Perché tanto dolore? (lo “scandalo” della sofferenza)

Perché un ragazzo, nel fiore dell’età, quando davanti a lui dovrebbe schiudersi la speranza e il respiro più ampio della vita, arriva a sopprimere questa vita? E sappiamo che questi eventi si stanno moltiplicando in modo allarmante. Sì, è un allarme. Ma di che cosa? Perché un ragazzo accumula tanto dolore, spesso mascherato, e tanta poca gioia di vivere? Mi viene da pensare a due cause:
Una attribuibile al tipo di società in cui viviamo, che formulerei in questo modo: grandi promesse che poi non vengono mantenute. Per esempio: la società in generale, e i mass media in particolare, propongono uno standard di vita di un certo livello. Un ragazzo cresce identificandosi con determinati modelli, che dietro la maschera hanno il vuoto. Modelli che non pagano. Si confonde la realtà “virtuale” con la realtà “reale”. Prima o poi ci si accorge dell’inganno. Si può continuare a illudersi e a vivere nel “virtuale”, ci si può continuare a drogare per non affrontare la realtà. Ma a volte, la delusione è così terribile e fulminante che una personalità fragile non regge la frustrazione e assistiamo al crollo improvviso.
Questa causa mi fa pensare a un’altra. Perché un adolescente, apparentemente bravo, buono e studioso, è così fragile che basta un brutto voto a scuola per mandarlo in tilt? A questo punto l’interrogativo si sposta sulle cosiddette “agenzie educative”. Queste cose ci devono interrogare: che tipi di persone stiamo formando? Che cosa possiamo fare per aiutare la crescita di persone che non siano “molluschi”: con una corazza durissima all’esterno, fragilissimi all’interno.
“Se ti lasci andare nel giorno dell’angoscia, è segno che la tua forza si riduce a ben poco” (Pr 24,10).
Perché queste personalità–molluschi? Anche qui possiamo riscontrare varie cause.
Voglio sottolinearne due: Il non saper dire mai di no. Questo atteggiamento ingenera non solo una visione distorta della vita, che prima o poi presenterà i suoi no, ma induce un sospetto terribile nel figlio a cui tutto si permette: i miei genitori non mi amano perché mi danno tutto. Il figlio che cresce avverte, anche se non gli piace, che c’è un limite alle cose, che la strada della vita ha dei paletti che vanno rispettati per il suo stesso bene, altrimenti andrà fuori strada e si farà male. Se coloro che gli stanno vicino non gli presentano questi limiti non si sentirà protetto da loro. Capite che non si tratta di un discorso repressivo, come se non si volesse lo sviluppo sereno, gioioso e positivo di un giovane. È un discorso educativo.
Se uno, poi, è cresciuto, senza che qualcuno gli dicesse mai di no, non saprà neanche dire di no a se stesso. Penserà che la vita è tutta una discesa e non si accorgerà del burrone. Pensiamo, in proposito alle parole di Gesù: “Stretta è la via che conduce alla vita. Spaziosa e larga quella che conduce alla perdizione”.

Un’altra causa può consistere nell’aver abbassato la qualità della gioia: abbiamo cioè identificato la gioia, e l’ambiente è stracolmo di questo messaggio, con la gratificazione dei bisogni, siano essi di tipo primario-istintivo, o di tipo secondario-sociale.
Abbiamo parlato dei ragazzi, perché ci fa male al cuore questo moltiplicarsi allarmante dei suicidi e omicidi e violenze, tra adolescenti e giovani. Dobbiamo interrogarci seriamente sulle cause e porre dei rimedi, non tanto fare discorsi demagogici o prediche.
Ma forse non c’è tanto dolore e tanta poca di gioia anche tra gli adulti? In fondo i giovani rispecchiano, e magari moltiplicano, ciò che vedono in noi. Perché viene a mancare la gioia di vivere?