Epifania del Signore (2)

“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Abbiamo visto e siamo venuti: qui sta la grande lezione di questi anonimi “predicatori” biblici. Hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio.
Se si fossero messi a calcolare a uno a uno i pericoli, le incognite del viaggio,
avrebbero perso la determinazione inziale e si sarebbero persi in vane
e sterili considerazioni. Hanno agito subito ed è questo il segreto
quando si riceve una ispirazione di Dio.

Un’altra indicazione preziosa ci viene dai Magi. “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Non vogliamo forzare queste parole, ma
vogliamo vedervi un simbolo. Una volta incontrato Cristo, non si può tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L’incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. Non possiamo, anche noi oggi, ritornare a casa per la strada per cui siamo venuti, cioè esattamente come eravamo nel venire in chiesa.
La Parola di Dio deve aver cambiato qualcosa dentro di noi, se non altro le nostre convinzioni e i nostri propositi.
In questa festa dell’Epifania la Parola di Dio ci pone davanti a tre esemplari che rappresentano ognuno una scelta globale di vita. Erode, i sacerdoti, i Magi. A quale vogliamo somigliare nella vita? Dei Magi si dice che, nel rimettersi in cammino, “provarono una grandissima gioia”; niente di simile per quelli che preferirono restarsene tranquilli a casa.
Prostriamoci con fede, apriamo i nostri piccoli e poveri scrigni e offriamogli anche noi oro, incenso e mirra: la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore.

Epifania del Signore (1)

“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Abbiamo visto e siamo venuti: qui sta la grande lezione di questi anonimi “predicatori” biblici. Hanno agito di conseguenza, non hanno frapposto indugio.
Se si fossero messi a calcolare a uno a uno i pericoli, le incognite del viaggio,
avrebbero perso la determinazione inziale e si sarebbero persi in vane
e sterili considerazioni. Hanno agito subito ed è questo il segreto
quando si riceve una ispirazione di Dio.

Vanno per “Adorarlo”. Questo termine riveste un profondo significato teologico, nel contesto del Natale, che doveva essere ben chiaro nella mente dell’evangelista Matteo.
Egli lo usa di nuovo, quando dice che “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono”. I Magi conoscevano bene cosa significa “adorare”, perché la pratica era nata proprio tra loro, nelle corti d’oriente. Significava tributare il massimo onore possibile, riconoscere a uno la sovranità assoluta. Il gesto era riservato perciò solo ed esclusivamente al sovrano. È la prima volta che questo verbo viene impiegato in relazione a Cristo nel Nuovo Testamento; è il primo, implicito ma chiarissimo, riconoscimento della sua divinità.
I Magi non sono mossi dunque da curiosità, ma da autentica pietà. Non cercano di aumentare la loro conoscenza, ma di esprimere la loro devozione e sottomissione a Dio.
Anche oggi l’adorazione è l’omaggio che riserviamo solo a Dio.
Noi onoriamo, veneriamo, lodiamo, benediciamo la Madonna, ma non la adoriamo.
Questo è un onore che si può tributare solo alle tre persone divine.
L’adorazione è un sentimento religioso da riscoprire in tutta la sua forza e bellezza.
È la migliore espressione del “sentimento creaturale” ritenuto da alcuni il sentimento che è alla base di tutta la vita religiosa. Molti usano questa parola con troppa leggerezza: “Io adora andare a pesca, adoro il mio cane”. Dicono di creature umane “il mio adorato bene”. Non dico che si fa ogni volta peccato, ma certamente non indica una grande sensibilità religiosa.

Epifania del Signore (2)

Poi c’è la stella. Nei doni, di certo in quelli più importanti, non si parte senza l’apparizione di una “stella” – senza una voce, un segno, una convocazione. Ci si mette in cammino perché qualcuno o qualcosa ci chiama dentro – qualche volta è un grido. Ecco perché ognuno di noi sa riconoscere quei pochi doni che ha ricevuto nella vita perché qualcuno ha seguito, per lui/lei, una stella. Il primo dono (la vita) è arrivato quasi sempre così, perché due persone hanno visto e seguito la stella dell’altra. Ciò che siamo oggi
dipende da molte cose, ma dipende soprattutto dai doni-stella che abbiamo ricevuto.

I magi portano in dono «oro, incenso e mirra». Per dire regalità (oro), divinità (incenso), e corporeità (mirra). La grammatica e la sintassi del dono continua a svelarsi. In ogni incontro che nasce dal dono, ti dico che hai la dignità di un re, che sei sacro come un dio, e che sei un essere umano, e quindi il tuo limite e la tua futura morte non sono maledizione e condanna, ma compito e destino.
Questi sono gli accidenti che solo insieme fanno la sostanza del dono, che consiste nell’onorare.
E infine, anche i magi, come Maria con Elisabetta, dopo aver fatto il loro dono presero la via di casa.
È questa l’ultima nota dell’arte del dono, che non si chiude con la sua accettazione, ma col ripartire.
Chi conosce quest’arte perché l’ha appresa per tutta la vita, sa che «fare ritorno a casa» è il capolavoro del dono. Chi sa donare non occupa spazi, li libera. È discreto. Riparte.
Non si appropria del tempo della reciprocità. E porta via con sé solo quella “grandissima gioia”.

Epifania del Signore (1)

La visita dei magi, narrata dal Vangelo di Matteo, contiene molti elementi della grammatica del dono. Non erano pastori, erano esperti di stelle e di scienza. È bella questa presenza della sapienza e della scienza nel presepe. Sapienti venuti da oriente, probabilmente dalla Persia, l’Iran di oggi, nel pellegrinaggio più bello. Matteo, all’inizio del suo Vangelo mette la visita di questi ospiti e amici benedicenti venuti da lontano a portare dei doni, a onorare il bambino. I magi furono prossimi del bambino pur essendo, per molte ragioni, lontani. Quegli uomini si misero in cammino verso occidente, inseguendo «una stella», per «adorare» un bambino, che sanno essere «il re dei giudei».

Due elementi di questa speciale grammatica del dono: c’è un cammino e c’è una stella.

Cammino dice impegno e dice tempo, gli ingredienti fondamentali di ogni vero dono.
Non accettiamo e non gradiamo un dono che sappiamo essere riciclato proprio perché mancano impegno e tempo. I regali non richiedono molto tempo, ne facciamo molti in poche ore; il dono no, è diverso. Non c’è dono senza un cammino, senza un viaggio materiale o spirituale. Ci si alza, si va a trovare quella persona che abbiamo deciso di onorare con la nostra visita e con il nostro dono. Quasi tutto quello che volevamo dire a quella persona lo diciamo andandola a trovare: è il corpo in movimento a dirle le cose più importanti. Il dono, l’oggetto che possiamo portare, è segno, sacramento che esplicita e rafforza quanto avevamo già detto con la nostra visita, con il nostro camminare. Il primo dono dei magi fu il loro mettersi in cammino. Altre volte i viaggi sono solo spirituali, come quando vogliamo (e dobbiamo) scrivere il biglietto che accompagna il nostro dono, e viaggiamo indietro e avanti nel tempo in cerca di quelle parole che nascono solo se diamo loro il tempo di fiorire nella nostra anima, viaggiando dentro in compagnia di chi stiamo per onorare con il nostro dono.

Epifania del Signore

“A Natale Dio cerca l’uomo. All’Epifania è l’uomo che cerca Dio”. Ed è tutto un germinare di segni. Come segno Maria ha un angelo, Giuseppe un sogno, i pastori un Bambino nella mangiatoia, ai Magi basta una stella, a noi bastano i Magi. Perfino Erode ha un segno; dei viaggiatori che giungono dall’Oriente, culla della luce, a cercare un altro re. Perché un segno c’è sempre, per tutti, anche oggi. Spesso si tratta di piccoli segni, sommessi; più spesso si tratta di persone che sono epifanie di bontà, incarnazioni viventi del Vangelo che hanno occhi e parole come stelle. L’uomo è la stella: “percorri l’uomo e troverai Dio” (S. Agostino). Perché Dio non è il Dio dei libri, ma della carne in cui è disceso.

Come possiamo diventare anche noi di segni, e non scribi sotto il cielo vuoto?

1. Il primo passo lo indica Isaia nella prima lettura di questa solennità: “Alza il capo e guarda!”.

La vita è estasi, uscire da sé, guardare in alto; uscire dal piccolo perimetro del sangue verso il grande giro delle stelle, delle mille sbarre dietro cui si racchiude e si illude il Narciso che è in me, verso l’Altro. Aprire le finestre di casa ai grandi venti.

2. Mettersi in strada dietro una stella che cammina.

Per trovare Cristo occorre andare, indagare, sciogliere le vele, viaggiare con l’intelligenza e con il cuore. Cercare è già un po’ trovare, ma non trovare Cristo vuol dire cercarlo ancora. “Andando di inizio in inizio, per inizi sempre nuovi” (Gregorio di Nissa). Camminando però insieme, come i Magi: piccola comunità, come loro fissando al tempo stesso gli abissi del cielo e gli occhi delle creature.

3. Non temere gli errori.

Occorre l’infinita pazienza di ricominciare, e di interrogare di nuovo la Parola e la stella, non come fa uno scriba, ma come fa un bambino. Come guarda un bambino? Con uno sguardo semplice e affettuoso.

4. Adorare e donare.

Il dono più prezioso che i Magi possono offrire è il loro stesso viaggio, lungo quasi due anni: il dono più grande è il loro lungo desiderio. Dio desidera che abbiamo desiderio di Lui.

5. Infine cercare Dio è cambiare strada.

I Magi non sono né turisti né vagabondi: hanno cercato, hanno trovato. Poi “Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”, e cercando non si sono tenuti la cosa per sé. Perché quando si è trovata la parola che cambia la vita, allora la gioia straripa, proprio come avvenne per loro che – racconta testualmente Matteo – “gioirono di una gioia grande assai”.

La notizia di avere incontrato Gesù suscita il desiderio di comunicarla agli altri. Da tante parti sale il grido, dov’è il vostro Dio? Che cosa rispondiamo. Hai incontrato Dio? Dov’è la sua casa, quale stella hai seguito? Dimmelo perché venga anch’io ad adorarlo. Credere amando, amare adorando, adorare donando, come i santi Magi: non è forse qui il senso di tutto?