Giovedì eucaristico

L’Adorazione Eucaristica ha un valore tanto a livello personale, quanto vissuto in forma comunitaria. Anzi, le due espressioni dell’adorazione si richiamano a vicenda come, del resto, ogni forma di preghiera e di esistenza cristiana. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell’Eucaristia, lo rimanda sempre all’insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Perciò oltre ad invitare ciascuno a valorizzare e a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti all’Eucaristia, ritengo doveroso sollecitare per promuovere momenti di adorazione comunitaria. Un’attenzione particolare va riservata ai fanciulli. Nella formazione catechistica è importante introdurre i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell’Eucaristia. Penso che siamo chiamati seriamente ad interrogarci sul nostro lavoro in questa direzione.
Attraverso i giovedì Eucaristici alcune persone stanno vivendo la bellezza dell’adorazione.
Nella vita di oggi, spesso rumorosa e dispersiva, è più che mai importante recuperare la capacità di silenzio interiore e di raccoglimento: l’adorazione eucaristica permette di farlo non solo intorno all’‘io’, bensì in compagnia di quel ‘Tu’ pieno d’amore che è Gesù Cristo, ‘il Dio a noi vicino’.
Madre Teresa, dal canto suo, portava la sua esperienza al riguardo: «Dove riceverete in dono la gioia di amare? Nell’Eucarestia. Nella Santa Comunione. Gesù si è fatto Pane di vita per darci la vita. Giorno e notte egli è sempre presente. Se davvero volete crescere nell’amore, sostenetevi coll’Eucarestia, coll’adorazione. Nella nostra congregazione, c’era la consuetudine di avere un’ora di adorazione la settimana e poi, nel 1973, decidemmo di avere un’ora di adorazione ogni giorno. Da quando abbiamo cominciato ogni giorno ad avere la nostra ora di adorazione, il nostro amore per Gesù è diventato più intenso, il nostro amore l’uno per l’altro più comprensivo, il nostro amore per il povero più compassionevole e abbiamo raddoppiato il numero di vocazioni».

Giovedì eucaristico

L’adorazione dell’Eucaristia, al di fuori della celebrazione, è un rivivere personalmente, silenziosamente, il senso della celebrazione del mistero. La “perdurante presenza” del mistero eucaristico nella Chiesa è appello a riandare alla celebrazione dove il mistero “si fa” e così continuare a “vederlo”. Per questo l’adorazione eucaristica non è, per sé, una preghiera “comunque” davanti all’Eucaristia, non è un pensare o un meditare generico davanti all’Eucaristia; è, piuttosto, un mettersi davanti all’Eucaristia ricollocando questa presenza nel suo contesto e lasciandosi interpellare, provocare dal suo significato.
L’eucaristia ha una sua forma precisa e l’adorazione vuole cogliere e fare propria questa ‘forma’. Nell’Eucaristia è offerta la vita intera di Gesù (incarnazione, parole, gesti, Pasqua…) nella “forma” del pane spezzato, cioè di una vita donata al Padre e ai fratelli.
Condizione propizia per l’adorazione, più efficace di qualsiasi parola, è senz’altro il silenzio. Adorare, secondo l’espressione di Gregorio Nazianzeno, significa elevare a Dio un «inno di silenzio». Elisabetta della Trinità annotava: «L’adorazione è una parola del cielo più che della terra. Mi sembra che si possa definire l’estasi dell’amore. È l’amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’oggetto amato, che cade in un silenzio pieno e profondo. Il silenzio di cui parlava David quando esclamava: ‘Il silenzio è la tua lode!’.
Sì, è la lode più bella, perché è quella che si canta in seno alla beata Trinità».
Per gustare un’opera d’arte, occorre fermarsi e contemplarla in silenzio, permettendo al nostro cuore di esprimere lo stupore e la gioia. A maggior ragione, tale atteggiamento è necessario di fronte al “capolavoro” di Dio, che è l’Eucaristia! Sostando volentieri davanti al tabernacolo, il Curato d’Ars insegnava a pregare ai suoi fedeli con il suo esempio. E spiegava loro: «Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare. Si sa che il buon Dio è là, nel santo tabernacolo: gli si apre il cuore, ci si rallegra della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera».
Tra le “non molte parole” che possono sostenere l’adorazione, il primo posto spetta senz’altro ai testi biblici. Penso particolarmente ai Salmi, preghiera di Cristo e della Chiesa, ma anche espressione dei sentimenti umani più profondi; al Vangelo (magari il Vangelo del giorno o della domenica…). Non sono però da escludere invocazioni quali quelle proposte dalle Litanie, che favoriscono una preghiera calma e contemplativa.
L’adorazione è “fruttuosa” anche nel campo delle relazioni umane: libera l’uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall’idolatria del mondo.
Essa “rovescia” la prospettiva di dominio che noi frequentemente assumiamo, facendoci meglio comprendere il senso di “dono” di ciò che ci è continuamente offerto. Essa aiuta pure a “leggere” e vivere la dimensione sociale intrinseca al Cristianesimo. Soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell’Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri.

Giovedì eucaristico

Pensando alla celebrazione dell’Eucaristia, sembra che in prima battuta essa rinvii all’esperienza dello “stare”, piuttosto che dell’andare; del fermarsi, piuttosto che del camminare.
Eppure, come la stessa etimologia del termine assemblea è capace di evocare (assemblea, da ad-simulare, mettere insieme; secondo altri da simul ambulare, camminare insieme), il tema del camminare non è affatto estraneo all’evento del convenire liturgico: si cammina per andare all’assemblea; si cammina dentro l’assemblea, nei diversi movimenti previsti dal rito (tra tutti, quello della comunione eucaristica); si cammina al termine della celebrazione, per sciogliere l’assemblea e fare ritorno alla vita quotidiana, nella prospettiva del servizio testimoniale e della vita vissuta come missione.
Certamente si cammina per convenire verso una meta ed insieme una sorgente: nella statio dell’assemblea radunata per la celebrazione dei misteri si manifesta al contempo il mistero del Signore che si fa presente in mezzo ai suoi e il mistero della Chiesa che si riceve dal suo Signore.

Il logo del Congresso Eucaristico (2)

Il logo è definito da una circonferenza, la quale contiene al suo interno gli elementi che esprimono simbolicamente i contenuti del CEN. La circonferenza in sé rappresenta il fulcro del tema, ovvero il Pane Eucaristico. La circonferenza aperta, i dodici chicchi di grano e le brattee rappresentano i dodici apostoli e l’apostolato di ogni battezzato nella direzione di una comunione di una “Chiesa in uscita”, come ospedale da campo. Lo stelo della spiga delinea la forma dell’Eucaristia, attraversando il pane di Matera, contenuto all’interno della circonferenza. Pane che tagliato appare sempre sotto forma di cuore: il cuore di Dio.
Il profilo dei Sassi di Matera e la croce del campanile richiamano la Chiesa locale che accoglie quella italiana per celebrare il Congresso. Una città fra le più antiche del mondo, con oltre 150 chiese rupestri, piccola ma capace, alla luce dell’esperienza di Capitale Europea della Cultura del 2019, di accogliere anche 50.000 persone in un solo giorno. A Matera converge la Chiesa italiana. Da Matera, nel cammino sinodale, riparte la Chiesa italiana con il pane che rimanda a quello eucaristico: “il pane della vita…Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,48.51).

Giovedì eucaristico

La nostra vita quotidiana deve essere “Eucaristia”, movimento di amore e di adorazione verso Dio, il movimento in cui unicamente può essere rivelato e adempiuto il significato e il valore di tutto ciò che esiste.
Sappiamo di aver perduto questa vita eucaristica e che, nel Cristo, il nuovo Adamo, l’uomo perfetto, la vita eucaristica fu restituita all’uomo. Perché egli stesso fu la perfetta Eucaristia. Egli offrì se stesso in totale obbedienza, in totale amore e rendimento di grazie a Dio. Dio era la sua vera vita. Ed egli diede a noi questa vita perfetta ed eucaristica.
In lui, Dio divenne la nostra vita. E perciò questa offerta a Dio del pane e del vino, del cibo che noi dobbiamo mangiare per vivere, è la nostra offerta a lui di noi stessi, della nostra vita e del mondo intero.
Questa è la nostra Eucaristia.

Fuoco

Matera è citta di Maria e della Visitazione. Chi ha messo in movimento Maria per andare a visitare la cugina Elisabetta è stato il fuoco dello Spirito Santo che ha concepito in lei Gesù, cibo di vita eterna. A Matera c’è una spiritualità trinitaria, cristologica, mariana al punto che dal 27 novembre 1954 si fregia del titolo di Civitas Mariae, quando il Consiglio comunale, a seguito dell’Anno mariano, si fece portavoce della richiesta dei cittadini presso il proprio vescovo. Una scelta confermata da S. Giovanni Paolo II, il quale, durante l’Eucaristia celebrata sulla piazza di Matera il 27 aprile 1991, ebbe a dire che questa è la Diocesi della Visitazione e del Magnificat, ampliando questa caratterizzazione mariana all’intera Arcidiocesi di Matera-Irsina. La festa della Visitazione corrisponde alla festa della Madonna della Bruna che a Matera continua ad essere celebrata sempre il 2 luglio nonostante la riforma liturgica.
Nella civiltà contadina i pani lievitati venivano portati nei forni più vicini da alcuni garzoni che passavano a raccoglierli sistemandoli su una tavola posta sulla testa. Per sapere di chi fossero i pani, questi venivano timbrati. Il timbro, con le iniziali del capo famiglia o con un simbolo, era segno di appartenenza.
Il pane diviene così il segno della comunione, della fraternità, dell’appartenenza all’unica famiglia che si nutre dell’unico pane che è sacro, che viene spezzato e distribuito dal capo famiglia ai componenti della famiglia. Esattamente come fece Gesù quando istituì l’Eucaristia.

Terra

«Una caratteristica che animava la vita sociale nei paesi del Sud Italia era il vicinato. Nei Sassi si è maggiormente sviluppato in una micro-aggregazione con più famiglie che avevano le loro case-grotta in una forma urbana attorno ad una piccola piazzetta. Ogni famiglia era di aiuto e sostegno all’altra: il bene
comune superava quello personale, la solidarietà allontanava ogni forma di egoismo.

Il bisogno di stare insieme manifestava che oltre la singola famiglia esiste una grande famiglia che è la comunità. Nell’assemblea liturgica domenicale si manifestava pienamente. Di domenica, per vivere il senso della festa, si usciva dalle proprie case-grotta con il vestito bello, soprattutto a Natale, a Pasqua e il 2 luglio per la festa della Madonna della Bruna: la Visitazione della Madonna a S. Elisabetta.
Dai Sassi si usciva anche per fare i pellegrinaggi verso i luoghi di culto più significativi: a maggio al Santuario di Picciano, il lunedì dell’Angelo alla chiesa di S. Liborio ai Cappuccini, alla chiesa di Cristo alla Gravinella a marzo. Tutti luoghi dove la famiglia del vicinato confluiva nell’unica famiglia di Dio, la Chiesa. Tutti figli dell’unico Padre, in cammino dietro alla Madre per ricevere la Parola del Figlio, Gesù, partecipare all’Eucaristia sperimentando di essere Corpo di Cristo, sentendo la forza dello Spirito Santo» .
I prodotti della terra sono il segno della provvidenza divina. L’amore e il rispetto per la terra avevano un valore di sacralità: il ventre della vita fecondata dall’acqua.

Acqua

«Matera oltre che città del pane è anche città dell’acqua. Uno dei motivi che ha portato l’Unesco a inserire Matera nel patrimonio dei Beni dell’Umanità nel 1993 è stata l’attenzione verso il sofisticato, intricato e ingegnoso sistema di raccolta e distribuzione delle acque piovane e risorgive. Il sistema di raccolta delle acque nella terra materana trova già la sua canalizzazione nel tempo del Neolitico. Condizionati dalla
configurazione geologica, i Sassi sono stati scavati nella calcarenite costruendo nel tempo un agglomerato urbano di abitazioni, strutturato a terrazzamenti, seguendo il canyon dove scorre il torrente Gravina.
Questa struttura urbana ha sviluppato negli abitanti l’ingegno di raccogliere e distribuire l’acqua in ogni casa, scavando delle cisterne. Interessanti sono le cisterne enormi realizzate in diversi punti della città,
incominciando dalla piazza principale, fino a quella vicina alla chiesa del Purgatorio Vecchio: i palombari. Non si può venire a Matera senza visitare questi luoghi. Matera, Città millenaria, inserita nel bacino del Mediterraneo, guarda Maria come la “Grande Madre”, come Colei dalla quale scaturisce la sorgente della Vita: nel cuore del Sasso Caveoso sorge la Chiesa rupestre della Madonna de Idris con chiari riferimenti all’acqua della prima creazione e all’Annunciazione come nuova creazione.
Le donne di Matera salivano, arrampicandosi lungo lo sperone di roccia, per arrivare alla chiesa e ringraziare la Madonna per il dono dell’acqua, elemento base della vita ma anche simbolo sotterraneo di Matera.
Ogni goccia d’acqua era da custodire, non andava sprecata. Ed è l’acqua che è capace di amalgamare la farina donando vita ad un impasto che, con il lievito madre, cresce nel segno della SS. Trinità, nutrimento per ogni famiglia, di ogni corpo che richiama l’appartenenza al corpo di Cristo: tante membra un solo
corpo che è la Chiesa, la famiglia di Dio, popolo in cammino».

Il logo del Congresso Eucaristico (1)

Nel logo, in basso, viene riportato il “pane di Matera” con le tre gobbe ricavate dal triplice taglio trinitario con tre colori cromatici diversi che indicano gli stessi elementi necessari perché ogni pane possa essere pronto e gustato: acqua, terra, fuoco. «Matera ha una tradizione di panificazione che nel corso dei secoli ha sempre più sviluppato, affermandosi come città del pane. Questa città, da quando ha accolto l’annuncio evangelico, ha saputo sviluppare una particolare teologia nella semplicità dei gesti e dei segni. Uno di questi è appunto il pane. Il suo profumo inebria le strade e le case, il suo sapore è una carezza per il cuore.
Non a caso ogni fetta del pane tradizionale ha la forma del cuore.
Un cuore che si dilata, si fa cibo, esattamente come Dio Trinità.
Anticamente le mamme di questa città, come un po’ dappertutto, iniziavano la lavorazione dell’impasto per il pane con il segno della croce. Successivamente, per risparmiare spazio nel forno e mettere più pani, si sviluppò la tecnica di creare un pane che lievitasse soprattutto in altezza. Questa tecnica si basava sulla teologia della Santissima Trinità. La pasta veniva stesa a forma di rettangolo: si univano le estremità di un lato arrotolandola tre volte, mentre si pronunciava: “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Dall’altro lato, con la stessa tecnica, si facevano due giri per
ricordare la doppia natura di Gesù Cristo: umana e divina. Al termine l’impasto veniva piegato al centro e fatti tre tagli sopra recitando: Padre, Figlio e Spirito Santo. A questo punto il pane veniva lasciato riposare nel giaciglio caldo dove aveva dormito il marito: luogo sacro perché luogo dell’amore e nascita di vita nuova. La formula che la donna usava era questa: “Cresci pane, cresci bene come crebbe Gesù nelle fasce. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Qui, continuando a lievitare con il lievito madre, si amalgamava diventando una sola massa».

Adorare non è facile

Mentre la riforma liturgica muoveva i primi passi, «a volte l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito». In effetti, mentre l’Eucaristia-Sacrificio eucaristico fu recepita come «fonte e apice di tutta la vita cristiana» ; «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione», non sono mancate obiezioni nei confronti dell’Adorazione eucaristica. Una delle più diffuse affermava che il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. Altre derivano da una inopportuna “concentrazione eucaristica” – o, meglio sarebbe dire, “celebrativa” – sulla Messa. Gli altri Sacramenti, le altre espressioni della Liturgia, per non parlare delle «devozioni» e delle «pratiche di pietà» sono relegate o in secondo piano o nel «limbo» della «pietà popolare», adatta forse ad alcuni ceti, ma non certo a credenti preoccupati della loro crescita spirituale. Ma le difficoltà nei confronti dell’adorazione attingono anche ad un livello più profondo, che coinvolge la crisi della fede e della vita-testimonianza cristiana. Se la preghiera è «il caso serio della fede», non meraviglia la contestazione aperta o la trascuratezza tacita nei suoi confronti. Gli acuti problemi al riguardo sono ben individuati: si va dalla presenza pervasiva della secolarizzazione alla crisi di paternità; dalla perdita del senso del peccato alla cultura dell’effimero; dal prevalere del sentimentalismo emotivo all’interesse esclusivo all’«azione», alla “prassi” sociale, di liberazione concreta dalle ingiustizie… Non mancano – è vero – segni di riscoperta in questo ambito, quali la ricerca di spiritualità; il bisogno di silenzio; l’amore alla Parola; la diffusione di gruppi di preghiera; un rinnovato interesse per la pietà popolare; l’attenzione alla spiritualità orientale ed alla pratica della «preghiera del cuore»… Si potrebbe senza dubbio continuare. Mi preme però rilevare che adorare non è facile.

Ma è necessario

L’adorazione è l’unico atto religioso che non si può offrire a nessun altro, nell’intero universo, se non a Dio: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Adorare Dio significa riconoscere che tutto proviene da lui, e «lodarlo, esaltarlo e umiliare se stessi, confessando con gratitudine che egli ha fatto grandi cose e che santo è il suo nome», come Maria nel Magnificat. Per “situare” adeguatamente l’adorazione, occorre considerare come la presenza di Cristo nella Chiesa sia molteplice: il Salvatore è presente nell’assemblea stessa dei fedeli riuniti in suo nome; è presente nella sua parola, nella persona del ministro; è presente infine e soprattutto sotto le specie eucaristiche: una presenza, questa, assolutamente unica, detta reale «non per esclusione, quasi che le altre non siano ‘reali’, ma per antonomàsia». L’adorazione eucaristica va vista perciò in stretta relazione con la celebrazione: tale intrinseco rapporto rappresenta un significativo aspetto della fede della Chiesa ed un elemento decisivo del cammino ecclesiale, compiuto alla luce del Concilio. Per ben orientare e alimentare l’adorazione verso il SS.mo Sacramento, è necessario dunque tener presente il mistero eucaristico in tutta la sua ampiezza, sia nella celebrazione della Messa che nel culto delle sacre specie. È la celebrazione dell’Eucaristia l’origine e il fine del culto che ad essa vien reso fuori della Messa. L’adorazione al di fuori della santa Messa prolunga e intensifica quanto è avvenuto nella celebrazione liturgica, e rende possibile un’accoglienza vera e profonda di Cristo». Già Agostino insegnava: «Rivestito di questa carne [Cristo] mosse i suoi passi quaggiù e la stessa carne ci lasciò affinché ne mangiassimo per conseguire la salute. Orbene nessuno mangia quella carne senza prima averla adorata».