Dal giorno del Signore al giorno della comunità

“Nel giorno del Signore, riunitevi per spezzare il pane e rendere grazie, dopo aver confessato i vostri peccati, perché la vostra offerta sia pura. Se uno ha un rancore verso un altro, non venga con voi finché non si sia riconciliato, in modo che la vostra offerta non sia profanata. Non mettete i vostri affari temporali al di sopra della parola di Dio, ma nel giorno del Signore abbandonate tutto e accorrete con diligenza alle vostre chiese, perché è qui la vostra lode a Dio. Diversamente, che scusa potranno avere davanti a Dio coloro che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la parola di vita e nutrirsi del cibo divino che resta per la vita eterna?” (Didaché 14).

Ci incontriamo! Dall’incontrarsi in pochi in famiglia…al riconoscersi in tanti in comunità, la famiglia di Dio

Ci incontriamo con gli altri credenti, con la loro storia, con la storia della loro famiglia; ci scambiamo i saluti, chiedendo scusa per non essere stati presenti alla vita loro, per averli dimenticati o trattati male. Ci salutiamo raccontandoci i fatti della settimana trascorsa; ci interessiamo alla salute di quanti sono ammalati e non sono presenti; ci intratteniamo con quelli che da tempo non vedevamo.
Secondo l’insegnamento del Signore prima di presentare l’offerta all’altare occorre la piena riconciliazione fraterna. Non si può celebrare il sacramento dell’unità rimanendo indifferenti gli uni agli altri. Nella messa ognuno apprende che vale non per quello che fa o dice, ma perché partecipa.
Apprende che vale perché Dio gli si fa incontro e “ti ama per primo” e lo puoi incontrare, prima di tutto incontrando e accogliendo gli altri, volti visibili del Dio invisibile.

Siamo in cammino! Dal vivere in casa propria…ad uscire e andare nella casa della comunità

Nella prospettiva del cammino della Chiesa nel tempo, il riferimento alla risurrezione di Cristo e la scadenza settimanale di tale solenne memoria aiutano a ricordare il carattere “pellegrinante” del popolo di Dio. Di domenica in domenica, infatti, la Chiesa procede verso l’ultimo “giorno del Signore”, la domenica senza fine. Siamo chiamati dallo Spirito del Signore, che ci spinge a uscire dal proprio piccolo mondo personale e di famiglia, per entrare in contatto con un mondo più vasto di persone, di idee, di modi di fare e problemi. Ogni persona arriva da posti diversi, dalla propria casa con esperienze varie di vita, di famiglia, di lavoro, di amicizia, di studio… ed entra in una “casa”, che è la “casa della comunità”, si inserisce in una “famiglia”, “la famiglia di Dio”, che si presenta come il luogo delle esperienze che coinvolgono più persone e che aprono al mondo intero, in cui si buttano giù le barriere che ci dividono dagli altri, dai loro problemi e modi di pensare, dai grandi problemi della vita.
Ci si apre più spontaneamente a tutta la realtà e si accetta di comunicare gratuitamente con gli altri credenti, di stare con loro senza troppi tornaconti. Si decide di ascoltare e lasciarsi misurare dalla esperienza degli altri. Si entra in “chiesa”, quale luogo – anche fisico – a cui la comunità fa un costante riferimento.

Cos’è cambiato?

La strada Gerusalemme-Emmaus, il panorama, i chilometri del percorso, le vicende della morte di Gesù, la tomba vuota… I fatti sono ancora gli stessi. Ma ormai c’è una prospettiva nuova: la fede; è cambiato definitivamente il modo di vedere e vivere quei fatti. La fede fa la differenza. 
“Il racconto evangelico attribuisce la trasformazione alla spiegazione delle Sacre Scritture… L’itinerario dischiuso dalla parola di Gesù incrocia lo sconsolato viaggio di ritorno dei due discepoli e lo fa diventare un cammino di speranza, un progressivo avvicinamento ai progetti di Dio, un  pellegrinaggio verso la Pasqua, l’Eucaristia, la Chiesa, la missione fino agli estremi confini della terra”.
“Resta con noi, perché si fa sera”. È la prima e la più commovente preghiera della comunità cristiana rivolta a Gesù risorto. San Giovanni Paolo II, nella lettera Mane Nobiscum Domine (resta con noi, Signore), mette in evidenza il dinamismo missionario che nasce dall’Eucaristia: “I due discepoli di Emmaus «partirono senza indugio», per comunicare ciò che avevano visto e udito…
L’incontro con Cristo, continuamente approfondito nell’intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l’urgenza di testimoniare e di evangelizzare… Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna, che spinge il cristiano all’impegno per la propagazione del Vangelo e la animazione cristiana della società”. Da parte sua, Papa Francesco parla della attrazione, del contagio missionario, della gioia cristiana, che accompagnano la diffusione del Vangelo.
I Vangeli della Pasqua sottolineano con chiarezza la fatica e insieme la gioia dei primi discepoli nel credere. I due di Emmaus riconoscono che quel compagno di strada è Gesù quando Egli spezza il pane. Quando noi condividiamo la nostra vita e diventiamo pane spezzato per gli altri, è il momento in cui facciamo esperienza di risurrezione; le delusioni si trasformano in speranza. Nel momento in cui ci facciamo dono per gli altri, la vita s’accende di luce e di gioia: diventa una Pasqua!

3 domenica di Pasqua

L’esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus (Vangelo della 3 domenica di Pasqua) è scandita su tappe evidenti, simili al cammino spirituale di molte persone. L’evangelista ha costruito tutto il suo racconto attorno all’immagine del cammino: un cammino di andata e un cammino di ritorno. Un cammino che allontana da Gerusalemme (con sentimenti di delusione, tristezza, isolamento…)
e un cammino di ritorno (con occhi aperti, cuore ardente, passo svelto, gioia per portare una ‘bella notizia’…). Si tratta di un’esperienza esemplare, emblematica.  In realtà la strada di Emmaus è il cammino di ogni cristiano, di ogni persona. Il testo di Luca indica anche una chiara metodologia
missionaria e catechetica, in cui si riscontrano le tappe del metodo pastorale: vedere, giudicare,
agire, celebrare…

  1. L’esperienza parte da una realtà di delusione e di fallimento: i due discepoli, incapaci come gli altri di trovare un senso ai fatti avvenuti in quella pasqua, si isolano allontanandosi dal gruppo, hanno il volto triste, “noi speravamo… sono passati tre giorni”.
  2. Il cambio di scenario si produce con l’avvento di un viandante, che risulta essere ignaro dei fatti del giorno. I due accettano di condividere il viaggio con lui e lo ascoltano. Entrano così in una tappa di illuminazione sugli avvenimenti, fatta da Gesù stesso, che spiega loro “in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui.
  3. Ora sono pronti per la celebrazione e la contemplazione: il cuore dei due discepoli arde; 
    pregano assieme il Risorto: “Resta con noi”; sono a tavola, assieme; Gesù compie il gesto rituale di prendere il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo dà; si aprono i loro occhi e lo riconoscono.
  4. E finalmente arriva il momento di agire, l’ora della missione: partono senza indugio di ritorno a Gerusalemme, come per un imperativo che nasce dall’incontro con Gesù. Si ricongiungono alla comunità degli altri discepoli e si comunicano le rispettive esperienze con il Risorto. Ormai i discepoli sono certi che Cristo è risorto e ne sono tutti testimoni, come proclama coraggiosamente Pietro sulla piazza di Gerusalemme la mattina di Pentecoste.

Verso Emmaus: un itinerario eucaristico

L’episodio di Emmaus, descritto in maniera meravigliosa da Luca, indica tutte le tappe dell’eucaristia. È la sera di Pasqua, infatti, che i due discepoli lasciano Gerusalemme, il luogo della speranza, e camminano nella tristezza. Qualcuno si accompagna a loro, misterioso compagno di viaggio, che si mostra inquieto per le loro preoccupazioni. Partendo dalla Scrittura per arrivare al loro vissuto, rivolge loro la parola, che riscalda il loro cuore, al punto che lo invitano a restare.
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista”. Gesù, dopo l’apertura delle loro intelligenze alle Scritture, apre i loro occhi alla fede. Gesù scompare, poiché d’ora in poi egli può essere riconosciuto attraverso i segni eucaristici. “E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”. Capovolgimento della direzione di tutta una vita: partiti da Gerusalemme nella tristezza della morte, vi ritornano con il cuore bruciante per aver incontrato il Risorto.

Dal giorno del Signore al giorno della comunità

San Giustino afferma: “Nel giorno detto del sole (la domenica), si fa l’adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna, convengono nello stesso luogo e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti per quanto il tempo lo permette. Poi, quando il lettore ha finito, colui che presiede rivolge parole di ammonimento e di esortazione che incitano a imitare gesta così belle. Quindi, tutti insieme, ci alziamo ed eleviamo preghiere ad alta voce e, finito di pregare, viene recato pane, vino e acqua. Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore e il popolo acclama: Amen! Infine, a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi” (Prima Apologia 67).

Cos’è la speranza?

Nella Lettera agli Ebrei che dice: “casa di Dio siete voi cristiani, se custodite libertà e speranza”. Dobbiamo essere costruttori e custodi di speranza e libertà.
La speranza è tendere a qualcosa, custodire germogli dentro di me.
Si tratta di seminare occhi nuovi per guardare in modo nuovo il mondo, per essere pronti a un nuovo inizio. La domenica di Pasqua è il primo giorno della settimana, un nuovo inizio, ma per coglierlo occorre avere gli occhi dell’esploratore che anche nel quotidiano non dà nulla per ovvio o scontato ma cerca ogni giorno l’inedito. A casa mia, nel mio giardino, cammino in modo abitudinario o con l’atteggiamento dell’esploratore? Ho la capacità di vivere in modo diverso le stesse cose?
La novità non è nelle cose che accadono ma nel vederle con occhi nuovi.
La mia speranza è poter vivere in piena libertà.
Noi siamo a immagine di Dio quando riusciamo a non subire i condizionamenti, ad affrancarci dagli ergastoli interiori nei quali ci incateniamo da soli.
Libertà e speranza sono, insieme all’amore, i grandi motori della vita.

La speranza è una corda tesa: un capo è saldo nelle mani di Dio, l’altro raggiunge me

In ebraico speranza ha la stessa radice di corda.
La Pasqua è il momento più bello e più importante per un cristiano: come parlare di speranza e di gioia nel nostro mondo?
La speranza è un atto di fede e non ha nulla dell’ottimismo legato all’andamento positivo della vita, alla ripresa economica o a quant’altro. Il cristiano non è un ottimista; ha speranza.

La mattina di Pasqua corrono tutti come se avessero dentro un fuoco che li spinge …

C’è un dinamismo straordinario. Non si corre così per andare da un morto; corrono perché percepiscono qualcosa di incomprensibile, ma di immenso. Corrono perché la notizia non può aspettare, Gesù merita l’urgenza. Di fronte alla Pasqua ci sentiamo inadeguati, in ritardo; anche noi sentiamo il bisogno di correre interiormente. Forse non è ancora fede ma una speranza, un’ansia illogica e antica come le montagne. Gesù dice alle donne di avvertire i discepoli che lo troveranno in Galilea: anche lui corre per precederli. È un Dio migratore, che avanza e apre cammini.
La fede nasce da una corsa e porta a correre perché ha origine da un’esplosione, da un innamoramento urlato a piena voce del Dio fatto dolore.