Il servizio del giudizio (3)

Non è assolutamente così: quella del giudizio è una fondamentale necessità antropologica (tutti noi abbiamo bisogno del giudizio, per vivere e la cosa a cui aspiriamo di più è essere approvati, il che implica l’essere giudicati), e la buona notizia dell’annuncio cristiano è che c’è un Dio che giudica tutto, con verità e con amore. Se non fossimo certi di questo, saremmo disperati, come tutti gli altri uomini, per le ingiustizie e le storture del mondo. Paolo dice che «noi abbiamo il pensiero di Cristo», perciò l’uomo spirituale «giudica ogni cosa» senza essere giudicato, se non da Dio. Dunque il primo e più importante servizio che i cristiani rendono al mondo è proprio il giudizio. Se viene meno questa dimensione culturale del fatto cristiano si dissolvono anche quelle, ad essa coessenziali, della carità e della missione. Naturalmente ciò non significa affatto ridurre la presenza cristiana a una funzione di mera proposizione verbale, o teorica, della dottrina: il giudizio è una cosa molto concreta, consiste forse più di gesti che di parole, ma occorre che siano sempre gesti consapevoli delle proprie ragioni. Il cristianesimo è un fatto critico, cioè un insieme di esperienze e di gesti “pubblici”, cioè visibili da tutti e incontrabili da chiunque lo voglia, che di per sé pongono domande e “mettono in crisi” l’ambiente sociale in cui si pongono.