Pasqua in ebraico significa passaggio; per i cristiani segna l’inizio di una nuova vita. Da dove partire, e per andare dove?

Si parte dalla croce, e quindi dal dolore, dalle ferite, dalle parti oscure di noi stessi, per incamminarsi verso la bellezza, la guarigione, la libertà. Pasqua è il passaggio dalla prigionia alla libertà, dalla sterilità alla fecondità, dalla solitudine all’abbraccio, e la forza viene da Colui che si è precipitato per amore dentro le nostre contraddizioni, dentro i nostri tradimenti e abbandoni. Dio è lì dentro; è passato attraverso la Croce e cammina con noi e con le nostre croci, ci incoraggia ad andare avanti, nonostante la fatica, verso la bellezza e l’armonia.
Dopo duemila anni, sappiamo ancora stupirci davanti alla Resurrezione? Lo stupore non è davanti al sepolcro vuoto, ma davanti al crocifisso perché è lì che il volto di Cristo appare in tutto il suo splendore: il suo corpo oltraggiato e abbruttito dai flagelli, dagli sputi, dai chiodi è qualcosa di meraviglioso.
Io resto stupito davanti a un Dio che ama da morire, da morirci.
Un amore che fa venire i brividi e tremare le mani… Gesù è morto amando e l’amore continua a risuscitare in noi la vita. Padre Turoldo scriveva che è il Venerdì santo il giorno della fede vera.
Troppo facile credere a Pasqua, nello splendore della pietra vestita di luce. Fede vera è quando Gesù, pur provando il senso dell’abbandono di Dio, continua la sua donazione d’amore.
L’Onnipotente ridotto al nulla, la Parola ridotta al silenzio, ha scelto di essere dove io non vorrei mai essere. E proprio là, dove noi fuggiamo, ci aspetta per camminare insieme.