Ascensione del Signore

Con l’ascensione di Gesù, con il suo corpo assente, sottratto agli sguardi e al nostro avido toccare, inizia la nostalgia del cielo. Aveva preso carne nel grembo di una donna, svelando il profondo desiderio di Dio di essere uomo fra gli uomini e ora, salendo al cielo, porta con sé il nostro desiderio di essere Dio. L’ascensione al cielo non è una vittoria sulle leggi della forza di gravità. Gesù non è andato lontano o in alto o in qualche angolo remoto del cosmo.
È “asceso”’ nel profondo degli esseri, “disceso” nell’intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come forza ascensionale verso più luminosa vita.
A questa navigazione del cuore Gesù chiama i suoi. A spostare il cuore, non il corpo.
Il Maestro lascia la terra con un bilancio deficitario, un fallimento a giudicare dai numeri: delle folle che lo osannavano, sono rimasti soltanto undici uomini impauriti e confusi, e un piccolo nucleo di donne tenaci e coraggiose. Lo hanno seguito per tre anni sulle strade di Palestina, non hanno capito molto ma lo hanno molto amato, questo sì, e sono venuti tutti all’ultimo appuntamento. Ora Gesù può tornare al Padre, rassicurato di avere acceso amore sulla terra.
Sa che nessuno di quegli uomini e di quelle donne lo dimenticherà. È la sola garanzia di cui ha bisogno. E affida il suo Vangelo, e il sogno di cieli nuovi e terra nuova, non all’intelligenza dei primi della classe, ma a quella fragilità innamorata.
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.
Nel momento dell’addio, Gesù allarga le braccia sui discepoli, li raccoglie e li stringe a sé, e poi li invia. È il suo gesto finale, ultimo, definitivo; immagine che chiude la storia: le braccia alte in una benedizione senza parole, che da Betania veglia sul mondo, sospesa per sempre tra noi e Dio! Il mondo lo ha rifiutato e ucciso e lui lo benedice.
Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo.
Gesto prolungato, continuato, non frettoloso, verbo espresso all’imperfetto per indicare una benedizione mai terminata, in-finita; lunga benedizione che galleggia alta sul mondo e vicinissima a me: Lui che benedice gli occhi e le mani dei suoi, benedice il cuore e il sorriso, la tenerezza e la gioia improvvisa! Quella gioia che nasce quando senti che il nostro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia, vivo per sempre.
Che il nostro lottare non è inutile, ma produce cielo sulla terra.
È asceso il nostro Dio migratore: non oltre le nubi ma oltre le forme; non una navigazione celeste, ma un pellegrinaggio del cuore: se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro, forza ascensionale dell’intero cosmo verso più luminosa vita.

Qual è il significato dell’ascensione?

S. Giovanni nel quarto Vangelo, pone il trionfo di Cristo nella sua completezza nella Resurrezione. Del resto anche gli altri evangelisti dando scarso rilievo all’Ascensione, confermano che la vera ascensione, cioè la trasfigurazione e il passaggio di Gesù nel mondo della gloria, sia avvenuta il mattino di Pasqua, evento sfuggito ad ogni esperienza e fuori da ogni umano controllo.
Quindi i testi evangelici invitano a collocare l’ascensione e l’intronizzazione di Gesù alla destra del Padre, nello stesso giorno della sua morte. Egli è tornato poi dal Cielo per manifestarsi ai suoi e completare la sua predicazione per un periodo di ‘quaranta’ giorni. Quindi l’Ascensione raccontata da Luca, Marco e dagli Atti degli Apostoli, non si riferisce al primo ingresso del Salvatore nella gloria, quanto piuttosto l’ultima apparizione e partenza che chiude le sue manifestazioni visibili sulla terra. Pertanto l’intento dei racconti dell’Ascensione non è quello di descrivere il reale ritorno al Padre, ma di far conoscere alcuni tratti dell’ultima manifestazione di Gesù, una manifestazione di congedo, necessaria perché Egli deve ritornare al Padre per completare tutta la Redenzione: “Se non vado non verrà a voi il Consolatore, se invece vado ve lo manderò” (Gv. 16, 5-7).
Il catechismo della Chiesa Cattolica dà all’Ascensione questa definizione: “Dopo quaranta giorni da quando si era mostrato agli Apostoli sotto i tratti di un’umanità ordinaria, che velavano la sua gloria di Risorto, Cristo sale al cielo e siede alla destra del Padre.
Egli è il Signore, che regna ormai con la sua umanità nella gloria eterna di Figlio di Dio e intercede incessantemente in nostro favore presso il Padre. Ci manda il suo Spirito e ci dà la speranza di raggiungerlo un giorno, avendoci preparato un posto”.

Ascensione del Signore

Con la solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo si conclude la vita terrena di Gesù che con il suo corpo, alla presenza degli apostoli, si unisce fisicamente al Padre, per non comparire più sulla Terra fino alla sua Seconda venuta (Parusìa) per il Giudizio finale.
Questa festività è molto antica e viene attestata già a partire dal IV secolo.
Per la Chiesa cattolica l’Ascensione si colloca di norma 40 giorni dopo la Pasqua.
Nel Credo degli Apostoli viene menzionata con queste parole: «Gesù è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine».

QUAL È IL SENSO BIBLICO DELLA PAROLA ASCENSIONE?

Secondo una concezione spontanea e universale, riconosciuta dalla Bibbia, Dio abita in un luogo superiore e l’uomo per incontrarlo deve elevarsi, salire. L’idea dell’avvicinamento con Dio, è data spontaneamente dal monte e nell’Esodo. A Mosè viene trasmessa la proibizione di salire verso il Sinai, che sottintendeva soprattutto quest’avvicinamento al Signore; “Delimita il monte tutt’intorno e dì al popolo; non salite sul monte e non toccate le falde. Chiunque toccherà le falde sarà messo a morte”. Il comando di Iavhè non si riferisce tanto ad una salita locale, ma ad un avvicinamento spirituale; bisogna prima purificarsi e raccogliersi per poter udire la sua voce. Non solo Dio abita in alto, ma ha scelto i luoghi elevati per stabilirvi la sua dimora. Anche per andare ai suoi santuari bisogna ‘salire’. Così lungo tutta la Bibbia, i riferimenti al “salire” sono tanti e continui e quando Gerusalemme prende il posto degli antichi santuari, le folle dei pellegrini ‘salgono’ festose il monte santo. “Ascendere” a Gerusalemme, significava andare a Iavhè, e il termine, obbligato dalla reale posizione geografica, veniva usato sia dalla simbologia popolare per chi entrava nella terra promessa, come per chi ‘saliva’ nella città santa.
Nel Nuovo Testamento, lo stesso Gesù “sale” a Gerusalemme con i genitori, quando si incontra con i dottori nel Tempio e ancora “sale” alla città santa, quale preludio all’”elevazione” sulla croce e alla gloriosa Ascensione.

Cosa significa salito al cielo?

Che significa dire che Gesù è salito al cielo? La risposta è nello stesso Vangelo: Fu assunto in cielo, cioè sedette alla destra di Dio. Gesù non entra in un «luogo», ma in una « dimensione » nuova, dove non hanno più senso le nostre espressioni « sopra », « sotto », « davanti », « dietro ». Andare in cielo, significa andare a Dio; essere in cielo, significa essere presso Dio. Il cielo non c’è, ma si forma nel momento stesso in cui la prima creatura giunge definitivamente a Dio; il cielo si forma, dunque, con la risurrezione e l’esaltazione di Cristo. Gesù non è asceso a un cielo già esistente, ma è andato a formare il cielo: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi porterò con me, perché siate anche voi dove sono io”. Il cielo è, dunque, il corpo del Cristo risorto con il quale andranno a ricongiungersi e a fare massa, per formare un solo Spirito con lui, tutti i salvati.
Il cielo è quel «tempio» misterioso di cui si parla nell’Apocalisse, che è l’Agnello stesso ucciso e in piedi, il tempio distrutto e ricostruito.

Ma l’Ascensione attesta anche che egli è con noi. Egli è andato al Padre ed egli tornerà (allo stesso modo che è salito, dice l’angelo agli apostoli); ma egli è ancora e già con noi (« ancora », rispetto alla prima venuta dell’Incarnazione, « già », rispetto alla seconda venuta, perché l’escatologia e già Iniziata con la risurrezione). Resta con noi, lo pregarono i due discepoli di Emmaus, ed egli è rimasto davvero: Io sono con voi tutti i giorni, lino alla fine del mondo. Certo, non è la presenza di prima; Cristo è morto nella carne, ma vive nello Spirito: la sua non è più, dunque, una presenza secondo la carne, ma secondo lo Spirito. Questa nuova presenza è addirittura preferibile alla prima, tanto che Gesù può dire: E’ bene che io me ne vada, perché lo Spirito venga a voi. In questa nuova condizione, egli infatti può farsi presente a ogni uomo, in ogni punto della terra e della storia, non solo ai suoi contemporanei giudei; egli è il contemporaneo di ogni uomo e di ogni generazione; è nostro contemporaneo! La festa dell’Ascensione ci dà modo di riaccendere ogni anno di nuova luce la più grande certezza della nostra vita: Gesù è vivente ed è ancora con noi! E la nostra più grande speranza: Noi andremo a stare con lui presso il Padre! Chiunque ha questa speranza in lui – scrive l’apostolo san Giovanni – purifica se stesso Non solo purifica se stesso, ma chiunque ha questa speranza non resta a guardare verso il cielo, come fecero quel giorno gli apostoli; traduce piuttosto questa speranza in impegno e in testimonianza: “Allora essi partirono si legge a conclusione del Vangelo di Marco e predicarono dappertutto”.
Andiamo anche noi con umiltà, sapendo in che vasi portiamo questa speranza, ma andiamo con coraggio.

S. Messa ore 10.30 in streaming

Ascensione di Gesù

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