La trasfigurazione (3)

Stare è il verbo della fedeltà, della presenza, della comunione inossidabile.
È risposta al desiderio di Gesù: «Rimanete in me… rimanete nel mio amore».
Sul monte Dio e l’uomo si danno appuntamento da sempre: Dio scende, l’uomo sale, in «un movimento a fisarmonica» che emette melodie di ricerca, desiderio, passione, comunione.
Dio e l’uomo si cercano e si trovano in un presente che non è disconnesso né dal passato (rappresentato da Mosè ed Elia), né dal futuro (la gloria eterna). In Cristo Dio e l’uomo coabitano in un connubio mirabile; per mezzo di Cristo Dio e l’uomo si incontrano, si parlano, sperimentano la più dolce delle amicizie. In Cristo la luce divina rifulge radiosa nella fragilità della carne segno che il corpo è sacro, è tempio, è casa di Dio.

La trasfigurazione (2)

Come il ramo del mandorlo che germoglia segna l’inizio della primavera, così la trasfigurazione si presenta come la pregustazione del Cielo e della gloria della Risurrezione. Nei Vangeli essa appare come un evento di grazia in cui all’uomo, fragile e impaurito dalla prova e dalla croce, è dato di ossigenare mente e cuore e di ricevere una spinta a salire oltre la ripetitività del quotidiano. È l’esperienza che vivono i discepoli, tre uomini che sono icona della sequela Christi, ma anche icona dell’umano spesso lento a decifrare parole ed eventi. La trasfigurazione è un’esperienza che ricorda all’uomo il suo destino e ricorda che la luce divina abita i travagli della nostra storia personale e collettiva, che Dio e l’uomo possono sperimentare un sabato comune. La vita è salita, fatica, ritmo incalzante di avvenimenti, ma Dio concede momenti sabbatici, momenti dove il tempo, che fagocita l’uomo e lo rende schiavo dello spazio, cede il posto alla Grazia, che libera l’uomo dalla tirannia delle cose; momenti dove tutto si distende e si può gustare la bellezza dello stare l’uno alla presenza dell’altro in uno spazio che non soffoca, non costringe, non delimita.

La trasfigurazione (1)

Tra i racconti della vita di Cristo vi è un evento che ci invita a fermarci, a disconnetterci dal turbinio dei nostri andirivieni e sostare nella contemplazione di una bellezza che rapisce, che incanta, che conquista: la trasfigurazione. La vita umana non procede per obblighi o imposizioni, ma per fascinazione di bellezza. Non ci attrae ciò che ci costringe, ma ciò che ci fa intuire un’esperienza di liberazione, che intercetta i nostri sensi, che scava dentro e pianta un seme di passione. Non ci attrae ciò che rappresenta sottrazione o divisione, ma ciò che prospetta addizione, moltiplicazione. La trasfigurazione di Gesù alla presenza di tre dei suoi discepoli è un episodio che mostra come l’uomo subisca fortemente il fascino della bellezza e sia attratto da ciò che lo apre al mistero, al “di più”, alla pienezza di vita. L’evento vissuto sul monte ha il sapore dell’irruzione dell’eternità nel tempo, dell’infinito nello spazio, del divino nel tessuto dell’umano, irruzione che riossigena la storia e la proietta verso il suo compimento.

La via della Croce

La via della Croce è la via ordinaria della vita cristiana, perché Gesù ha detto che chi vuole diventare suo discepolo deve prendere la croce “ogni giorno” e lo deve seguire. La croce, quindi, non è una punizione né tantomeno una scelta personale, è, invece, la modalità che Dio ha scelto per sé e per noi per salvare il mondo.
La croce è la modalità che il Padre ha scelto per il suo amato Figlio in vista della gloria della risurrezione. La croce è la strada maestra per chiunque vuole arrivare a gustare la vita nuova che sgorga dalla risurrezione di Gesù di Nazareth, perché su quel legno è stato appeso il Figlio dell’Uomo che ha tolto il peccato dal mondo. Non ci salva la croce, dunque, ma Colui che è “Crocifisso”, Colui che ha dato la vita per noi, mentre eravamo ancora peccatori. Si, mentre siamo ancora nel peccato, sotto il peso dei nostri limiti e delle nostre miserie umane il Signore Gesù ci ama fino a dare la vita per noi. Su quella Croce, issata sul Golgota, Gesù di Nazareth compie fino in fondo la volontà del Padre e manifesta l’amore più grande: sovrabbondante, immenso e caparra del Paradiso. Dal Golgota il Figlio di Dio abbraccia tutto il mondo per redimerlo e riportalo al Padre.

Conversione

La conversione non è un evento avvenuto una volta per tutte, ma è un dinamismo che deve essere rinnovato nei diversi momenti dell’esistenza, nelle diverse età, soprattutto quando il passare del tempo può indurre nel cristiano un adattamento alla mondanità, una stanchezza, uno smarrimento del senso e del fine della propria vocazione che lo portano a vivere nella schizofrenia la propria fede. Sì, la quaresima è il tempo del ritrovamento della propria verità e autenticità, ancor prima che tempo di penitenza: non è un tempo in cui “fare” qualche particolare opera di carità o di mortificazione, ma è un tempo per ritrovare la verità del proprio essere. Gesù afferma che anche gli ipocriti digiunano, anche gli ipocriti fanno la carità: proprio per questo occorre unificare la vita davanti a Dio e ordinare il fine e i mezzi della vita cristiana, senza confonderli.
Come Cristo per quaranta giorni nel deserto ha combattuto e vinto il tentatore grazie alla forza della Parola di Dio, così il cristiano è chiamato ad ascoltare, leggere, pregare più intensamente e più assiduamente – nella solitudine come nella liturgia – la Parola di Dio contenuta nelle Scritture. La lotta di Cristo nel deserto diventa allora veramente esemplare e, lottando contro gli idoli, il cristiano smette di fare il male che è abituato a fare e comincia a fare il bene che non fa! Emerge così la “differenza cristiana”, ciò che costituisce il cristiano e lo rende eloquente nella compagnia degli uomini, lo abilita a mostrare l’Evangelo vissuto, fatto carne e vita. Il mercoledì delle Ceneri segna l’inizio di questo tempo propizio della quaresima. Simbolica ricca, quella della cenere, già conosciuta nell’Antico Testamento e nella preghiera degli ebrei: cospargersi il capo di cenere è segno di penitenza, di volontà di cambiamento attraverso la prova, il crogiolo, il fuoco purificatore. Certo è solo un segno, che chiede di significare un evento spirituale autentico vissuto nel quotidiano del cristiano: la conversione e il pentimento del cuore contrito. Ma proprio questa sua qualità di segno, di gesto può, se vissuto con convinzione e nell’invocazione dello Spirito, imprimersi nel corpo, nel cuore e nello spirito del cristiano, favorendo così l’evento della conversione.

Tutto inizia con il Mercoledì delle Ceneri

Con il rito dell’imposizione delle ceneri inizia la quaresima. Questo gesto antichissimo affonda le radici nella storia della salvezza e rimanda sempre a tre significati inequivocabili.
Il primo ha a che fare con la conoscenza della nostra piccolezza. Davanti alla grandezza del creato e all’imprevedibilità delle cose terrene, l’esperienza ci dice che da soli non troviamo risposte adeguate e soddisfacenti.
Il secondo aspetto ha a che fare con il riconoscimento di Dio quale fonte e culmine di tutta l’esistenza, compresa chiaramente quella personale di ognuno di noi. Tu sei il Signore, tu sei il vero punto di svolta della mia vita: riconosciamo Dio come Signore della nostra vita non per lo spauracchio del suo giudizio su di noi, ma per l’amore che lui ha avuto e ha per noi.
Il terzo aspetto riconducibile alle ceneri è la conversione. Tempo di quaresima, tempo di conversione, ma di quale conversione parliamo? Come ben sappiamo, i vangeli ci arrivano nella loro lingua originale che è il greco. In greco il termine usato per dire la conversione è metánoia. Questa parola è composta da due parole, meta cioè oltre, e nous che significa intelletto, pensiero. Con conversione si intende, dunque, soprattutto un oltrepassamento del pensiero comune per arrivare ad un modo diverso di intender le cose, di considerare i valori etici e la vita nella sua totalità secondo il modo di pensare che è oltre e che per noi coincide col pensiero di Dio. In questo senso, il cammino penitenziale di quaresima che la Chiesa ci indica attraverso la preghiera, il digiuno e l’elemosina, vuole proprio creare in noi uno spazio vuoto perché sia riempito dalla presenza di Lui e di conseguenza del suo modo di vedere la realtà.
Signore, so che mi hai fatto come un capolavoro, prezioso ai tuoi occhi, so che senza di te sono ben poco, aiutami a diventare più simile a te e soprattutto a vedere e pensare la realtà come la pensi Tu.

Quaresima, tempo di gioia

Diversamente dagli altri tempi liturgici, che iniziano tutti di domenica o con le solennità da cui prendono il nome, la Quaresima prevede una specie di prologo alla prima domenica: il solenne digiuno delle Ceneri. Capita in un giorno feriale, quando i ritmi della vita non possono essere
interrotti, eppure segna un passaggio epocale: il tempo subisce uno scarto, diventa segno sacramentale della nostra conversione. Ciò che il nostro cuore indurito e distratto non riesce mai a fare, è ora a portata di mano. Possiamo volgerci a Dio e lasciarci cambiare in modo che ogni nostro momento, ogni nostro gesto tragga da lui origine e compimento.
Il digiuno che le Ceneri ci mettono davanti serve a percepire nella concretezza della carne questo stacco reale quanto intangibile: siamo entrati in un’altra era, questa Quaresima segnerà la nostra conversione. Qui e ora, nell’ordinario ritmo delle cose di sempre, ci volgeremo a Dio e Dio farà di noi un’umanità nuova.
La Quaresima non è dunque un tempo di mortificazione, ma di gioia: niente può tenerci lontano da Dio, e la nostra povertà è il luogo dove Lui può dimorare. Basta fargli spazio: digiuno (cioè rinuncia a sentirsi sazi di ciò che ci possiamo procurare: beni, affetto, risultati, ecc.), preghiera (perché il cuore affamato si leva a Dio e attende da Lui il cibo necessario) e misericordia (perché Dio riversa nei cuori di chi grida a Lui il Suo stesso amore) sono gli strumenti che allargano
il nostro cuore e lo liberano da tutto ciò che ci intralcia nel cammino della piena comunione con Dio. Quando arriva, allora, la prima domenica di Quaresima dovrebbe trovarci già con il cuore sintonizzato sulla gioia che ci è posta innanzi: abbiamo fatto un digiuno (ognuno come può, ma lo abbiamo fatto) e da qualche giorno abbiamo sintonizzato i pensieri sul nuovo tempo che viviamo.
La nostra conversione è a portata di mano, il Signore ci dona il suo Spirito per riconciliarci e rinnovarci.

Il santo della gioia: l’eredità e l’attualità di don Bosco

Un ponte tra Chiesa e Stato.

Don Bosco pone le fondamenta della sua opera educativa in pieno Risorgimento. In un’epoca in cui la Chiesa era fortemente osteggiata dalla classe dirigente che poi, di fatto, realizzò l’unità d’Italia, don Bosco propone una “terza via” per cui, da un lato, non scende ad alcun compromesso con le élite anticlericali di quel tempo, dall’altro propone un rinnovamento della Chiesa stessa, a partire dalla base. Si pose quindi come uomo di riconciliazione tra “Cesare e Dio”, nella convinzione che, formando dei “buoni cristiani”, avrebbe anche educato degli “onesti cittadini”.
Un insegnamento sorprendente, in un’epoca in cui, soprattutto in Italia e in Occidente, i cattolici sono “personaggi in cerca d’autore”, costantemente in preda a due tentazioni di segno opposto: il compromesso con la mentalità mondana, da un lato, e la chiusura a riccio di fronte alle sfide della modernità, dall’altro.

Il “metodo preventivo”: una risposta all’emergenza educativa. 

Negli anni in cui don Bosco dà vita ai suoi primi oratori, l’Italia è un paese dove l’analfabetismo copre il 90% della popolazione, con un altissimo tasso di devianza sociale tra i giovanissimi. Don Bosco compie dunque un’opera di evangelizzazione primaria nei confronti dei ragazzi: l’oratorio e la scuola diventano una forma di emancipazione da tutte le povertà. Don Bosco si è letteralmente chinato su un’umanità derelitta, secondo i principi del Vangelo e prendendo sul serio tutte le opere di misericordia, a partire dall’“insegnare agli ignoranti”.
Il successo del “metodo preventivo” salesiano è proprio nell’infondere nei bambini e nei ragazzi meno fortunati, una dose gigantesca di amore cristiano, quello stesso amore che le famiglie, la scuola e la società sembravano non riuscire a trasmettere. Aiutando i giovani a coltivare la passione per la musica, per lo sport e per le arti, don Bosco risvegliava in loro un desiderio di infinito.
È proprio quello che servirebbe ai ragazzi di oggi, che hanno totalmente smarrito sia lo stupore nei confronti del mondo, sia la consapevolezza della propria identità e del proprio valore per l’altro.

Il santo della gioia. 

Poiché la dimensione privilegiata dell’apostolato salesiano è l’educazione, per conquistare i giovani è necessaria una buona dose di humour e ottimismo. “Ricordatevi che il diavolo teme la gente allegra”, ripeteva spesso don Bosco ai suoi ragazzi. Questa gioia di vivere non aveva nulla di superficiale, né era fine a se stessa ma nasceva dalla profonda consapevolezza di essere stato salvato da Dio. Nato da una famiglia povera e rimasto molto presto orfano di padre, il santo piemontese fu cresciuto tra molti sacrifici assieme al fratello da mamma Margherita, a cui doveva la sua educazione cristiana.
Quella che, a uno sguardo superficiale, potrebbe essere liquidata come una “infanzia triste” divenne il volano per una vita completamente spesa per gli altri. In assenza di un padre terreno, don Bosco ebbe la grazia di cogliere la bontà del Padre celeste e, assieme ad essa, la chiamata alla paternità spirituale di tanti ragazzi altrimenti destinati ad una vita di perdizione. Questa certezza, diede a don Bosco la forza di non arrendersi davanti ad alcun ostacolo che si frapponesse tra lui e la sua missione.
Fu così don Bosco, poverissimo, riuscì a mettere in piedi una congregazione di caratura mondiale.
La miseria non gli fece mai paura, anche perché, come lui stesso affermava: “I debiti li paga Dio”.

Battesimo del Signore

Il Battesimo inaugura una nuova fase della vita di Gesù. Egli è presentato ufficialmente al mondo dal padre come il Messia che parla e agisce autoritariamente in nome suo. È questo l’inizio della cosiddetta vita pubblica di Gesù. Da qui cominciano quei “Ma io vi dico …” e quel parlare “con autorità” che stupiranno gli Scribi e i Farisei. Nella fase più antica, era da questo momento che cominciava la narrazione della vita di Cristo. Marco, infatti, il primo evangelista, inizia con il Battesimo nel Giordano il suo Vangelo. Pietro nel discorso riportato dagli Atti degli Apostoli, fa del Battesimo di Gesù l’inizio della sua storia: fu nel Battesimo infatti che Dio “consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth”. Perché tutta questa importanza? Anzitutto, essa è legata alla manifestazione dello Spirito. Giovanni Battista aveva caratterizzato le due epoche così: io vi battezzo con acqua egli vi battezzerà in Spirito. La discesa dello Spirito è il “via!” alla redenzione; essa indica che è cominciata la nuova creazione perché lo Spirito è riapparso sulle acque come alle origini. Lo Spirito era già in Gesù di Nazareth per la nascita.
Esso era disceso su Maria, prima ancora che nel Giordano. Ma là si era trattato di un avvenimento avvenuto nel segreto, rimasto sconosciuto; qui invece c’è la manifestazione al mondo della venuta dello Spirito. L’unzione profetica e messianica di Gesù è palesata al mondo.
Nel suo Battesimo Gesù appare l’atteso sul quale si è posato lo Spirito del Signore, come era stato scritto dal profeta Isaia.
L’importanza del Battesimo, oltre che alla manifestazione dello Spirito, è legata anche alla solenne proclamazione del Padre: “Questi è il mio figlio diletto, ascoltatelo”. Colui che si era fatto il servo è proclamato adesso figlio è il vertice dell’Epifania: non più una stella, ma la voce stessa del Padre che rivela agli uomini chi è Gesù di Nazareth: il figlio beneamato del Padre celeste.
Gesù ha confermato il senso di questa dichiarazione, chiamando costantemente Dio con il nome di Abbà, Padre. Dalle sue parole e dal suo agire affiora la coscienza di essere il Figlio di Dio.
Il Vangelo, specie quello scritto da Giovanni, ce lo mostra in un dialogo ininterrotto con il Padre che continua quello esistente in seno alla Trinità. Tutta la nostra fede è ancorata a questa coscienza di Gesù. Egli ci salva perché è Figlio di Dio; egli fa di noi dei figli adottivi di Dio perché Lui che era figlio naturale si è fatto nostro fratello. “A coloro che ,o hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. A noi non importa se quelli che vissero con Gesù furono coscienti di questo segreto fin dall’inizio e ne capirono la portata. Ciò che importa veramente è sapere che Gesù, Lui, ne era consapevole e ne ha lasciato delle prove sicure durante la sua vita terrena.
La conseguenza di questa rivelazione è nelle parole del Padre al momento della Trasfigurazione che continua idealmente la teofania del Battesimo: “Ascoltatelo!”.
Dobbiamo ascoltare Gesù che ci parla ancora oggi, perché Egli ci parla in nome di Dio.
Questo imperativo però non significa solo prestategli attenzione, o mettete in pratica ciò che vi Dice. Significa soprattutto credergli, dare la vostra adesione di fede a Lui, accogliere la sua persona, prima ancora che la sua parola.

Epifania del Signore (2)

“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Abbiamo visto e siamo venuti: qui sta la grande lezione di questi anonimi “predicatori” biblici. Hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio.
Se si fossero messi a calcolare a uno a uno i pericoli, le incognite del viaggio,
avrebbero perso la determinazione inziale e si sarebbero persi in vane
e sterili considerazioni. Hanno agito subito ed è questo il segreto
quando si riceve una ispirazione di Dio.

Un’altra indicazione preziosa ci viene dai Magi. “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Non vogliamo forzare queste parole, ma
vogliamo vedervi un simbolo. Una volta incontrato Cristo, non si può tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L’incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. Non possiamo, anche noi oggi, ritornare a casa per la strada per cui siamo venuti, cioè esattamente come eravamo nel venire in chiesa.
La Parola di Dio deve aver cambiato qualcosa dentro di noi, se non altro le nostre convinzioni e i nostri propositi.
In questa festa dell’Epifania la Parola di Dio ci pone davanti a tre esemplari che rappresentano ognuno una scelta globale di vita. Erode, i sacerdoti, i Magi. A quale vogliamo somigliare nella vita? Dei Magi si dice che, nel rimettersi in cammino, “provarono una grandissima gioia”; niente di simile per quelli che preferirono restarsene tranquilli a casa.
Prostriamoci con fede, apriamo i nostri piccoli e poveri scrigni e offriamogli anche noi oro, incenso e mirra: la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore.