Col denaro il cristiano va guardingo, come su un campo minato.
Egli sa che l’avidità della ricchezza è idolatria. “Un uomo è ricco in proporzione alle cose delle quali riesce a fare a meno”: questo motto dello scrittore statunitense Henry David Thoreau potrebbe essere una bandiera per la vita quotidiana del cristiano comune.
Un altro autore americano, lo storico Gary Cross, ci ha spiegato ultimamente che “fare a meno” di una certa quantità di beni superflui è l’unica via – sociale e personale – per sottrarci al “ciclo consumistico perpetuo”, che ci induce a un superlavoro, il quale produce un superguadagno e un superconsumo che si inseguono e non si fermano e ci costringono a cedere “tutto il nostro tempo” in cambio di denaro che non abbiamo più la libertà di goderci. Secondo Cross non c’è altro metodo, per spezzare quella spirale, che “puntare sul tempo e non sul denaro”, scegliendo di “andare verso un’esistenza più frugale ma più libera”.
“L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1Tim. 6,10).
Lo sfrenato desiderio del guadagno produce oggi una pazzia diffusa: il doppio lavoro, la doppia casa, la doppia pensione non fanno dormire, non fanno amare, non permettono d’avere figli, infelicitano la vita. La moltiplicazione dei beni non porta a godere i giorni nella serenità, ma ad affrettarli nell’inseguimento di un miraggio che tende a farsi totale e tirannico. “Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dá a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi”. (Lc 6,27-35)
È curioso come il precetto evangelico del prestito a rischio, o in perdita, non sia entrato affatto nella coscienza cristiana comune! Eppure nelle parole di Gesù esso è intrecciato al comandamento dell’altra guancia e dell’amore dei nemici, che sono ancora più esigenti e che invece sono entrati nel linguaggio di ogni giorno. Anche l’arte del regalo va coltivata. La dispendiosità cui si è arrivati è nemica di ogni sobrietà, addirittura del buon gusto. Ciò cui dobbiamo porre attenzione è il valore simbolico del dono, la sua reale destinazione d’uso, la parola d’amore che dice o non dice. Gli antichi dicevano che l’avarizia è una madre prolifica e le attribuiscono delle figlie.
a] La durezza di cuore. Il danaro è troppo prezioso per essere dilapidato tra mendicanti e questuanti o per essere sciupato per seguire sentimenti di pietà. Ognuno per sé e Dio per tutti.
b] L’eccessiva inquietudine nel procurarselo e nel custodirlo. L’avaro non dorme, non riposa, non si prende uno svago, teme sempre che sopravvenga qualcosa che gli impedisce di giungere a possedere il bene agognato. L’inquietudine per il denaro toglie la pace.
c] La violenza nel procurarselo e nel difenderlo. Il danaro è un padrone esigente: chiede tutto, anche la vita. Per amore del denaro non si fugge di fronte a qualunque crimine. Si diventa anche omicidi, parricidi, fratricidi.
d] La menzogna e lo spergiuro. Si può tradire la verità e la parola data. Tanto queste sono parole, e le parole volano, mentre le ricchezze restano.
e] La frode e il tradimento. Non c’è dignità, amicizia che tenga. Non è bello ricorrere all’inganno e tradire l’amico: ma le ricchezze ricompensano ampiamente anche questi sforzi e queste sofferenze.
L’avarizia si esprime in due modi:
I. Come peccato contro il prossimo: amore di possesso. Desiderio di accumulare e possedere ricchezze. Colui che vive per accumulare e conservare denaro, senza mai goderselo, o meglio facendo del possesso il suo godimento. In questo caso l’avaro pecca direttamente contro il prossimo. Se un uomo ne possiede in eccedenza, gli altri ne verranno a mancare. Il cristiano dice sì al risparmio che garantisca una vita sobria, senza la necessità di moltiplicare gli impegni di lavoro; ma dice no all’accumulazione del denaro per l’arricchimento. La forma più sofisticata e recente dell’avarizia è quella del risparmiatore creativo, che acquista i fondi di investimento e studia contratti personalizzati con le banche e compra e vende azioni secondo il mercato. Egli non vive il suo tempo nella gratitudine per la vita e i beni ricevuti, ma nell’ansia di moltiplicarli. Non conosce il tempo lento dell’amore. Specula l’andamento della borsa e non scruta i segni dei tempi. “Chi ama il denaro, mai di denaro è sazio e chi ama la ricchezza non ne ha che basti: anche questa è un’illusione” (Qoelet 5,9).
II. Come peccato contro se stessi: amore di desiderio. C’è un’altra forma di avarizia, con un altro disordine morale, ed è l’avarizia che si esprime nella cupidigia interiore, che si può avere verso le ricchezze in quanto le ricchezze sono oggetto di amore, di desiderio o di piacere disordinato. In questo senso l’avaro pecca contro se stesso: si chiude nel cerchio ristretto dei beni materiali, con la conseguenza di rendersi sensibile e indisponibile per i beni spirituali. Lo dice Gesù nella parabola del Seminatore: “La preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto” (Mt 13,22).