Gesù nel vangelo ci invita a guardare alla natura e prendere lezioni da una pianta: la pianta della vite.
Nei campi le vigne, sempre più numerose ed estese, stanno vivendo il tempo della tarda primavera.
Le foglie, ancora piccole ma in rapida crescita, hanno un colore delicato e tenero, molto promettente ma ancora timido. I piccoli, minuscoli grappoli cominciano a prendere forma. È la vita. Queste parole furono pronunciate da Gesù nell’Ultima cena, dopo la lavanda dei piedi, nella notte in cui istituisce l’eucaristia.
È il testamento di Gesù, parole importanti. L’immagine della vigna, nel suo simbolismo religioso, era molto nota ai discepoli. Uno degli ornamenti più vistosi del Tempio eretto a Gerusalemme da Erode era appunto una vite d’oro con grappoli alti come un uomo. Ma soprattutto nelle Scritture il tema della vigna era tra i più significativi per esprimere il rapporto tra Dio e il suo popolo. Isaia e Geremia, e quindi Osea e Ezechiele paragonano il popolo a una vigna che il Signore ha circondato di amorevoli cure, ma che non ha dato frutti, o ha dato uva selvatica, frutti cattivi. In sostanza: il distacco da Dio e l’offesa del prossimo. Siamo – lo ricordo ancora – nel Cenacolo. Gesù sta consumando il dono della sua vita fino alla morte.
Egli è la vite: da lui proviene la linfa vitale, che ci aiuta a vivere e a fare il bene, ad amare il prossimo. Non possiamo vivere senza Gesù. «Io sono la vite e voi i tralci». I discepoli sono chiamati a vivere in unione con Gesù come i tralci con la vite: una relazione essenziale e forte. È un legame che va ben oltre i nostri alti e bassi psicologici, le nostre buone o cattive condizioni. La forza dell’amore di Cristo è dirompente: permette di produrre molto frutto. Dice Gesù: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto». «Rimanete»: il verbo viene ripetuto sette volte. «Rimanere» (e il suo sinonimo “dimorare”) è un verbo particolarmente caro a Giovanni. La vita cristiana, per essere veramente sequela evangelica, ha bisogno della relazione viva con il Signore. Con una precisazione. L’alleanza tra Dio e l’uomo, tra Creatore e creatura, tra Padre e figli nell’orizzonte biblico prende le mosse sempre dal cuore divino. È Dio che, spinto dalla sua tenerezza e attratto dall’amabilità creaturale dei suoi figli, esce per primo, si lega,
si propone come alleato e chiede di corrispondere liberamente, in una parola di «rimanere».
