La famiglia: prima scuola

Nell’anno dedicato alla “Famiglia Amoris Laetitia”

Il compito educativo dei genitori è così fondamentale e primario che non può essere delegato del tutto ad altre istanze come la scuola. “Anche se i genitori hanno bisogno della scuola per assicurare un’istruzione di base ai propri figli, non possono mai delegare completamente la loro formazione morale”. I genitori, però, possono essere educatori attendibili soltanto se si mostrano degni di fiducia agli occhi dei loro figli. La responsabilità educativa passa attraverso il generare fiducia nei figli e l’ispirar loro un amorevole rispetto. La fiducia e il rispetto sono nutriti dal dialogo e consolidati dalla coerenza tra parola e vita. Attraverso un sano rapporto tra figli e genitori si costituiscono abitudini virtuose che diventano una seconda natura.
In contesti così, anche la sanzione e il rimprovero acquisiscono un valore positivo perché “un bambino corretto con amore si sente considerato, percepisce che è qualcuno, avverte che i suoi genitori riconoscono le sue potenzialità”. La famiglia si configura così come “la prima scuola dei valori umani, dove si impara il buon uso della libertà”. In essa si imparano a discernere i messaggi della società circostante.

La famiglia: prima Chiesa

In questo contesto ricco si inserisce l’educazione alla fede, compito reso più difficile ai nostri giorni, ed è proprio per questo che risulta ancora più indispensabile. La famiglia “deve continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo”.
La fede va trasmessa con la gestualità e con una sensibilità narrativa e non solo con i concetti e i precetti.
Non si deve dimenticare, soprattutto, che la fede è dono di Dio. Bisogna parlare di Dio ai figli, ma bisogna altrettanto e soprattutto parlare dei figli a Dio. Le famiglie devono assumersi a pieno il loro ruolo, non come clienti, ma come credenti, come soggetto dell’azione pastorale dell’annuncio del Vangelo.

Prendersi cura

Non c’è nessuno che, in un modo o nell’altro, non sia stato colpito da questa ondata pandemica: ci siamo tutti scoperti più fragili e vulnerabili.
Oscilliamo tra fragilità e resilienza, tra pessimismo e speranza, tra solitudine e prossimità.
E prendiamo sempre più coscienza che ci vuole coraggio per non rimanere travolti da una crisi di queste dimensioni. Viviamo un tempo in cui osare prendersi cura non è più una fra le tante opzioni, ma è divenuta la scelta indispensabile.
È in questa ottica che si è svolta l’attività estiva della Parrocchia denominata Grest 2021.
Questa esperienza che ha coinvolto tante persone, è una storia di grande intenzionalità educativa, che nel corso del tempo si è distinta per l’originalità dei contenuti proposti e la mentalità progettuale fortemente voluta nei materiali progettati.
Siamo tutti consapevoli dell’importanza del contesto di Oratorio per la crescita e formazione dei ragazzi, soprattutto, in questo tempo di Pandemia, dell’urgenza e della necessità che le nuove generazioni ritrovino spazi di socialità, di gioco, di svago, di amicizia, di relazioni e di vita, grazie all’incontro fisico tra le persone: vere protagoniste di ogni attività.
La scelta di questa iniziativa ha voluto proprio significare tutto questo.
Più di un marchio di fabbrica o di un bollino di qualità, è stato un tratto distintivo di una comunità che continua la scelta di prendersi cura delle giovani generazioni!
Nel contesto attuale, già dall’estate scorsa, ci si è resi conto come sarà sempre più necessaria e urgente una collaborazione con le molteplici e diverse agenzie educative.
Ecco allora che l’opera educativa diventa azione comunitaria in cui ci si incontra, si collabora per compenetrarsi e sostenersi vicendevolmente: ambiti in cui costruire relazioni efficaci.
Impegnarsi nella costruzione del “Noi” organizzando luoghi caldi e strategie di prossimità in cui si possano sperimentare relazioni positive onde stimolare il potenziale delle persone a beneficio delle nuove generazioni.
In questa ottica diventerà sempre più importante pensare attività che richiedano l’ausilio di Agenzie educative per una presenza di adulti specializzati.

Trasformare la società attraverso i valori cristiani

Senza nulla togliere alla “missione propria del vescovo, primo catechista nella sua diocesi”, né alla “responsabilità peculiare dei genitori” riguardo alla formazione cristiana dei loro figli, dunque, il Papa esorta a valorizzare i laici che collaborano al servizio della catechesi, andando incontro “ai tanti che attendono di conoscere la bellezza, la bontà e la verità della fede cristiana”.
Spetta ai Pastori – sottolinea ancora Francesco – riconoscere “ministeri laicali capaci di contribuire alla trasformazione della società attraverso la penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico”. 

Un ministero nuovo dalle origini antiche

Il nuovo ministero ha origine molto antiche che risalgono al Nuovo Testamento: in forma germinale, ne parlano ad esempio il Vangelo di Luca e le Lettere di San Paolo Apostolo ai Corinzi e ai Galati. Ma “l’intera storia dell’evangelizzazione in questi due millenni – scrive il Papa – mostra con grande evidenza quanto sia stata efficace la missione dei catechisti”, i quali hanno fatto sì che “la fede fosse un valido sostegno per l’esistenza personale di ogni essere umano”, giungendo “perfino a donare la loro vita” a questo scopo. A partire dal Concilio Vaticano II, poi, è cresciuta la consapevolezza del fatto che “il compito del catechista è della massima importanza”, nonché necessario allo “sviluppo della comunità cristiana”. Anche oggi, prosegue il Motu proprio, “tanti catechisti capaci e tenaci” svolgono “una missione insostituibile nella trasmissione e nell’approfondimento della fede”, mentre una “lunga schiera” di beati, santi e martiri catechisti “ha segnato la missione della Chiesa”, costituendo “una feconda sorgente per l’intera storia della spiritualità cristiana”. 

Il Papa istituisce il ministero del catechista

Pubblicato il 10 maggio il Motu proprio “Antiquum ministerium”
firmato il 10 maggio, memoria liturgica di San Giovanni d’Avila,
presbitero e dottore della Chiesa
con cui Francesco stabilisce il ministero laicale di catechista:
un’urgenza per l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo.

“Fedeltà al passato e responsabilità per il presente” sono “le condizioni indispensabili perché la Chiesa possa svolgere la sua missione nel mondo”: lo scrive Papa Francesco nel Motu proprio “Antiquum ministerium” con cui istituisce il ministero laicale di catechista. Nel contesto dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo e di fronte a “l’imporsi di una cultura globalizzata”, infatti, “è necessario riconoscere la presenza di laici e laiche che, in forza del proprio battesimo, si sentono chiamati a collaborare nel servizio della catechesi”. Non solo: il Pontefice sottolinea l’importanza di “un incontro autentico con le giovani generazioni”, nonché “l’esigenza di metodologie e strumenti creativi che rendano l’annuncio del Vangelo coerente con la trasformazione missionaria della Chiesa”.

Grazie di cuore

È una parola tanto breve, tanto piccola ma sempre vera, profonda e piena di grandi significati.
È la più semplice e magica parola che illumina qualsiasi anima e sa valorizzare pienamente tutto quello che ogni persona compie.
Grazie è uno sguardo attento, apprezzando naturalmente quello che merita di esserlo.
È tutto questo perché nasce dal luogo più intimo di una persona: il suo cuore.
Grazie è tutto ciò che vogliamo dirci al termine delle tre intense settimane del Grest.
Grazie ad ogni volto, ad ogni persona che ha partecipato a questa attività.
Come spesso ci ricordiamo, ciascuno è una ricchezza per tutti: sia per le cose belle che doniamo, sia anche per le nostre fragilità e i nostri limiti. Grazie per tutto quello che si è e si dona.
Grazie perché una persona cresce e impara anche dagli sbagli propri e altrui.
Grazie a tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo, la loro disponibilità.
La Parola di Dio ci ricorda che il “Signore ama chi dona con gioia”.
Ciascuno è stato un dono di gioia, un sorriso per tanti altri. Grazie

Con cuore di Padre

Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe

L’offerta di due tortore per il gesto di purificazione di Maria dopo il parto è un dettaglio che non deve sfuggirci. Questo tipo di offerta era il minimo previsto per le famiglie povere. Gesù è nato in una famiglia povera, e quindi la sua povertà non è una trovata romantica che lo rende più spendibile in ambito pubblicitario. La povertà della famiglia di Gesù è una povertà vera, non una povertà simulata. In un tempo come il nostro, in cui si può cadere anche in forme di vanagloria travestite da pauperismo, Giuseppe, Maria e Gesù ci ricordano la dignità che solitamente hanno i poveri. Essi non ostentano la loro povertà come qualcosa di cui vantarsi, ma sano rimanere dignitosi del loro poco. Basta far visita a qualche quartiere più malfamato, o entrare nelle case dei poveri per accorgersi che c’è una grande differenza tra lo sciatto, l’abbandonato e il povero. L’autentico povero non è mai sciatto anche se ha poco e ha una tremenda cura di quel poco affinché sia quanto più accogliente possibile. Il vero povero sa condividere e non contempla egoismi, perché sa che il suo destino è sempre legato a quello dell’altro. I poveri sanno ringraziare e capiscono la differenza tra il necessario e il superfluo. I poveri non sono mai indifferenti alla povertà degli altri. Forse per questo Gesù sfama le folle, sente compassione per loro, moltiplica i pani e i pesci e non fa buttare nulla di ciò che avanza perché non sia sprecato. C’è sicuramente un significato teologico, ma non dobbiamo dimenticare il motivo umano, quello che lui stesso ha appreso alla scuola di Giuseppe e Maria.

Educazione come processo integrale

Nell’anno dedicato alla “Famiglia Amoris Laetitia”

Una dimensione preziosa di Amoris laetitia è il suo sguardo lungimirante sull’educazione. Questo ampio respiro si esprime nel contesto in cui il Papa parla dell’educazione alla fede. Educare alla fede, nell’ottica di Francesco, è un processo ricco e complesso che implica anche l’educazione alla vita. Educare alla fede non è un’esperienza isolata.
La fede non ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso.
I genitori incidono molto nell’educazione umana, morale e religiosa dei propri figli. Per questo è di capitale importanza che i figli non vivano a casa come estranei. La comunione genitori-figli è di vitale necessità per la trasmissione generazionale dei valori. Ciò che educa i figli non sono le ramanzine, ma la presenza e l’esempio. Il Papa invita a scoprire la dimensione narrativa della genitorialità: “Soltanto i momenti che passiamo con loro, parlando con semplicità e affetto delle cose importanti, e le sane possibilità che creiamo perché possano occupare io loro tempo permetteranno di evitare una nociva invasione. C’è sempre bisogno di vigilanza.
L’abbandono non fa mai bene”. D’altro canto, l’ossessione poliziesca non è educativa. I figli hanno bisogno del loro spazio per maturare nella libertà responsabile e per toccare la vita con le loro mani.
Un distinguo fondamentale è espresso dal Papa quando invita a interrogarsi non dove si trovi fisicamente il figlio, ma dove si trova in un senso esistenziale, ovvero “dove sta posizionato dal punto di vista delle sue convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita”.
“La famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove si impara il buon uso della libertà.
Ci sono inclinazioni maturate nell’infanzia che impregnano il profondo di una persona e permangono per tutta la vita come un’emozione favorevole nei confronti di un valore o come un rifiuto spontaneo di determinati comportamenti”.

Il logo che accompagnerà la Chiesa di Lodi verso il XIV Sinodo

In primo piano l’immagine di San Bassiano, ci sono i profili della Basilica dei XII Apostoli e del duomo, segni unificanti della comunità.
“Insieme sulla Via”, che è Gesù, tra memoria e futuro! 


Si va componendo il mosaico del cammino verso il Sinodo XIV della Chiesa di Lodi. A convocarci e a condurci fino alla fine confidiamo che sia lo Spirito Santo. L’indicazione delle tappe con alcune espressioni di sintesi ne accompagnano la preparazione e la celebrazione e sono richiamate nel logo del Sinodo.
Esso evidenzia la ricchezza delle esperienze, degli strumenti e del lavoro che confluisce nell’evento, interpellando nuovamente tutti alla preghiera e alla condivisione al fianco di quanti vi rappresenteranno l’intera diocesi. Il tratto classico delle figure e delle forme ci riporta al patrimonio artistico e al gusto tradizionale della cultura locale, significativamente richiamata dal profilo essenziale della basilica dei XII Apostoli e della cattedrale, quali segni unificanti della comunità cristiana nel territorio lodigiano. Spicca in primo piano, con atteggiamento dinamico e accogliente, l’immagine del vescovo San Bassiano, attorniato dalle persone e dalle case in armonico incontro e in cammino con loro nel tempo. Centrale, e volutamente sospesa fra cielo e terra, la Croce gloriosa orienta con sicurezza i nostri passi.
Una circonferenza aperta avvolge l’icona, dando rilievo alla terra, alle persone e alle cose chiamate ad aprirsi sempre al Vangelo, che è per tutti.

Educazione implicita

Nell’anno dedicato alla “Famiglia Amoris Laetitia”

Un tratto speciale di Amoris Laetitia è lo sguardo ricco sul compito educativo. Esso non si riduce soltanto alle lezioni impartite verbalmente dai genitori. L’educazione comincia molto prima, in una maniera spontanea, con la gestualità affettiva e affettuosa dei genitori.
In un passo di ricca fenomenologia e sensibilità, il Pontefice indica come l’amore genitoriale può manifestarsi in tanti piccoli gesti: “I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio”.

Bisogno di un padre e di una madre

Francesco ribadisce il bisogno naturale dei bambini di ricevere l’amore complementare nella diversità di un padre e di una madre. La madre e il padre sono cooperatori e interpreti dell’amore di Dio Creatore. Essi mostrano ai figli rispettivamente il volto materno e il volto paterno del Signore perché, come insegnò in modo memorabile Giovanni Paolo I, Dio è un Padre che ama con il cuore di una madre.
La madre dona e insegna la gratuità dell’amore, la sua incondizionata oblazione. Il padre insegna l’importanza di corrispondere all’amore, mostra come l’amore porta a crescere e a portare frutto. Le madri donano il cuore, i padri donano i confini. Entrambi collaborano a contribuiscono a formare l’identità unica del figlio.