La luce

I segni che ci parlano di Lourdes

È lo stesso Signore Gesù che ci chiama ‘LUCE’. “Voi siete la luce del mondo”.
Proviamo a pensare ad una città senza luce: smarrimento… disorientamento… paura… cadute o sbattute di testa… La LUCE è importante, decisiva…
A noi il Signore chiede di ‘portare’ la luce… di illuminare gli altri attraverso le buone opere… di carità… di perdono… di gioia… di fraternità…
Come MARIA, illuminata dallo SPIRITO, brilla per tutta la Chiesa come Stella mattutina, riaccendiamo in noi la luce che ci guida e risplende per tutti.

La processione

I segni che ci parlano di Lourdes

L’esperienza della fede è paragonata all’esperienza del ‘cammino’… Vivere la fede è vivere il nostro ‘pellegrinaggio’ da questa casa alla patria che ci attende nei cieli. Gesù, in questo cammino, è la… VIA… la STRADA da percorrere!
Sappiamo quanto spazio viene riservato a Lourdes alla ‘processione’.
Il primo saluto alla grotta… la processione dei malati… la Via crucis… la fiaccolata della sera… l’ultimo saluto alla grotta…
Le ‘processioni’ le viviamo, in certe occasioni, anche nella nostra comunità cristiana.
Sono importanti… perché? Questo ‘camminare insieme’ dietro o davanti a Gesù eucaristia oppure all’immagine di Maria o di qualche altro santo, è il segno della nostra vita che è un ‘trascorrere’… un ‘passare’ dalla morte alla vita… Il popolo d’Israele è sempre stato il ‘popolo in cammino’… soprattutto nell’attraversare il ‘deserto’ per accedere alla ‘terra promessa’…
La processione, esperienza dinamica, è il segno del nostro camminare nella vita che a volte è faticoso… a volte gioioso… a volte si fa di corsa… a volte con il fiatone!
Maria, la donna in cammino, si mette davanti come guida e ci invita, ci incoraggia, ci spiana la strada del Figlio nell’itinerario della vita.

Il silenzio

I segni che ci parlano di Lourdes

La logica del Signore è la… debolezza! E la debolezza si prova nel silenzio.
Il silenzio ci fa capire il mistero della Croce di Cristo. Il silenzio ci apre al ‘mistero’… non per capirlo, ma per accoglierlo. Nei momenti più duri, difficili, incomprensibili, MARIA si mette IN SILENZIO e conserva nel cuore ciò che vede e percepisce.
Lourdes è la patria del silenzio! Tanta gente che si muove… ma il silenzio regna!
Il silenzio fa parlare il cuore e permette di offrire al Signore ogni nostra debolezza. La Croce si fa fatica a portarla parlando o ragionando… è più leggera se è accompagnata dal silenzio.
La fede di Dio non va fondata su discorsi persuasivi di sapienza o di intelligenza, ma si fonda sul forza e sulla potenza di Dio che si acquista entrando in lui.
Tra Bernardette e Maria non ci sono lunghissimi discorsi o migliaia di parola… c’è solo il silenzio della concentrazione… della contemplazione… del grazie… del sì… della preghiera…
Come MARIA meditava e serbava nel cuore ogni cosa, recuperiamo la dimensione contemplativa della vita cristiana inventando un po’ più di silenzio in noi e attorno a noi.

Custodire ogni vita (2)

Custodire la Vita è custodire la bellezza dell’uomo, la bellezza del creato, rispettare tuo ciò che ci circonda: nella famiglia e fuori della famiglia.

Il titolo del messaggio che i Vescovi ci propongono per la 44° Giornata della vita, che si celebra Domenica 6 febbraio, è “CUSTODIRE OGNI VITA”.
Ogni persona ha bisogno di altri.
Se siamo ammalati abbiamo bisogno del medico, del farmacista, dei familiari…
Se pensiamo ai ragazzi: quando sono a scuola hanno bisogno degli insegnanti, degli operatori scolastici e quando si è dovuto interrompere quelle relazioni gioiose con i compagni per intraprendere la didattica a distanza ci si è sentiti tristi; chi non aveva gli strumenti per la didattica a distanza è rimasto a volte isolato e la solitudine ha creato problemi anche psicologici.
Siamo fatti per incontrarci. Oggi più che mai quanto siamo consapevoli di questa dimensione.

Abbiamo capito che siamo tutti sulla stessa barca?

Siamo una comunità mondiale dentro la quale ciascuno ha bisogno di qualcun altro che si prenda cura di lui. Abbiamo visto medici e infermieri vestiti come marziani ad assistere con cura malati gravi, a sostituire con piccoli gesti affettuosi i famigliari che non potevano essere presenti.

Quanti volontari hanno distribuito cibo o altri generi di prima necessità a persone anziane o intere famiglie che non potevano uscire. Ma nella barca ci sono anche bimbi e ragazzi che vivono in paesi lontani, dove c’è guerra e povertà: Non possiamo vivere nell’indifferenza ma, se non possiamo fare altro, portiamoli nel cuore, preghiamo per loro e per chi lascia la propria terra per vivere al loro fianco affinché possano avere una vita più dignitosa.                                             

Custodire la vita è anche non sprecare il cibo e non sciupare le cose che possediamo.

Custodire ogni vita (1)

Custodire la Vita è custodire la bellezza dell’uomo, la bellezza del creato, rispettare tuo ciò che ci circonda: nella famiglia e fuori della famiglia.

Il titolo del messaggio che i Vescovi ci propongono per la 44° Giornata della vita, che si celebra Domenica 6 febbraio, è “CUSTODIRE OGNI VITA”.
La vita, ogni forma di vita, è dono e va custodita.
Custodire la vita è custodire il creato, stupirci di fronte alla bellezza del creato, rispettare tutto ciò che ci circonda, rispettare chi ci è vicino nella famiglia e fuori dalla famiglia.
Una mamma che custodisce nel suo grembo la sua creatura e l’accoglie con gioia insieme al papà
è segno di quell’Amore grande di Dio, Autore della Vita. In questo brutto periodo della pandemia che ancora stiamo attraversando ci siamo resi conto di quanto è importante avere qualcuno di “vivo” e simile a noi con cui interagire, con cui dialogare, pensare, discutere, progettare, sognare. Non ci basta partecipare “da remoto” a incontri di studio, di gruppo o di lavoro, abbiamo bisogno di vedere qualcuno accanto a noi. Il bisogno di relazione è troppo costitutivo della nostra persona per non cercare di viverlo il meglio possibile; la solitudine è la situazione più dolorosa in cui ci si possa trovare.

S. Agata co-patrona della parrocchia (1)

La più antica fonte sul martirio della giovane catanese Agata, che in greco significava buona,
è la Passio, che risale alla seconda metà del V secolo (di cui si hanno due variazioni greche e
una latina che sostanzialmente coincidono).
Essendo un testo letterario edificante, essa presenta dati storici che vanno letti con cautela,
ma che concordano sul tempo della morte che sarebbe avvenuta il 5 febbraio 251, durante la
persecuzione di Decio, data che può essere accettata. Agata, cresciuta in una famiglia illustre
e ricca, sentì presto il desiderio di donarsi totalmente a Cristo: il che fece a circa 15 anni.

Suggestivo è il passaggio dove Agata, alla domanda circa la sua famiglia, risponde di essere libera e nobile di nascita; allora il magistrato le domanda perché conduce una vita da schiava, la giovane risponde: “La nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi di Cristo”. Tradotta in carcere fu sottoposta a tortura che culminò con lo strappo di una mammella. Nella stessa notte venne visitata da san Pietro che la rassicurò e le risanò le ferite. Adirato Quinziano, la cui passione per Agata si era tramutata in odio, la fece porre nuda su cocci di vasi e carboni ardenti: improvvisamente vi fu un terremoto e crollò il luogo dove avveniva il supplizio, seppellendo i carnefici. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose. Mentre la città era in preda al panico Agata spirava, alla presenza di molti testimoni, nella sua cella pregando e ringraziando Dio di averle conservato la verginità. I fedeli ne raccolsero le spoglie e con grande onore le deposero in un sepolcro nuovo.
Sant’Agata era invocata contro gli incendi, e poiché quando questi scoppiavano si usava suonare a martello le campane, si prese l’abitudine di incidere il suo nome su queste, assieme a quello della Madonna e di altri santi protettori. Per questo motivo i costruttori di campane si posero sotto la protezione di Agata.
In relazione alla tortura che le strappò i seni la santa di Catania era molto invocata dalle madri per  l’allattamento e per conseguenza dalle balie.

S. Agata co-patrona della parrocchia (1)

La più antica fonte sul martirio della giovane catanese Agata, che in greco significava buona,
è la Passio, che risale alla seconda metà del V secolo (di cui si hanno due variazioni greche e
una latina che sostanzialmente coincidono).
Essendo un testo letterario edificante, essa presenta dati storici che vanno letti con cautela,
ma che concordano sul tempo della morte che sarebbe avvenuta il 5 febbraio 251, durante la
persecuzione di Decio, data che può essere accettata. Agata, cresciuta in una famiglia illustre
e ricca, sentì presto il desiderio di donarsi totalmente a Cristo: il che fece a circa 15 anni.

Nei primi tempi del Cristianesimo le vergini consacrate, con la loro scelta di vita, rappresentavano un esempio diverso dentro un mondo pagano e in disfacimento. Il vescovo della città, nella cerimonia della velatio, le impose il flammeum, velo rosso portato dalle vergini consacrate; secondo alcuni era probabile che Agata avesse già 21 anni, infatti è rappresentata con tunica bianca e il pallio rosso (ad esempio nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla) segni della diaconessa, cioè di una donna con ruolo attivo nella comunità cristiana, con il compito, fra gli altri, di istruire i nuovi adepti. Nell’anno a cavallo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano era giunto a Catania – città fiorente posta in ottima posizione geografica, con un grande porto, che costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo – anche per far rispettare l’editto imperiale che chiedeva a tutti i cristiani l’abiura pubblica della loro fede. 
Affascinato da Agata che seppe essere una consacrata, le ordinò di adorare gli dei pagani. 
Al suo secco rifiuto il proconsole la affidò per un mese alla cortigiana Afrodisia (forse sacerdotessa di riti pagani che comprendevano la prostituzione sacra) con lo scopo di corromperla.
Fallito ogni tentativo di corruzione, Quinziano avviò un processo contro Agata, di cui sono riferiti i dialoghi tra il proconsole e la santa, che rispecchiano sentimenti e linguaggio dei cristiani, e dai quali si comprende che la giovane era edotta in dialettica e retorica.

Che cos’è l’adorazione eucaristica

È adorare alla Presenza reale e divina di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nell’Eucaristia.
Nell’Eucaristia adoriamo Dio in Gesù Cristo, e Dio è Uno e Trino, perché in Dio non ci sono divisioni. Gesù Cristo è uno con il Padre e lo Spirito Santo. È veramente, realmente, sostanzialmente presente nell’Eucaristia.
La Chiesa crede e confessa che “nel sacramento dell’Eucaristia , dopo la consacrazione del pane e del vino, è veramente, realmente e sostanzialmente presente nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e uomo, sotto l’apparenza di quelle cose sensibili”
La divina presenza reale del Signore, questo è il primo fondamento della devozione e del culto al Santissimo Sacramento. Qui è Cristo, il Signore, Dio e vero uomo, assolutamente meritevole della nostra adorazione e originata dall’azione dello Spirito Santo. La pietà eucaristica non è quindi fondata nel sentimento puro, ma proprio nella fede.
Altre devozioni, forse, nel proprio esercizio spesso tendono a stimolare maggiormente il sentire, come ad esempio nel servizio della carità verso i poveri, ma la devozione eucaristica, precisamente si basa esclusivamente sulla fede, sulla fede pura del Mysterium fidei.

Presentazione del Signore al tempio

L’evangelista Luca, all’inizio della narrazione, si collega alla legge mosaica secondo la quale la
madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio e offrire in
sacrificio al Signore, per la sua purificazione, un agnello oppure una coppia di colombe.
La consacrazione del primogenito (come di ogni primizia) ricordava a tutto il popolo d’lsraele il
primato di Dio sulla vita e sull’intera creazione. Maria e Giuseppe, pertanto, obbedienti alla legge
di Mosè fecero quanto era prescritto e portarono Gesù nel Tempio per consacrarlo al Signore.
Erano poveri e non potendo acquistare l’agnello per il sacrificio offrirono una coppia di colombe,
in realtà essi donavano a Dio il “vero agnello” per la salvezza del mondo.
La festa della Presentazione di Gesù al tempio è tra quelle – poche in verità – celebrate assieme dalle Chiese cristiane d’Oriente e d’Occidente.

È piccolo Gesù, ha appena quaranta giorni, e subito si reca a Gerusalemme. 
È il primo viaggio, ma già prefigura l’ultimo. Tornerà nella città santa al termine della sua vita, ma non più offerto nel Tempio e non più posto sulle braccia di Simeone, sarà invece condotto fuori le mura della città e sarà inchiodato sulle braccia della croce.
Oggi le braccia di Simeone lo prendono e lo stringono con affetto, ma nelle parole di questo saggio vecchio si delinea già il futuro del Bambino. Era anziano Simeone, come pure la profetessa Anna (il Vangelo ne precisa l’età, ottantaquatttro anni).
In essi sono rappresentati certamente tutto Israele e l’umanità intera, che attende la “redenzione”, ma possiamo vedervi anche le persone più avanti negli anni, gli anziani.
Ebbene, Simeone ed Anna sono l’esempio di bella anzianità. È sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l’unica consolazione, quando è possibile, è il rimpianto della passata giovinezza.
Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta – ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani – che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, una iattura, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza.
Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia.
Certo, a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po’ d’amore, un po’ di compagnia, un po’ d’affetto.
Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi; sebbene proprio da questa mentalità – ma è questa la tragica contraddizione che pure viene supinamente accettata e sostenuta dalla maggioranza – che nascono le violenze e le crudeltà della vita.

Questa pagina evangelica del “solenne incontro” tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani opera ancora oggi miracoli incredibili.
La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l’amore e la forza di Dio.
Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte.
L’età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore.
Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. 
E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia. 

San Giovanni Bosco (4)

La devozione a Maria Ausiliatrice

Nel 1868 era stata consacrata a Valdocco la basilica di Maria Ausiliatrice, frutto delle grazie straordinarie della Madonna e della fede del santo il quale, quattro anni dopo, ispirato dall’alto, realizzava un altro monumento alla Vergine, fondando l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile dopo aver incontrato un gruppo di giovani, in qualche modo consacrate, dirette da don Domenico Pestarino e animate da santa Maria Domenica Mazzarello. Le case dei salesiani intanto si moltiplicavano e nel 1876 Don Bosco organizzò la prima spedizione missionaria, con meta la repubblica Argentina. Da allora l’espansione procedette a ritmi sempre più intensi. Nel 1880 Leone XIII affidò al santo la costruzione del tempio del S. Cuore a Roma, e per questo Don Bosco si recò questuante a Parigi suscitando ammirazione per miracoli e grazie eccezionali da lui ottenuti; nel 1886 si recò in Spagna, accolto altrettanto trionfalmente dalla popolazione. Fece appena in tempo a recarsi a Roma per l’inaugurazione della basilica del S. Cuore, mentre si aggravavano le sue condizioni di salute. Morì il 31 gennaio 1888. 
Fu beatificato da Pio XI nel 1929 e da lui canonizzato il giorno di Pasqua (1° aprile) del 1934.
Giovanni Paolo II lo definì «Padre e maestro della gioventù» per la sua pedagogia, sintetizzabile nel “sistema preventivo”, che si basa su tre pilastri: religione, ragione e amorevolezza e si propone di formare buoni cristiani e onesti cittadini. Uno dei capolavori della sua pedagogia fu S. Domenico Savio.
Don Bosco, uno dei santi più amati in vita, è anche oggi uno dei più invocati e popolari per le grazie che si ottengono incessantemente per sua intercessione.

San Giovanni Bosco, amico e padre della gioventù, invoco la tua protezione su tutti i giovani del nostro tempo e in particolare per quelli della nostra parrocchia.
Fa’ che i nostri giovani crescano sani e buoni, che rifiutino le occasioni di male, che si impegnino con tutto il loro entusiasmo nella vita cristiana per essere sempre veri seguaci di Gesù Cristo.