Cuore Immacolato di Maria

Il giorno successivo alla Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, si ricorda il Cuore Immacolato di Maria. Pensando a questo cuore materno, andiamo con la mente all’episodio evangelico dello smarrimento di Gesù a Gerusalemme. Innanzitutto bisogna precisare che Gesù se lo sono perso Maria e Giuseppe, e il Vangelo non censura questo episodio forse perché vuole rassicurare ciascuno sulla possibilità molto concreta di dare per scontato che Gesù sia nella carovana della nostra vita, quando invece non c’è. Ma ciò che conta non è perderlo di vita, ma mettersi a cercarlo quando si è compreso che non è più “in mezzo” al viaggio. Gesù aveva scelto volutamente di trattenersi a Gerusalemme, e lo aveva fatto non per perdersi ma forse per quella curiosità tutta adolescenziale di provare ad andare al fondo di alcune questioni che gli stavano a cuore. L’effetto è prevedibile: il panico, l’angoscia e l’ansia di Giuseppe e di Maria. Non si può chiedere al Cuore di una Madre di non soffrire. Non si può chiedere al Cuore di una Madre di non mettersi sulle tracce del figlio. Non si può chiedere al Cuore di una Madre di non sentirsi profondamente legata al destino del figlio. Maria è così ed ha un cuore così, ha un Cuore di Madre. Ma la buona notizia è che questo Suo Cuore di Madre non è solo per Cristo ma per ciascuno di noi perché per vocazione Ella è Madre anche nostra. Noi siamo amati da una Madre che non si arrenderà finché non ci avrà ritrovati, finché non ci avrà riportati al sicuro. Ma siamo anche discepoli di un maestro che ci chiede di non perderlo di vista semplicemente perché dobbiamo andare noi dietro a Lui e non Lui dietro a noi. Gesù lo si perde spesso quando lo si sorpassa, quando si crede di conoscere già la strada che vuole fare. Ma la verità è che non sappiamo molto della strada se non seguendoLo.

Giornata mondiale di santificazione sacerdotale

Nella solennità del Sacro Cuore di Gesù si celebra la Giornata mondiale di santificazione per il clero. L’invito della Parola di Dio: «Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione» , pur essendo rivolta a tutti i cristiani, riguarda particolarmente i sacerdoti che hanno accolto non solo l’invito a santificarsi, ma anche quello di santificare. In questa giornata ciascuno reciti una preghiera per tutti i sacerdoti: quelli che abbiamo conosciuto oppure conosciamo, quelli nativi del nostro paese, quelli che vi hanno operato pastoralmente. Non solo. Ricordiamoli tutti. Magari un ricordo speciale per coloro che stanno attraversando un momento difficile o di particolare prova: il Signore sia per loro sostegno, forza e conforto.

Sacratissimo Cuore di Gesù

Nel culto al Cuore di Gesù ha preso forma la parola profetica richiamata da san Giovanni: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. È uno sguardo contemplativo, che si sforza di penetrare nell’intimo dei sentimenti di Cristo, vero Dio e vero uomo. In questo culto il credente conferma ed approfondisce l’accoglienza del mistero dell’Incarnazione, che ha reso il Verbo solidale con gli uomini, testimone della ricerca nei loro confronti da parte del Padre. Questa ricerca nasce nell’intimo di Dio, il quale “ama” l’uomo “eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo”. Contemporaneamente la devozione al Cuore di Gesù scruta il mistero della Redenzione, per scoprirvi la dimensione di amore che ha animato il suo sacrificio di salvezza. Nel Cuore di Cristo è viva l’azione dello Spirito Santo, a cui Gesù ha attribuito l’ispirazione della sua missione e di cui aveva nell’Ultima Cena promesso l’invio. È lo Spirito che aiuta a cogliere la ricchezza del segno del costato trafitto di Cristo, dal quale è scaturita la Chiesa. “La Chiesa, infatti – come ebbe a scrivere Paolo VI – è nata dal Cuore aperto del Redentore e da quel Cuore riceve alimento, giacché Cristo “ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola”.

Per mezzo poi dello Spirito Santo, l’amore che pervade il Cuore di Gesù si diffonde nel cuore degli uomini e li muove all’adorazione delle sue “imperscrutabili ricchezze” e alla supplica filiale e fidente verso il Padre, attraverso il Risorto, “sempre vivo per intercedere per noi”. Tutta la devozione al Cuore di Gesù in ogni sua manifestazione è profondamente eucaristica: si esprime in pii esercizi che stimolano i fedeli a vivere in sintonia con Cristo, “mite e umile di cuore” e si approfondisce nell’adorazione. Essa si radica e trova il suo culmine nella partecipazione alla Santa Messa, soprattutto a quella domenicale, dove i cuori dei credenti, riuniti fraternamente nella gioia, ascoltano la parola di Dio, apprendono a compiere con Cristo offerta di sé e di tutta la propria vita, si nutrono del pasquale convito del Corpo e Sangue del Redentore e, condividendo pienamente l’amore che pulsa nel suo Cuore, si sforzano di essere sempre più evangelizzatori e testimoni di solidarietà e di speranza.

Quando si parla del Sacro Cuore, il primo pensiero corre a quella serie di gesti che normalmente vanno sotto il nome di devozione al Sacro Cuore, ma il cuore di Cristo non è un “oggetto” da venerare, è la rivelazione della persona di Gesù che noi conosciamo nella sua misteriosa storia  di amore. E più si entra nella conoscenza profonda del suo mistero, più si scopre che  il Cuore di Gesù  non è neppure l’immagine di chi aspetta qualcosa. Egli è l’icona di chi offre un dono e vuole essere riconosciuto come Colui che ha tanto amato l’uomo da dare la sua vita, che  ama e  vuole incontrare chi cerca l’amore. A chi abitualmente si pone davanti a questo mistero, con confidenza filiale, Dio dà la possibilità di entrare nei segreti della Nuova Alleanza attraverso la strada del cuore di suo Figlio, perché possa scoprire la lunghezza, l’ampiezza, la  profondità del suo amore.

E’ chiaro che la nostra vita spirituale dipende, in gran parte, dall’esperienza e dall’idea che ci facciamo di Dio. Quest’ idea è la chiave della nostra vita interiore, non soltanto perché regola e orienta la nostra vita verso di lui, ma perché determina in un certo senso l’atteggiamento di Dio verso di noi: Dio si rivela a chi lo cerca nella misura in cui questi lo cerca. L’unione con Cristo è essenziale, e la devozione al Cuore di Gesù non è che la coscienza di questa unione, capace di suscitare il nostro amore per Lui. È l’esperienza che può arrivare a trasformare la nostra vita, come accadde agli Apostoli, nel cenacolo quando Gesù compare improvvisamente in mezzo a loro dicendo : «Perché mi avete dimenticato? Non sapevate che io sono vivo? Perché mi considerate morto? Ho ancora parte nella vostra vita. Sono vivo: guardate le mie mani e il mio cuore» o  come accadde a Paolo, sulla via di Damasco, quando Gesù gli dice : «Io sono quel Gesù che tu perseguiti”. Allora l’esperienza di unione con Cristo, Persona vivente, è più un farsi trovare  che un cercare, è un farsi trasformare da lui più che fare esercizi di ascesi , è incontrare uno che mi ama adesso qui come sono e che chiede altrettanto amore. Ma se «nessuno conosce il Figlio all’infuori del Padre» è lo Spirito Santo che può comunicarci questa conoscenza “affinché Egli dimori nei nostri cuori per mezzo della Fede.

Il cuore unificato

Nella Scrittura la parola cuore indica il centro dell’uomo, la sintesi di intelligenza, volontà e sentimento, il momento unificante della sua vita… Nel cuore l’uomo esprime se stesso, le sue scelte, la sua speranza.

Sono principalmente due i tipi di cuore descritti dalla Bibbia: il cuore doppio e il cuore unificato.
Il cuore doppio è il cuore degli empi, sempre instabile, agitato, inquieto: non si fida mai di nessuno, neanche di se stesso. Ben diverso è invece il cuore unificato: è il cuore del giusto.

Questo cuore unificato sa attraversare anche la fatica e la paura, con coraggio e fiducia. Appunto così era il cuore di Gesù: unificato, tutto proteso alla speranza che gli veniva dal Padre, attento soltanto alla sua Parola di salvezza. Certo, a volte anche il cuore di Gesù fu turbato dalla paura e dalla tentazione. E tuttavia sempre il suo cuore si ricordò del Padre, il Dio fedele che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni; e sempre questo ricordo diede pace e sicurezza al suo cuore.

Il culto liturgico ai Cuori Santissimi di Gesù e Maria

“Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. A chi, la praticherà prometto la salvezza. Queste anime saranno predilette da Dio, e come fiori saranno da Me collocate dinanzi al suo trono”. II culto liturgico ai Cuori Santissimi di Gesù e di Maria ha inizio solo nel secolo XVII, per lo zelo di S. Giovanni Eudes, che il santo Pio X definì: «Padre, dottore; apostolo di questa dolcissima devozione ».

Nel 1643, venti anni prima che si celebrasse la festa del Sacro Cuore di Gesù, il Santo poté solennizzare per la prima volta quella del Cuore Immacolato di Maria.

La geografia dei vizi: la gola

“Magro nel corpo, obeso nella mente”

Dici “goloso” e pensi d’istinto al bambino che non sa resistere davanti a un gelato, a un vassoio di patatine fritte, a una torta cremosa. Il vizio conosciuto come “gola” andrebbe definito “voracità”, “ingordigia” o,secondo il termine greco “follia del ventre”. Per i padri orientali questa passione è significativamente la prima della lista: essa è “la porta di tutti i pensieri malvagi”. Ma perché riservare tanta attenzione all’atto del nutrirsi? Forse il vizio della gola, inteso come malattia dell’eccesso, andrebbe ridefinito e ridisegnato. Chi semplicemente eccede nel mangiare e nel bere sbaglia, ma non può essere considerato un pericoloso peccatore. Va chiarito che l’ingordigia non indica il piacere nel mangiare né tanto meno la capacità di gustare la buona qualità dei cibi. No, essa è “una brama di cibo non ordinata” (Tommaso d’Aquino), una voracità che stravolge il mezzo in fine: il cibo non è più inteso come uno strumento per vivere, per condividere e fare festa, ma come una sorta di fine in se stesso!

I veri insospettabili “viziosi”, piuttosto, siamo un po’ tutti noi quando contribuiamo, con i nostri comportamenti insensati, a uno dei grandi peccati sociali contemporanei, il colossale spreco di cibo acquistato e buttato via. “Goloso”, ossia “malato d’eccesso”, è chi magari appare in perfetta forma ma tiene il frigo stracolmo e butta via un sacco di cibarie. Magro nel corpo, obeso nella mente.

Lo strumento per eccellenza proposto dalla tradizione cristiana per lottare contro la voracità è il digiuno moderato, inscritto nel ritmo dei giorni della settimana o lungo lo svolgimento dell’anno, in particolare durante la quaresima. La pratica del digiuno non indica un disprezzo del cibo, né va intesa come una penitenza meritoria: “Vano è il digiuno senza carità, ed è meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza i fratelli”, avvertono i padri del deserto. Al contrario, il digiuno è una forma di rispetto originata da una sana presa di distanza dal cibo, è una disciplina del desiderio per discernere che cosa, oltre il pane, è veramente necessario per vivere. Sì, digiunare con coscienza di causa  –  e sempre nel segreto, senza ostentazione  –  può condurre a porsi le domande essenziali: perché mangio? Cosa mangio? Come mangio? Non è forse dopo aver digiunato nel deserto che Gesù ha sperimentato cosa significa che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”?

Non è infine casuale che l’eucaristia sia stata collocata da Gesù all’interno di una cena e accompagnata dalle parole: “Prendete e mangiate  … prendete e bevete”. Non è facile apprendere l’arte umana del mangiare e del bere, ma Gesù ha scelto proprio queste due realtà come cifra della nuova alleanza. L’eucaristia dovrebbe dunque insegnarci anche questo: ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore immettendoci in quella logica di dono e di comunione che sconfessa ogni voracità. E tutto avviene nel rendimento di grazie, nella confessione che ogni cosa proviene da Dio: il cibo è buono, ogni alimento è puro, ma occorre nutrirsene ringraziando Dio e condividendolo con chi è a tavola con noi. Davvero il rapporto con il cibo è l’ambito elementare in cui il cristiano è chiamato alla lotta essenziale: passare dalla logica del consumo a quella della comunione, così che anche l’atto di mangiare e bere renda gloria a Dio. Si può giungere a utilizzare il cibo come arma di ricatto emotivo, di autodistruzione, di invocazione d’aiuto. L’anoressia e la bulimia sono prima di tutto malattie dell’anima.

Accettare il cibo e accettarlo in giusta misura è un modo per accettare se stessi, per dire di sì alla vita, per nutrirsi anche nella relazione sana e arricchente con gli altri che il cibo permette di avere. Proviamo a misurare, a partire dal nostro rapporto con il cibo, quanto è grande il nostro bisogno di amore.

Papa Francesco: un anno dedicato all’enciclica “Laudato sì”

Una mappa per una prima lettura dell’Enciclica

Uno sguardo d’insieme

«Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?». Questo interrogativo è al cuore della Laudato si’. «Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale», e questo conduce a interrogarsi sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita sociale: «Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?»: se non ci poniamo queste domande di fondo – dice il Pontefice – «non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti».

L’Enciclica prende il nome dall’invocazione di san Francesco, «Laudato si’, mi’ Signore», che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, la nostra casa comune, «è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» . Noi stessi «siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora». Ora, questa terra, maltrattata e saccheggiata si lamenta e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti gli abbandonati del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno – singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale – a una «conversione ecologica», secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II, cioè a «cambiare rotta», assumendo la bellezza e la responsabilità di un impegno per la «cura della casa comune». Allo stesso tempo Papa Francesco riconosce che «Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta», legittimando uno sguardo di speranza che punteggia l’intera Enciclica e manda a tutti un messaggio chiaro e pieno di speranza: «L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune»; «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente»; «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» .

Vivere l’Eucaristia

L’eucaristia è ciò che trasforma la mia vita quotidiana. Quali effetti abbia sul quotidiano e in che modo essa lo trasformi, è difficile da spiegare, ma l’eucaristia è una specie di oasi quotidiana nella quale posso attingere alla sorgente della vita. Essa è alimento quotidiano che mi dà la forza di affrontare la vita di tutti i giorni con le sua attese e le sue sfide. Ognuno vivrà dell’eucaristia in modo diverso.

Per alcuni è importante meditare le letture della celebrazione eucaristica, attingendo da esse una frase che poi li accompagnerà per tutta la giornata. Si tratta soprattutto di quelle frasi che possono essere “traghettate” dalla celebrazione eucaristica nella vita di tutti i giorni, conferendole un’impronta particolare: quelle parole sono come degli occhiali attraverso cui osservare tutto ciò che accade.

Altri vivono invece dell’esperienza della comunione: per loro è importante, nel corso della giornata, pensare che non sono soli sul loro cammino, ma che Cristo  –  vera sorgente della vita e dell’amore  –  è insieme a loro. Vanno di continuo con il pensiero al ricordo di essere diventati una cosa sola con Cristo, sapendo di vivere dell’intimo rapporto con Lui. Essi vedono questo Cristo non solo in se stessi, ma anche nei fratelli e nelle loro sorelle e a motivo di questo li trattano diversamente, perché sono convinti di incontrare dappertutto il Signore. Ricordarsi dell’eucaristia nel bel mezzo dei conflitti quotidiani può farci intuire che, in tutti, esiste un nucleo positivo. Credere alla presenza di Cristo nell’altro aiuta a credere all’esistenza del bene nell’altro e alla possibilità di far venire alla luce questo bene.

Per altri è importante pensare che l’altare su cui si compie la loro offerta personale è la loro vita di tutti i giorni. Ciò che essi hanno celebrato in chiesa sull’altare  –  il sacrificio di Gesù per loro e la loro personale offerta a Dio  –  essi lo concretizzano nella fedeltà con cui adempiono ai loro doveri quotidiani, con cui esercitano la loro professione e servono le persone di cui si sono assunti la responsabilità, in famiglia, sul lavoro o nella comunità.

Il loro lavoro è dunque una specie di culto divino, un prolungamento dell’eucaristia. Chi prende sul serio l’eucaristia vedrà in modo diverso anche la commensalità, perché in ogni ritrovarsi a tavola affiora qualcosa del mistero dell’eucaristia. Tutto quello che mangiamo è un dono che Dio ci fa e che è permeato del suo Spirito e del suo amore: perciò è bene prendere i pasti con consapevolezza. Ogni pasto è, in fin dei conti, la celebrazione dell’amore di Dio: egli provvede per noi e ci ama.

In mezzo a tutti questi aiuti per ricordarsi dell’eucaristia, l’importante è che essa non resti confinata nella breve celebrazione, ma che faccia sentire tutto il suo effetto sulla nostra vita, che trasformi tutto in noi e attorno a noi.

Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e si effettua l’opera della nostra redenzione. Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della Chiesa ha continuamente ribadito con gioiosa gratitudine per l’inestimabile dono.Mistero grande, Mistero di misericordia. Che cosa Gesù poteva fare di più per noi? Davvero, nell’Eucaristia, ci mostra un amore che va fino «all’estremo», un amore che non conosce misura.

L’efficacia salvifica del sacrificio si realizza in pienezza quando ci si comunica ricevendo il corpo e il sangue del Signore. Il Sacrificio eucaristico è di per sé orientato all’unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la comunione: riceviamo Lui stesso che si è offerto per noi, il suo corpo che Egli ha consegnato per noi sulla Croce, il suo sangue che ha « versato per molti, in remissione dei peccati ». Ricordiamo le sue parole: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me». È Gesù stesso a rassicurarci che una tale unione, da Lui asserita in analogia a quella della vita trinitaria, si realizza veramente. L’Eucaristia è vero banchetto, in cui Cristo si offre come nutrimento. Quando, per la prima volta, Gesù annuncia questo cibo, gli ascoltatori rimangono stupiti e disorientati, costringendo il Maestro a sottolineare la verità oggettiva delle sue parole: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita».

Non si tratta di un alimento metaforico: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda».

Noi celebriamo l’Eucaristia nella consapevolezza che il suo prezzo fu la morte del Figlio – il sacrificio della sua vita, che in essa resta presente. Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice, noi annunciamo la morte del Signore finché Egli venga, dice san Paolo. Ma sappiamo anche che da questa morte scaturisce la vita, perché Gesù l’ha trasformata in un gesto oblativo, in un atto di amore, mutandola così nel profondo: l’amore ha vinto la morte. Nella santa Eucaristia Egli dalla croce ci attira tutti a sé e ci fa diventare tralci della vite che è Egli stesso. Se rimaniamo uniti a Lui, allora porteremo frutto anche noi, allora anche da noi non verrà più l’aceto dell’autosufficienza, della scontentezza di Dio e della sua creazione, ma il vino buono della gioia in Dio e dell’amore verso il prossimo.

Don Giuseppe

Adorazione comunitaria e recita del rosario eucaristico

oggi dalle ore 17 alle ore 18

L’intimità divina con il Cristo, nel silenzio della contemplazione, non ci allontana dai nostri  contemporanei, ma, al contrario, ci rende attenti e aperti alle gioie e agli affanni degli uomini e allarga il cuore alle dimensioni del mondo.

Essa ci rende solidali verso i nostri fratelli in umanità, in particolare verso i più piccoli, che sono i prediletti del Signore. Attraverso l’adorazione, il cristiano contribuisce misteriosamente alla trasformazione radicale del mondo e alla diffusione del Vangelo. Ogni persona che prega il Salvatore trascina dietro di sé il mondo intero e lo eleva a Dio. Coloro che s’incontrano con il Signore svolgono dunque un eminente servizio; essi presentano a Cristo tutti coloro che non Lo conoscono o che sono lontani da Lui;

essi vegliano dinanzi a Lui, in loro nome. I fedeli, quando adorano Cristo presente nel Santissimo Sacramento, devono ricordarsi che questa presenza deriva dal Sacrificio e tende alla comunione sia sacramentale che spirituale.

Esorto, chi ne ha la possibilità, in preparazione alla Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, a vivere insieme una tre giorni di preparazione con l’adorazione Eucaristica comunitaria, poiché noi siamo tutti chiamati a rimanere in modo permanente in presenza di Dio, grazie a Colui che resterà con noi fino alla fine dei tempi.

La potenza del pane

Può essere bello, ma non è certo facile farsi pane. Significa che non puoi più vivere per te, ma per gli altri. Significa che devi essere disponibile, a tempo pieno. Significa che devi avere pazienza e mitezza, come il pane che si lascia impastare, cuocere e spezzare. Significa che devi essere umile, come il pane, che non figura nella lista delle specialità; ma è sempre lì per accompagnare. Significa che devi coltivare la tenerezza e la bontà, perché così è il pane, tenero e buono.