È un Gesù deciso, fortemente determinato, quello che sale a Gerusalemme, sapendo bene di andare incontro alla morte, e a una morte dolorosa e terribile. Gesù affronta questa “salita” con fiducia.
La sua vita non è nelle mani degli uomini, ma in quelle di Dio, il Padre suo. È un Profeta disarmato quello che entra nella Città santa. La sua cavalcatura, un puledro di asina, non ha nulla di guerresco. Egli non vuole imporsi con la forza, non intende fare sfoggio di potenza. È un Messia indifeso quello che affronta il grumo di odio e di cattiveria che gli si sta per scatenare contro. Del resto non può essere altrimenti.
Egli viene ad offrire il suo amore, un amore tenace, illimitato, perché chi ama è sempre disarmato.
Perché non pensa a proteggersi, perché si espone, disposto anche ad andare incontro al rifiuto e all’ingiuria. È a questo Gesù che la folla dei discepoli manifesta la sua simpatia e la sua gioia.
In effetti questo ingresso è il luogo di un incontro, lo spazio per esprimere a colui che va verso la morte la propria gratitudine per tutto quello che ha detto e fatto, per benedire lui, l’Inviato del Signore, venuto a portare la pace. I gesti e le acclamazioni di questa folla irritano alcuni farisei. Non gradiscono una proclamazione che ha tutto il sapore di un riconoscimento spontaneo e popolare. E tuttavia Gesù lascia fare. Lascia fare perché ormai non esiste alcuna possibilità di equivoco. Il Messia non può essere scambiato per il potente di turno. Il modo in cui si presenta, la sua mitezza, la sua povertà escludono qualsiasi sogno di potenza e di gloria. Le loro parole lasceranno il posto di lì a poco alle grida e alle urla della folla che chiede la sua morte sulla croce. Quest’entusiasmo, dunque, è una sorta di viatico, un accompagnamento sincero per lui che spezzerà se stesso fino alla fine, per la vita del mondo.
