Ed è venuto anche per Pietro il momento di sistemare dinanzi all’Interessato quella faccenda, decisamente scabrosa, del rinnegamento. C’era già stato un incontro. Ma Gesù non aveva potuto fermarsi. Soltanto uno sguardo, ed era bastato per far ruscellare le lacrime sul suo volto del colpevole. Adesso, però, c’è una faccia a faccia impegnativo. La questione va chiarita. Bella roccia, sei stato, Pietro. Hai scricchiolato penosamente dinanzi all’alito di una donnicciola. Dove sono andate a finire le tue promesse di fedeltà incrollabile? E dire che dovevi costituire il fondamento della Chiesa… Incaricato di dare solidità anche ai tuoi fratelli. Ma l’incontro con Cristo risorto al lago è stato esaltante e incoraggiante.
“Non sono venuto, dice Gesù, per giudicarti. Non mi ricordo più della tua viltà. Sono io che torno verso di te per primo, dopo quello che hai combinato. E ritorno verso di te unicamente per domandarti se mi ami ancora, se il tuo rimorso, che è senz’altro grande, non ha distrutto in te l’amicizia che ci univa. Se il sentimento di colpevolezza che provi nei miei riguardi non ha per caso inaridito in te la sorgente dell’amore. Non ti dico neppure che ti perdono, come a coloro che mi hanno inchiodato sulla croce; quelli non mi amavano; meglio, non avevano capito che li amavo. Ma a te chi mi amavi, che condividevi la mia esistenza quotidiana, ti domando soltanto se mi ami ancora, se queste drammatiche giornate pasquali non hanno ucciso in te l’amore. Ti domando esclusivamente questo. Perché è questo l’essenziale. È l’unico necessario per la tua felicità e la tua gioia”.
Ecco evidenziato, in questo episodio, la differenza tra rimprovero e perdono. Il rimprovero rende presente una mancanza. Il perdono la allontana, fino a farla sparire, crea una situazione nuova. Col rimprovero si rinfaccia una colpa che appartiene al passato, la si rende ancora attuale. Col perdono Cristo ci rinfaccia – ossia ci mette di fronte – l’avvenire, le nostre possibilità (e non le nostre manchevolezze). Il rimprovero finisce per far ripiegare un individuo su se stesso, sul suo peccato. Col perdono, Cristo ci fa uscire dal peccato. Il rimprovero spesso è sterile. Il perdono, che è offerta di amore, è sempre creativo. Col rimprovero si dimostra di conoscere una persona e le sue colpe. Cristo, invece, col perdono, più che conoscerci, dimostra di inventarci. Inventarci “diversi”. Il rimprovero ci costringe a guardare indietro. Il perdono ci obbliga a guardare avanti. Cristo chiude il passato. Ce lo porta via, definitivamente.
Non esiste più. Non è che lo tenga nascosto, magari per rinfacciarcelo al momento giusto. Cristo ci consegna il futuro. Con molta acutezza è stato osservato che la penitenza che Gesù ha affibbiato a Pietro è stato l’incarico affidatogli. Quasi gli dicesse: “Và, d’ora in poi farai il Papa!”. Anche a noi il Signore impone questo genere di penitenza impegnativa. “Adesso và … Ti affido l’avvenire”. Il perdono, più che saldare un conto col passato, ne apre uno col futuro. Ma l’episodio precisa anche il senso con cui bisogna intendere l’espressione: “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La pietra non è quella di Pietro. La pietra della sua presunzione, della sua sicurezza è stata frantumata dall’esperienza del rinnegamento. E poi è stata sciolta, definitivamente, dalle lacrime del pentimento. Ora Pietro, e noi con lui, è in grado di capire che la pietra, la roccia è unicamente Cristo. Soltanto Lui offre tutte le garanzie di tenuta. La fedeltà è la sua. Ed è una fedeltà che non viene mai meno, nonostante i tradimenti e le debolezze degli uomini.
D’altra parte, anche l’esperienza dell’altro apostolo di cui celebriamo la festa, dimostra la medesima realtà. Paolo stesso non esita a riconoscere: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi …”. (Gal 1,13). Deve riconoscere di essere stato “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tm 1,13). Ma ci tiene a sottolineare: “Per grazia di Dio sono quello che sono” (1Cor 15,10). Dunque, la Chiesa si fonda sulla misericordia di Dio, non sulla forza degli uomini. La Chiesa è la comunità dei peccatori perdonati, “graziati”, non dei perfetti. Dobbiamo renderci conto, senza farne un dramma, che la Chiesa rivela, ma anche nasconde Dio.
Lo manifesta, ma – in certi momenti – lo oscura. Lo presenta, ma talvolta ce lo allontana. Già. La Chiesa è santa, ma fatta di peccatori. La Chiesa ci consegna Dio, certamente. Ma ce lo offre come avvolto nella ganga della propria miseria, nell’intrico delle proprie contraddizioni. In Dio non c’è né ombra, né ruga, né macchia. La Chiesa, invece, è fatta di uomini, e quindi fatta di miserie, debolezze, colpe, disordini assortiti. I deliranti di una purezza idealistica della Chiesa sono “nemici del Regno”. È necessario imparare ad amare e accettare con gioia la Chiesa così com’è. Perché anch’io sono Chiesa. E anch’io ho bisogno di essere accettato dalla Chiesa col mio peso di miserie e le mie ombre. Sono sicuro che non mi vergognerò mai della Chiesa. Anzi, le sarò sempre riconoscente. Perfino per le sue ombre. Perché mettono in risalto la luce che è di un Altro.