Gli storici dicono che la festa dell’Esaltazione delle Croce abbia avuto origine a Gerusalemme dove esistevano due basiliche costruite al tempo e per opera di Costantino. La ricorrenza della loro dedicazione era ogni anno celebrata con grande solennità; vi convenivano da ogni parte vescovi, ecclesiastici, monaci e fedeli, molti dei quali pellegrini. In tale occasione si facevano venerare le reliquie della croce del Signore. Nell’anno 335 a Gerusalemme l’imperatore Costantino, assieme alla madre Elena, fece consacrare la grande Basilica della Resurrezione, divenuta, col tempo, la Basilica del Santo Sepolcro, ancor oggi, meta di pellegrinaggi. La Basilica include, al suo interno, la piccola altura del Calvario e il Sepolcro del Redentore. Qui si venera il legno ritenuto della croce di Gesù. Per i cristiani orientali la solennità della Esaltazione della Croce è paragonabile a quella della Pasqua.
Nei due termini della Festa di oggi – Esaltazione della Croce – c’è tutto il paradosso cristiano in quanto essi sembrano uno la negazione dell’altro. Infatti, che senso può avere celebrare una festa chiamata “Esaltazione della Croce” in una società che cerca appassionatamente ogni genere di “confort”, la comodità e il massimo benessere? Più di una persona si chiederà come sia possibile ancora esaltare la croce. Dobbiamo continuare ad alimentare un cristianesimo centrato sull’agonia del Calvario e nelle piaghe del Crocifisso? Sono interrogativi molto ragionevoli che hanno bisogno di una risposta chiarificatrice. La croce è simbolo di sofferenza atroce, «il supplizio più terribile e più infamante» (Cicerone, In Verrem II) riservato dai romani agli schiavi. Al contrario nel Prefazio la Chiesa canta: «Nell’albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, [il Maligno, autore della morte] dall’albero venisse sconfitto». Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventò per i cristiani la gloria e san Paolo non volle che gloriarsi «se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati» (Antifona d’ingresso della Messa).
Esaltare la Santa Croce significa richiamare insieme i due volti della redenzione compiuta da Cristo Gesù il Figlio di Dio: la morte e la risurrezione. E se le celebrazioni pasquali li presentano in due momenti distinti, la morte in croce nel venerdì santo, e la risurrezione nella domenica di Pasqua, essi costituiscono un unico mistero. Due volti dunque dello stesso mistero pasquale che i primi cristiani avevano ben compreso raffigurando non il Crocifisso ma la sola croce d’oro e impreziosita da gemme. La Croce esaltata in quanto strumento e segno di salvezza e dell’amore più grande. La festa della Esaltazione della Santa Croce, infatti, non intende celebrare il legno dalla croce, ma il mistero d’amore che su di essa si è compiuto. Nell’Innocente Crocifisso la croce da strumento di condanna diventa strumento di salvezza in forza del dono di sé. L’atto d’infinito amore compiuto da Gesù in croce è diventato l’unico atto di amore dell’umanità redenta. «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
