monti del suo Vangelo. Ogni esperienza di incontro con Dio non è stata altro che una preparazione di questa esperienza definitiva: incontrare Dio in Cristo risorto e presente nella sua Chiesa, in mezzo all’assemblea dei suoi fratelli.
È dall’incontro con il risorto che traiamo la forza di vincere la tentazione, perché è lui che ha vinto definitivamente il male. È dall’incontro con il risorto che le Beatitudini diventano una realtà e non una utopia, perché la vittoria che Gesù annuncia per i poveri si è realmente compiuta. La preghiera trova nel risorto la via privilegiata per entrare in comunione con il Padre, la Chiesa si sente chiamare Comunità di fratelli.
Il pane, comunicazione di vita e di vita eterna, trae la sua forza dall’incontro con il risorto.
È con il suo corpo risorto che noi facciamo “comunione”.
Questo incontro che era stato prefigurato nella trasfigurazione ed ora la nostra speranza di vita eterna ha in Cristo risorto la concretezza di una prova. “La vita eterna esiste e noi l’abbiamo veduta e l’annunciamo” diranno i discepoli. È questo Signore risorto, che giudica non solo la città di Gerusalemme dal monte degli ulivi, ma giudica il mondo intero e porta alla chiara divisione fra chi lo accoglie e diventa parte dei fratelli e chi lo rifiuta e cerca di ucciderlo anche nella fede e non solo nella carne. Ma il Risorto non può essere ucciso, perché ha definitivamente vinto la morte. L’annuncio del giudizio è dunque annuncio di speranza e di salvezza. I discepoli si prostrano dinanzi a Gesù esprimendo finalmente la loro fede, anche se pur in questo gesto ci sono alcuni che dubitano. Matteo sottolinea per l’ultima volta che la fede è il luogo dell’impegno ed insieme del dubbio. La fede non cancella la fatica del credere, l’impegno costante di uscire dal dubbio verso la luce della risurrezione. Ma questo dubbio non spaventa Gesù che continua a confidare in questi uomini, che restano poveri e dubbiosi anche se illuminati dalla risurrezione e dalla potenza dello Spirito del Risorto. Gesù continua nonostante questa debolezza a confidare a noi e a loro l’immensa missione della evangelizzazione del mondo. È infatti nel corso del cammino di annuncio che essi giungeranno giorno per giorno a vincere la sfida della fede. Non è con una fede adulta che si annuncia il Vangelo, ma è con una fede in crescita che si annuncia e l’annuncio fa crescere la fede.
Gesù ha avuto da Dio ogni potere, la sua vittoria non è simbolica, è reale, la salvezza è certa ed i cristiani debbono andare ad annunciare il vangelo con l’ottimismo di chi sa che Gesù ha vinto il mondo. È in base a questa vittoria che veniamo inviati, non a vincere noi, ma a contemplare la grandezza di Dio che appare nei cuori, vincendo il male. Qui comincia la salvezza, con questa carica piena di speranza che siamo chiamati a portare. Ciò che l’angelo aveva promesso nell’annuncio a Giuseppe all’inizio del Vangelo ora si compie: Gesù è il Dio con noi . Gesù è Dio con noi, in lui la comunione con Dio diventa una realtà.

Sui passi del Vivente

Via Lucis – In cammino con il Risorto

Occorre seguire Gesù anche sulla via della risurrezione. Anche quando si è provati dalla paura, è bello dare testimonianza della fede, consapevoli di essere nelle mani di un Dio che è Padre e che sempre ci solleva vicino a sé. Con questa preghiera mediteremo alcune manifestazioni del Risorto per dare nuovo sapore alla nostra quotidianità.
Dobbiamo testimoniare Lui, il risorto.
Vuol dire essere ogni giorno più gioiosi.
Ogni giorno più coraggiosi.

Con cuore di padre

Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe

Il nome Giuseppe significa “Dio aggiunge”. Mai nome fu più azzeccato per un uomo come Giuseppe di Nazareth. La sua stessa persona è da considerarsi una benedizione. Giuseppe è un più che, messo accanto a ogni cosa, ne accresce il valore. Questa è la caratteristica di coloro che vivono la propria vita non preoccupati di dover affermare sé stessi, perché invece provano gioia nel far emergere chi hanno accanto. Non è l’atteggiamento remissivo o perdente, bensì il contrario. Solo una personalità forte può permettersi di indietreggiare per far emergere gli altri. Chi invece ha una personalità fragile ha bisogno costantemente di conferme e, per questo, si arrampica sugli altri per occupare la scena. Tutto l’insegnamento del Vangelo è l’elogio dell’umiltà. E l’umiltà è la caratteristica dei liberi. Giuseppe è un uomo libero e, per questo, può permettersi l’umiltà della seconda fila. Ognuno di noi ha bisogno di imparare quest’arte di saper godere del bene degli altri. Troppe volte capita che il nostro normale atteggiamento sia l’invidia, la gelosia, la messa in paragone.
Giuseppe non prova nessuna invidia se la scena della storia è tutta concentrata su Gesù, e se la luce di questo centro si riverbera con potenza su Maria. Lui è un paralume, un abbraccio che protegge la luce e la indirizza verso ciò che è più buio. Giuseppe è un più, ed è il più che Dio ha voluto accanto a Maria e a Gesù. In fondo, questo è ciò che egli continua a fare anche ora, nella vita di tutti coloro che a lui si affidano.

La famiglia per il cristiano

La famiglia, costituita nel matrimonio, è una “realtà umana” così preziosa agli occhi e al cuore di Dio, che il Signore Gesù l’ha elevata a sacramento. Dio Trinità, in Gesù, si è incarnato in una famiglia, ha vissuto in famiglia ed è stato con le famiglie.
Nei racconti evangelici infatti vediamo che Gesù è presente alle Nozze di Cana; Gesù è presente nelle relazioni con la famiglia di Pietro e di Lazzaro; Gesù è presente nell’ascoltare il pianto dei genitori come per Giairo e la vedova di Nain.
Questa è la intima relazione tra Gesù Cristo e la Famiglia!
La famiglia che si costituisce nel matrimonio, per il cristiano è una vera e propria risposta vocazionale, in cui le ricadute
abbracciano ambiti di primaria importanza, quali il suo ruolo sociale, formativo ed ecclesiale. Per questo è importante
coltivare, condividere e prendersi cura di questa vocazione.
Ad esempio la famiglia ha ricadute a livello Sociale, quale luogo primario dell’umanizzazione della persona e della società;  a livello formativo della persona umana, quale ambito in cui si educano le nuove generazioni, preparandole a stabilire sane relazioni interpersonali che incarnino sani valori morali e umani a livello Ecclesiale, in cui gli sposi sperimentano e imparano la cura reciproca, il servizio e il perdono vicendevole.
La visione Cristiana della famiglia è il cammino di conversione personale e di coppia verso la vita buona del Vangelo, incarnata nel quotidiano. Prendersi cura delle nostre e altrui povertà spirituali, umane e psichiche; essere a servizio nell’accoglienza di famiglie e di coppie che desiderano condividere questo viaggio fantastico della vita a due; essere costruttori di ponti tra la comunità cristiana e chi si riaffaccia dopo tanto tempo, magari ferito … sono gesti di carità per noi stessi e per gli altri.

Perché non ci siano case senza famiglia

“La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa.
Spero che ognuno si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse non sono un problema,
sono principalmente un’opportunità”

Domenica della Divina Misericordia

Domenica “in Albis”

Questa domenica – seconda domenica di Pasqua o Domenica in albis, cioè in cui si deponevano le vesti bianche del battesimo celebrato nella veglia pasquale – è diventata anche la domenica della divina misericordia, per iniziativa di s. Giovanni Paolo II nel 2000, con riferimento a s. Faustina Kowalska. I discepoli erano scappati, il loro leader, Pietro, aveva rinnegato il Maestro, quasi tutti l’avevano abbandonato: che cosa di meno affidabile di quel gruppo allo sbando? E tuttavia Gesù viene e offre il suo perdono. Lo offre in particolare a Tommaso, che non riusciva ad aprirsi alla fede nella risurrezione. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero delle fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre.