Il metodo della missione cristiana che ci viene esemplarmente documentato negli Atti degli Apostoli e poi nella letteratura patristica dei primi secoli è integralmente applicabile anche da noi oggi.
Esso comporta da un lato il superamento di una cultura della separazione, come quella presente nel giudaismo, volta a preservare innanzitutto la purezza identitaria dalla contaminazione del mondo pagano, e dall’altro però un’inesausta volontà e capacità di giudizio, nel senso sopra indicato, per cui la completa immersione nel mondo, l’apertura a tutti i contatti e a tutte le relazioni non si traduce in un’assimilazione alla mentalità del secolo. «Non conformatevi» è il precetto fondamentale, ma va tenuto insieme a quel “farsi tutto a tutti” che Paolo rivendica come cifra del suo stile missionario, ma che deve appartenere ad ogni cristiano. Si tratta, per dirla in modo ancor più sintetico (ed evangelico), di essere “salati”, perché è esattamente questo che Cristo ha detto ai suoi: «voi siete il sale della terra». È chiaro che questa pretesa – che è innanzitutto di Cristo e poi dei suoi seguaci – di dire all’uomo che cosa c’è nel profondo del suo cuore, può suscitare una reazione e provocare una reazione, anche molto ostile. Però questa è la base del rapporto con il mondo, quel “servizio del giudizio” a cui alludevo prima. Forse non ci rende simpatici, ma è la prima forma di carità che la Chiesa può fare al mondo. Del resto, come recita una vecchia battuta, il Signore non ha detto “voi siete lo zucchero del mondo”.
