Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Il messaggio di papa Francesco per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato comprende un forte appello a promuovere una società più inclusiva. Per sostenere il tema “Verso un noi sempre più grande”, papa Francesco parte dall’orizzonte biblico del racconto della creazione (Gn 1,26-28) per arrivare alla rivelazione della nuova Gerusalemme (Ap 21,3), passando per la preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17,20-26).
Nel ricorrere a questi testi biblici, papa Francesco ci porta a constatare che la storia della salvezza vede un noi all’inizio
e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto, “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21). Per indicare un chiaro orizzonte per il comune cammino dell’umanità in questo mondo, il messaggio per la 107a GMMR sottolinea sei sotto temi:

1. Un noi grande come l’intera umanità;

2. Un’unica Chiesa, un’unica casa, un’unica famiglia,

3. Una Chiesa che esce all’incontro,

4. Imparare a vivere insieme,

5. Formare un noi che ha cura della casa comune e

6. Sognare come un’unica umanità.


I sei sotto temi su elencati, in verità, sono una proposta pedagogico-pastorale che deve essere approfondita e abbracciata per costruire un futuro “a colori”, arricchito dalla diversità e dalle relazioni interculturali. Nel percorso proposto, tutte le persone sono invitate a costruire ponti che favoriscono la cultura dell’incontro e a crescere nella consapevolezza dell’intima connessione che esiste tra gli esseri umani. In questa prospettiva, le migrazioni vengono presentate come occasioni privilegiate per superare le paure e arricchirsi dalla diversità del dono di ogni persona e, allo stesso modo, le frontiere vengono presentate come luoghi privilegiati di incontro, in cui può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande.

Un noi al centro del mistero di Cristo  

Si parla di un noi all’inizio (Gn 1,26-28), un noi alla fine (Ap 21,3) e al centro il mistero di Cristo morto e risorto “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21). L’intenzione di Gesù non si limita al gruppo dei discepoli, ma contempla un noi molto più grande, cioè immenso come l’intera umanità “Prego non solo per questi, ma per tutti” . L’unità per la quale Gesù prega va oltre le relazioni di un gruppo ristretto, di un gruppo di buoni vicini, o di un gruppo omogeneo. Gesù prega per l’unità delle relazioni che rimangono nell’amore, nonostante le tensioni e i conflitti. L’amore è la via dell’unità verso un noi sempre più umano, perché si esprime nella pluriformità. L’amore, infatti, esige un’apertura progressiva, una grande capacità di accogliere gli altri e il coraggio di rischiare in un’avventura infinita che converge tutte le periferie verso il pieno senso della reciproca appartenenza. Attraverso l’amore, l’accettazione, il rispetto per le differenze e l’inclusione, le comunità cristiane rivelano al mondo il significato del progetto di Gesù. In Cristo c’è comunione nella diversità, perché in Lui tutti formano un unico corpo. In Dio, la comunione nella diversità, oltre ad essere un elemento costitutivo dell’identità Trinitaria, è un progetto salvifico verso un noi grande quanto l’umanità redenta. La persona umana cresce, matura si santifica mentre si relaziona, esce da se stessa per vivere un noi con Dio, con gli altri e con tutte le creature, assumendo, nella propria esistenza, quel dinamismo relazionale che Dio ha inciso nella sua vita. Nessuno si salva da solo, e questo ci invita a maturare la spiritualità della solidarietà globale verso un noi sempre più grande, più fraterno e solidale.

Un noi alla fine

Nel suo messaggio per la 107ª GMMR, papa Francesco ci ricorda l’ideale della nuova Gerusalemme in cui tutti i popoli alla fine si troveranno uniti come un grande noi, in pace e concordia per celebrare la bontà di Dio e le meraviglie del creato. Il testo biblico proposto, Ap 21,3, è parte delle visioni di un nuovo mondo, preso dal libro dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia. Le visioni di una nuova creazione sono già presenti nelle profezie (Is 11,5-9; 62,11, 65,17; Am 9,13-15; Za 8,3-5; 2 Pt 3,13), dunque, Giovanni vede il pieno compimento di queste profezie e la piena realizzazione dell’alleanza tra Dio e l’umanità redenta da Cristo. La Gerusalemme celeste viene introdotta con delle immagini molto familiari ai lettori della Sacra Scrittura: questa è un nuovo mondo, una nuova creazione; è la sposa fedele, pronta per il suo sposo, pronta a firmare un’alleanza eterna; ed è la tenda, la dimora di Dio con l’umanità.
La nuova Gerusalemme sarà libera dalle dominazioni, della sofferenza, del dolore e della violenza.
Dio pianterà la sua tenda in modo definitivo in mezzo al suo popolo: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (Ap 21,3).
Il nuovo cielo e la nuova terra della nuova Gerusalemme sono pronti per accogliere tutti i popoli e non un popolo esclusivo. La tenda di Dio è aperta ad accogliere un noi sempre più grande, un noi che abbraccia tutti i popoli, per cui nessun pellegrino, nessun migrante, nessun rifugiato sarà lasciato fuori. Con questa immagine il libro delle rivelazioni cerca di animare i suoi lettori nella speranza, nella certezza che Cristo risorto ha sconfitto il male e distrutto tutti i muri che ci dividevano. Anche se nel mondo proviamo dolore e sofferenza, questi non hanno l’ultima parola. Alla fine, la potenza di Dio trionferà e formeremo definitivamente un solo corpo, una comunità di fratelli, un noi grande destinato ad includere tutta la famiglia umana.

Un noi all’inizio (2)

Magistralmente il narratore biblico educa i suoi ascoltatori-lettori a comprendere il significato profondo dell’esistenza e della dignità dell’essere umano, sottolineando il valore della reciprocità “aiuto che corrisponde”, alla parità “è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” e alterità con cui può interagire “faccia a faccia”. Al centro del primo noi c’è, dunque, la prima coppia umana o la famiglia, composta da esseri diversi e complementari, un noi chiamato a diventare sempre più grande e fecondo, un noi maschio e femmina, che abbraccia tutta l’umanità, che accoglie e integra la diversità. Dio ha creato l’uomo e la donna per superare l’io individualista e avviare il noi comunione, solidarietà e condivisione. L’essere umano cresce, matura e si santifica nella misura in cui si relaziona, esce da se stesso per vivere un noi con Dio, con gli altri e con tutto il creato, assumendo nella propria vita quel dinamismo relazionale che Dio ha inciso nel creato. La spiritualità della solidarietà globale va verso un noi sempre più grande, fraterno, solidale e sinodale

Un noi all’inizio (1)

L’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio e occupa l’apice della creazione, il sesto giorno. In questo racconto tutto è positivo, il mondo creato da Dio è perfetto e fertile; tutto è buono in esso, non c’è posto per il male e il dolore. L’esercizio del potere umano non conosce la morte o lo spargimento di sangue, poiché l’alimentazione sia degli uomini che degli animali segue una dieta vegetariana, che rappresenta l’armonia, la pace e la tranquillità tra l’umano e il creato. In tutto il creato, soltanto l’essere umano riceve una particolare ed esclusiva eredità, quella di essere immagine e somiglianza di Dio, cioè dotato di intelligenza, volontà e potenza, che gli consente di entrare attivamente in relazione interpersonale con Dio e con gli altri esseri. È interessante osservare che, secondo il racconto biblico, tutti gli animali e le piante furono creati secondo la loro specie; mentre l’essere umano è creato secondo l’immagine di Dio, non ci sono specie nel genere umano, quindi, non c’è neppure una gerarchia di dignità, genere, etnia, classe sociale, lingua, colore, credo o nazionalità. Fin dall’inizio l’essere umano ha la vocazione a diventare un noi sempre più grande: “Fruttificate e moltiplicatevi, riempite la terra”; “Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne!”, ha espresso l’essere umano quando si è trovato faccia a faccia con l’aiuto che gli corrisponde in tutta la creazione. Il riconoscimento dell’altro come simile, nel secondo racconto della creazione, è una via essenziale per raggiungere il senso della vita e l’antidoto alla solitudine, perché “non è bene che l’essere umano sia solo”.