L’adorazione (da ad-orare, “rivolgere la parola”) nasce da una intuizione profonda: Dio è grande e l’uomo piccolo; Dio è Dio e l’uomo è uomo. Nell’adorazione avviene l’incontro con il Dio che supera tutto quello che siamo, ogni nostra idea, ogni nostra parola, ogni nostra categoria mentale e operativa; Dio, nella sua trascendenza assoluta, è l’Altro. Il credente, fragile creatura, che si trova davanti alla “gloria” di Dio, si inchina profondamente, non solo con il corpo, ma anche con tutta la persona nella sua libertà.
Adorare Dio – ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica – significa riconoscerlo come Dio, come Creatore e Salvatore, come Signore e Padrone di tutto, ma anche come Colui che è l’Amore infinito e misericordioso.
Se però percepisce chiaramente la verità di Dio come ci è testimoniata dalle Scritture, l’uomo non si sente come schiacciato; davanti alla sua grandezza, percepisce certamente la sua pochezza, il suo essere peccatore, ma insieme di essere per grazia la sua gloria, secondo l’espressione di sant’Ireneo: “la gloria di Dio è l’uomo vivente”.
È nel gioco di questi due poli che nasce la vera adorazione. Man mano che si cresce nella consapevolezza della grandezza del vero Dio, si fa strada lo stupore di essere importanti per lui, di essere stati fatti come un prodigio. Tutto questo ci fa stare a bocca aperta, pieni di una gioia incontenibile, che porta alla vera adorazione.
