Santi Pietro e Paolo (2)

Di Simone (poi ribattezzato Pietro da Gesù stesso) i Vangeli, solitamente molto parchi nelle caratterizzazioni psicologiche, ci offrono un ritratto vivido. E’ irruento, sanguigno: parla e agisce d’impulso, al punto da meritarsi i rimproveri del Maestro. Ma è anche colui che, ispirato dallo Spirito Santo, intuisce prima degli altri la natura divina di Gesù: «Io credo Signore che tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Da qui la chiamata a una particolarissima missione, quella di guida e sostegno della comunità. «E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». E’ questo stesso primato che la Chiesa cattolica riconosce nel Papa, i cui simboli, le chiavi e l’anello del pescatore, immediatamente rimandano alla figura dell’apostolo.
Umanissimo nella sua fragilità, Pietro è, come gli altri discepoli, smarrito nel momento terribile della condanna e dell’agonia di Gesù. Ma più degli altri porta addosso un peso. 
«Non conosco quell’uomo»: con queste parole per tre volte rinnega pubblicamente Cristo, abbandonandolo di fatto al suo destino. Eppure, paradossalmente, proprio questo episodio gli consente di sperimentare, forse più di chiunque altro, l’abbraccio della misericordia. «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?», gli domanda per tre volte il Risorto, rinnovando poi subito la chiamata a guidare il gregge dei fedeli «Pasci le mie pecorelle». Una chiamata cui, dopo la Pentecoste, l’apostolo consacra la vita, diventando un riferimento per i Cristiani a Gerusalemme, in Palestina, ad Antiochia, e operando miracoli nel nome di Gesù. Fin qui le fonti bibliche: il resto è tradizione.
Varie testimonianze raccontano di un trasferimento a Roma.
Nel cuore dell’impero il discepolo vive per alcuni anni, predica e coordina la comunità