Poi c’è la stella. Nei doni, di certo in quelli più importanti, non si parte senza l’apparizione di una “stella” – senza una voce, un segno, una convocazione. Ci si mette in cammino perché qualcuno o qualcosa ci chiama dentro – qualche volta è un grido. Ecco perché ognuno di noi sa riconoscere quei pochi doni che ha ricevuto nella vita perché qualcuno ha seguito, per lui/lei, una stella. Il primo dono (la vita) è arrivato quasi sempre così, perché due persone hanno visto e seguito la stella dell’altra. Ciò che siamo oggi
dipende da molte cose, ma dipende soprattutto dai doni-stella che abbiamo ricevuto.
I magi portano in dono «oro, incenso e mirra». Per dire regalità (oro), divinità (incenso), e corporeità (mirra). La grammatica e la sintassi del dono continua a svelarsi. In ogni incontro che nasce dal dono, ti dico che hai la dignità di un re, che sei sacro come un dio, e che sei un essere umano, e quindi il tuo limite e la tua futura morte non sono maledizione e condanna, ma compito e destino.
Questi sono gli accidenti che solo insieme fanno la sostanza del dono, che consiste nell’onorare.
E infine, anche i magi, come Maria con Elisabetta, dopo aver fatto il loro dono presero la via di casa.
È questa l’ultima nota dell’arte del dono, che non si chiude con la sua accettazione, ma col ripartire.
Chi conosce quest’arte perché l’ha appresa per tutta la vita, sa che «fare ritorno a casa» è il capolavoro del dono. Chi sa donare non occupa spazi, li libera. È discreto. Riparte.
Non si appropria del tempo della reciprocità. E porta via con sé solo quella “grandissima gioia”.