Potremmo domandarci: Qual è la forma specifica della testimonianza, e più precisamente della testimonianza cristiana?
Ora, se a decidere la risposta generale è la coerenza – cioè il vissuto in sintonia con i valori ideali e con le esigenze morali delle persone e della comunità –, la risposta propria della testimonianza cristiana è la coerenza con la grazia e le responsabilità che ci vengono dall’incontro vivo e personale con Gesù Cristo morto e risorto, dall’obbedienza alla sua parola, dalla sequela del suo stile di vita, di missione e di destino. Non ci sono alternative! Solo con il nostro vissuto quotidiano possiamo confessare la nostra fede in Cristo
e rendergli testimonianza.
E perché non rilanciare una rinnovata e specifica “spiritualità della gioia cristiana”, l’unica capace di scuotere un mondo annoiato e distratto? Non c’è bisogno, a questo punto, di offrire una qualche riflessione sul rapporto tra la testimonianza e la speranza cristiana. Proprio il testimone – in specie il martire – costituisce l’incarnazione più radicale e il vertice supremo della speranza: per amore di Cristo, egli è pronto a donare nel sangue la propria vita.
Concludiamo queste brevi righe e semplici riflessioni, con una parola che non è mia, una testimonianza che orienta ulteriormente l’importanza della testimonianza cristiana.
«Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede sino alla fine. È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza
Una parola che viene da lontano, dall’Oriente, da un vescovo martire dei primi tempi della Chiesa, da sant’Ignazio di Antiochia. Desidero che la sua voce risuoni nel nostro cuore e pronunci ancora una volta una parola d’estrema semplicità. E che, per dono di Dio, il cuore di ciascuno di noi ne sia toccato e profondamente rinnovato! Ascoltiamo:
esserlo» (Lettera agli Efesini).