È fondamentale giungere a comprendere l’importanza – in noi e fuori di noi, nelle nostre relazioni – della presenza dei limiti, delle ferite, delle zone d’ombra; capire, alla luce del messaggio evangelico, che tutto ciò che del nostro ed altrui mondo interiore è segnato dall’ombra e dal limite, è l’unica nostra ricchezza, e che proprio lì è possibile fare esperienza della nostra salvezza.
Insomma, che non vi è nulla dentro di noi che meriti di essere gettato via.
Tutto può essere trasformato in grazia, persino il peccato, diceva sant’Agostino.
Se cominciamo a ragionare in questo modo, vuol dire che s’è compiuta in noi la vera conversione evangelica: abbiamo fatto nostro un pensiero “altro”, ovvero siamo finalmente giunti a non pensare più che la “purezza”, l’essenza di debolezza e di peccato, siano la nostra salvezza, ma proprio il contrario.
La salvezza, la santità, sarà finalmente renderci conto della nostra verità, ovvero che siamo feriti, limitati, fragili, ma al contempo oggetto dell’amore “folle” di un Dio che – proprio perché siamo fatti così – viene a visitarci e ad inabitarci. Il Vangelo rivela continuamente che tutto ciò che ha il sapore del limite racchiude in sé anche la possibilità del suo compimento.
Gesù dice a ciascuno di noi: “Ama quella parte di te che non vorresti avere.
Comincia ad avvolgerla con l’amore e alla fine constaterai di avere in te una perla preziosa, perché nella ferita riconosciuta, avvolta dall’amore, sperimenterai il tesoro che ti porti dentro.”
Mettere nel mezzo le nostre zone d’ombra vuol dire riconoscere da una parte la loro esistenza, e dall’altra che esse, dinanzi alla resurrezione di Cristo, non sono l’ultima parola sulla nostra umanità.
Dobbiamo deciderci se operare per la forza o per la debolezza.
La nostra inadeguatezza, la nostra debolezza, è una forza più grande di ogni altra, poiché ha la forza stessa di Dio: “Quando sono debole, è allora che sono forte” scriveva san Paolo.
Questa verità dovrebbe tornare al centro del nostro vivere cristiano.
Nei Vangeli al centro vi è sempre l’uomo nella sua malattia, nel suo essere ferito, debole e fragile.
Perciò anche al centro dell’assemblea (della comunità, della nostra famiglia, della Chiesa …), al centro del nostro vivere da cristiani non campeggiano la forza, il farcela da sé, l’osservanza ossessiva dei precetti santi, l’essere moralmente irreprensibili … ma vi è solo la nostra debolezza.