La preghiera rischia di venire sempre dopo.
Prima c’è il resto, poi – se si può – anche la preghiera. Inoltre facciamo fatica a capire il significato della preghiera. Perché pregare? Perché siamo figli di Dio, discepoli di Gesù. Questa relazione merita d’essere curata e coltivata.
In ascolto e in dialogo. Che cosa ci dà la preghiera? Non qualcosa, ma qualcuno: lo Spirito Santo. Etty Hillesum nel suo meraviglioso Diario scrive: «Non saremo noi, o Signore, un giorno a chiamarti in causa e a dirti: “Dov’eri Tu?”, ma sarai Tu un giorno a chiamarci in causa e a dirci: “Dov’eri tu o uomo?”». Lo Spirito è il dono di Dio ai suoi figli, ai credenti in Gesù Cristo, all’umanità intera. Gesù ci ha promesso il dono dello Spirito. È una promessa di cui ci fidiamo fino in fondo. Il dono dello Spirito costituisce la risposta più importante di Dio Padre, l’Abbà grande e buono, alle nostre invocazioni e ai nostri bisogni. Più di tutto e dentro a tutto Dio vuole donarci se stesso: il suo amore personale, la sua presenza consolatrice, la sua forza rinnovatrice, il suo Spirito. Senza la preghiera, come guardare alla sofferenza e alla morte? Ma la morte non è l’ultima parola: essa non è separazione, ma comunione suprema, atto supremo di amore; il Padre accoglie la consegna che il Figlio fa di se stesso. La risurrezione è l’inevitabile esito di questa morte, non più fallimento ma compimento. Tutto questo non è solo per Gesù, è anche per noi.