Gareggiate nello stimarvi a vicenda

In questo periodo della Pandemia ci stiamo accorgendo quanto diventa urgente ricostruire il tessuto
delle relazioni, che ritengo siano state rovinosamente provate.
Dobbiamo investire in questa direzione perché la vita divina è vita di relazione, e noi che abbiamo un buon rapporto con Dio e siamo partecipi della sua vita dobbiamo tendere a costruire relazioni capaci di generare comunione.
Al contrario, chi rimane indolentemente succube delle divisioni e delle contrapposizioni o perfino le alimenta, non solo evidenzia palesemente di vivere fuori dalla vita trinitaria ma si configurerebbe come un solerte collaboratore di satana, l’ispiratore di tutto ciò che ostacola rapporti di unità e di comunione, da cui scaturisce la morte.      

Senza volermi vestire dell’abito dell’esegeta, la stima a cui Paolo fa riferimento non credo si concluda nell’ammirazione umana, pur non escludendola. Non possiamo certo dire che san Francesco davanti al lebbroso abbia avuto un impeto di ammirazione: tutt’altro. Eppure egli stesso riconosce che la sua conversione è diventata vera solo nel momento in cui ha capito che quel lebbroso era degno di essere amato e che senza un rapporto positivo con quel lebbroso il suo amore non sarebbe stato mai vero.
Perciò, quando parla di stima a me pare che l’apostolo voglia alludere ad un processo, ben più profondo e laborioso, di spiritualità delle relazioni, che nascendo dal Vangelo si possono così caratterizzare come totalmente nuove. Infatti, quando noi ci poniamo di fronte ad un’altra persona, chiunque essa sia, forse che non scatta naturalmente in noi un meccanismo, che in sostanza si risolve in una sorta di giudizio, che è poi  ciò che ci determina nella volontà di costruire o meno un rapporto con quella persona? In altri termini, il primo impulso nell’incontrare l’altro è quello di giudicarlo. E se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo riconoscere che spesso il giudizio si risolve in una condanna, sia pure non manifestata: vale a dire che noi siamo inclini a cogliere dell’altro soprattutto i difetti e ciò che non corrisponde ai nostri schemi e alle nostre attese. Ma se rimaniamo prigionieri di questo meccanismo, quando mai riusciremo a costruire con gli altri rapporti positivi, liberi e liberanti? E’ proprio in questo che la parola di Dio ci domanda di diventare veramente nuovi, raddrizzando con la virtù la nostra natura distorta dal peccato. La stima come modalità nuova di approccio all’altro nasce dal convincimento, dettato dalla fede, che anche nella persona più degradata Dio ha lasciato una traccia indelebile di sé; anzi di più: in ogni persona che incrocia il mio cammino Dio ha posto per me un dono assolutamente unico ed originale. Cercare questa traccia/dono, riconoscerla, farla emergere significa trovare una base solida su cui costruire una relazione veramente positiva con l’altro, il quale vale proprio per la ricchezza di quel dono che porta in sé, che non può in alcun modo essere scalfita dalle tante miserie che possono aver inondato la sua esistenza.