L’unzione degli infermi

L’Unzione degli Infermi è il sacramento del conforto: un sacramento per la guarigione fisica e spirituale, perciò è sia un sacramento gioioso che penitenziale e ottiene il perdono dei peccati. La Chiesa ha riscoperto questo sacramento come sostegno indispensabile nei momenti di difficoltà o di prova nel cammino della vita.
Si celebra tutte le volte che si ha un problema serio di salute fisica, o quando si affronta un’operazione importante, o quando si ha bisogno di un intenso conforto spirituale.
Si può anche celebrare più volte. È un sacramento che va ricevuto quando si è consapevoli e non è assolutamente solo il sacramento dei moribondi, anche se nel momento dell’agonia è il modo più umile e confortante di accompagnare con fede e attraverso la preghiera il passaggio attraverso la morte.
Nella nostra parrocchia, l’Unzione degli Infermi viene celebrata quest’anno, in forma comunitaria, l’11 febbraio, durante la messa della Memoria della B. V. di Lourdes e Giornata Mondiale del Malato

I segni di Lourdes: la roccia, l’acqua, la luce e il vento

L’11 febbraio del 1858, Bernadette Soubirous, mentre si accingeva ad oltrepassare il Fiume Gave, fu scossa da un improvviso soffio di vento, vide l’agitarsi d’un roseto selvatico nel cavo della roccia e subito il sorriso d’una meravigliosa giovinetta vestita di bianco, che l’invitava a recitare il Rosario, e, al termine di quella apparizione le fu più facile passare a piedi nudi le fredde acque del Gave per tornare a casa.
A Lourdes, oggi, in quella grotta, il pellegrino contempla in Maria come in un’immagine  purissima, ciò che egli stesso desidera, spera e prega di essere; riconosce più prontamente la missione di Maria nel mistero del Cristo e della Chiesa, e sente più intensamente il legame che l’unisce agli altri fratelli, particolarmente ai poveri, ai deboli, agli ammalati; avverte chiaramente che la sua devozione a Maria, per essere sincera, deve tradursi in amore alla Chiesa e viceversa.
A Lourdes Maria comunica il suo messaggio con quattro segni particolarmente importanti nella manifestazione della vita cristiana e che il pellegrino comprende facilmente: la roccia, l’acqua, la luce e il vento.
Una delle scene lourdiane più suggestive è quella dei pellegrini che sfilano in rigoroso silenzio a baciare la roccia che racchiude, come in uno scrigno prezioso, la grotta delle apparizioni e la statua dell’Immacolata: ciò vuol dire che Maria educa i suoi pellegrini ad accettare con fede e con fiducia l’azione sovranamente libera di DIO.
Quello dell’acqua è il segno tipico di Lourdes. Nell’apparizione del 25 febbraio l’Immacolata chiese a Bernadette di bere e di lavarsi. Prontamente la fanciulla si avviò verso il Gave, perché nella grotta non vi era acqua, ma la Madonna fece segno di entrare nella grotta. Bernadette scavò con le sue piccole mani, ma non uscì altro che un filo d’acqua melmosa, che la ragazza riuscì a bere solo dopo il quarto tentativo. Si cominciò a capire, che la Vergine chiedeva la preghiera per i peccatori e la loro conversione e la fedeltà alla vita nuova, che scaturisce dalle acque purificatrici e sanificatrici del Battesimo. Quell’acqua guarì i primi ammalati ed ancor oggi compie miracoli per volere della Vergine.
A Lourdes, il pellegrino partecipa alla processione aux flambeaux; quando egli accende il cero votivo innanzi alla Madonna, questo è il segno che gli ricorda il dono del Battesimo come una vera illuminazione, che ha fatto cadere su di lui il raggio vivificante della Verità divina, che l’ha fatto idoneo a camminare come figlio della luce verso la visione di Dio, fonte d’eterna beatitudine.
Il vento rappresenta il segno dello Spirito Santo. Mossa dallo Spirito e confortata dalla presenza di Maria, Bernadette visse il messaggio di Lourdes: povertà lieta, preghiera e penitenza per i peccatori, presenza di Maria, sofferenza fisica e morale, felicità e fiducia nelle promesse dell’Immacolata, carità infinita e divenne santa. Sicché possiamo senz’altro dire che da Lourdes Maria continua ad essere segno ai figli del suo amore, indicandoci il cammino del bene.

Il racconto delle prime apparizioni

Quella mattina dell’11 febbraio 1858 era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo.
In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese.
Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era “la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume.
Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell’acqua fredda.
Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d’asma, portava le calze.
Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume.
Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento.
Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.
La Signora aveva l’aspetto di una giovane di sedici o diciassette anni. Vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l’abito, portava sulla testa un velo bianco che lasciava intravedere appena i capelli ricadendo all’indietro fino all’altezza della fascia. Dal braccio le pendeva un grande rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d’oro, mentre sui piedi nudi brillavano due rose, anch’esse di un oro lucente. Istintivamente, Bernadette s’inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario.
La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. Tre giorni dopo, il 14 Febbraio, Bernadette – che ha subito raccontato alla sorella e all’amica quanto le è accaduto, riferendo della cosa anche in casa – si sente chiamata interiormente verso la grotta di Massabielle, munita questa volta di una bottiglietta di acqua benedetta che getta prontamente sulla S. Vergine durante la nuova apparizione, perché, così le è stato detto, su queste cose non si sa mai e potrebbe anche essere il diavolo a farle un tiro mancino… La Vergine sorride al gesto di Bernadette e non dice nulla. Il 18 febbraio, finalmente, la Signora parla. “Non vi prometto di farvi felice in questo mondo – le dice – , ma nell’altro. Volete farmi la cortesia di venire qui per quindici giorni?”. La Signora, quindi, confida a Bernadette tre segreti che la giovane deve tenere per sé e non rivelare mai a nessuno.

Nostra Signora di Lourdes

La grotta in mezzo ai Pirenei francesi evoca le apparizioni mariane più famose della storia, riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Avvennero nel 1858 ed ebbero come protagonista una ragazza di quattordici anni, Bernadette Soubirous.
La Vergine le apparve per ben diciotto volte in una grotta, lungo il fiume Gave.
Le parlò nel dialetto locale, le indicò il punto in cui scavare con le mani per trovare quella che si rivelerà una sorgente d’acqua, al contatto con la quale sarebbero scaturiti molti miracoli. Tutto ebbe inizio giovedì, 11 febbraio 1858, quando Bernadette si recò a raccogliere legna secca nel greto del fiume Gave, insieme ad una sorella e ad una loro amica. Un rumore che proveniva dal cespuglio che si trovava nella grotta attirò la ragazzina alla quale apparve la Vergine presentandosi come Immacolata concezione e confermando quindi  il dogma del concepimento immacolato di Maria promulgato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854, quattro anni prima.

Sant’Agata co-patrona della nostra Parrocchia

Nella Passione di Sant’Agata troviamo lo sguardo di un uomo, Quinziano, che nella giovane vede solo un corpo da possedere; lo sguardo d’un uomo incapace a saper vedere la dignità di una giovane donna. Infatti la fa arrestare e consegnare ad una tale compiacente Afrodisia la quale, però, gli riferisce: ‘È più facile rammollire i sassi e rendere il ferro duttile come il piombo che distogliere l’animo di questa fanciulla dall’idea cristiana. Le ho perfino offerto gemme ed ornamenti rari, vestiti tessuti d’oro, le ho promesso palazzi e ville, le ho messo dinanzi mobili preziosi e schiavi d’ogni sesso ed età. Ma, come terra che calpesta coi piedi, ella invece tutto disprezza’.
Allora lui, furioso, comanda che sia torturata. Anche nel nostro tempo vivono ancora troppi Quinziano. È Quinziano chi in una donna vede solo un corpo da possedere; chiunque pensa di esserne proprietario, non sa vederne e rispettarne la dignità, pretende di barattarla con oro ed altre cose, non sa difenderne con coraggio e forza la dignità, organizza luoghi e condizioni in cui la donna è oggetto di piacere, usa metodi e occasioni di scambio, mezzi illeciti, o anche apparentemente leciti, e causa sofferenza.

E questa martire cosa può dire oggi alle donne di ogni età? Ci consegna la coscienza che Agata ha della sua dignità di donna e di cristiana che sa resistere alle molteplici e allettanti opportunità che le vengono offerte, e per nessuna cosa al mondo intende rinunziarvi.
Perfino Afrodisia l’aveva capito: è Agata ogni ragazza che sa disprezzare le cose per apprezzare la propria dignità, sa rispettare se stessa, sa resistere alla voglia di possedere e svendersi, sa rispettare il proprio corpo e i tempi della propria crescita; ogni donna martire, cioè testimone della libertà e della verità; ogni donna che ha pure il coraggio di difendere un’altra donna; ogni donna cristiana che sa vivere guidata dal Vangelo di Gesù, sa denunziare la prevaricazione, la menzogna e la violenza, che sa opporsi ai Quinziano del nostro tempo.

Sant’Agata co-patrona, aiuta i giovani, tutti gli uomini, a scoprire la bellezza e la grandezza della dignità di uomini rispettosi della dignità delle donne. Sant’Agata, aiuta le ragazze, le donne, a saper essere rispettose della loro nobiltà femminile. Tu hai provato a farlo capire a Quinziano: continua a farlo capire agli uomini del nostro tempo, perché comprendano cosa significa essere uomini. Tu che hai difeso, a costo della vita, la tua dignità di donna e di cristiana, continua ad insegnare cosa significa essere donna, quale sia la vera libertà e la ricchezza della dignità alle donne del nostro tempo. La festa non ci fa celebrare un femminicidio: è invece memoria, da mantenere sempre viva, dell’esemplarità di vita cristiana, di forma sublime della dignità della giovane catanese Agata, come lei stessa confermò a Quinziano: ‘Io professo Cristo con le labbra e con il cuore, non cesso giammai di invocarlo”.

La morte non è mai un soluzione, la vita è esperienza di libertà (3)

Per scandire la nostra vita il Signore ci ha dato la notte e il giorno.
«Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia».
E ogni nuovo giorno ci ricorda che dobbiamo proseguire i lavori interrotti e rinnovare i progetti e le speranze. Ogni giorno comincia, in un certo modo, con una nascita e finisce con una morte; ogni giornata è come una vita in miniatura. Alla fine il nostro passaggio nel mondo sarà stato santo e gradito a Dio se avremo fatto in modo che ogni giornata piacesse a Dio, dall’alba al tramonto.
«Il giorno al giorno ne affida il messaggio»; il giorno di ieri sussurra all’oggi, e suggerisce da parte del Signore: «Comincia bene. Comportati bene “adesso”, senza ricordarti di “ieri” che è già passato, e senza preoccuparti di “domani”, che non sai se per te arriverà».
Viviamo ogni giornata come se fosse l’unica che abbiamo da offrire a Dio, cercando di fare bene le cose, e riportando a Dio, con la contrizione, quelle che abbiamo fatto male.
Un giorno sarà l’ultimo, e anch’esso l’avremo dedicato a nostro Padre. Allora, se avremo vissuto offrendo a Dio la nostra vita e rinnovando l’offerta di giorno in giorno, udiremo Gesù dirci, come ha detto al buon ladrone: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso»

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La morte non è mai un soluzione, la vita è esperienza di libertà (2)

I Vescovi ci invitano a chiederci se questa scelta di “dare la morte funziona davvero?” o piuttosto non generi ferite nuove, più profonde, che ci lasciano più soli.
Come rilanciare allora una cultura della vita? Con parole buone che nel tentativo di annunciare un vangelo non tradiscano il desiderio di immettere speranza lì dove il dolore, lo sconforto, la solitudine sembrano solo invocare la fine. È un invito per tutta la comunità parrocchiale a vivere questa giornata come momento di preghiera, di riflessione per diffondere semi di speranza e di nuova operosità, per favorire nelle nostre case, nelle nostre famiglie la libertà vera.
Osiamo sperare che la Giornata Nazionale per la Vita divenga sempre più occasione per spalancare le porte a nuove forme di fraternità solidale, seme di vita.

La morte non è mai un soluzione, la vita è esperienza di libertà (1)

“La morte non è mai una soluzione” è il titolo del Messaggio che il Consiglio Permanente della CEI ci affida per la 45° Giornata Nazionale per la vita del prossimo 5 febbraio 2023.
Il brano biblico che ha ispirato i Vescovi nella loro riflessione per questa giornata è tratto dal Libro della Sapienza: “Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte”.
La Parola di Dio ci apre ad uno sguardo contemplativo sulla realtà. Ci invita a cogliere le tracce del creatore, a cogliere in essa quella cifra d’infinito, che è l’impronta digitale di Dio. Questo senza scadere nel naturalismo o nel panteismo, ma semplicemente lasciandoci toccare dalla vita che ci circonda e che è un continuo appello.
L’invito a coltivare questo sguardo sembra essere l’antidoto alla cultura di morte da cui ci mettono in guardia i nostri pastori: “In questo nostro tempo, quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una soluzione drammatica: dare la morte”.

Presentazione di Gesù al tempio

Secondo le prescrizioni dell’Antico Testamento, riguardo alla purezza cultuale (Lv 12,1-8), una donna era impura dopo il parto di un bambino per quaranta giorni e doveva offrire al tempio, come sacrificio di espiazione, un agnello e una giovane colomba; se era povera, due giovani colombe. Anche Gesù fu presentato da Maria e Giuseppe al tempio per essere riscattato, per la cerimonia di purificazione: a Dio, da cui proviene ogni cosa, si doveva ogni primizia, tra cui il primo figlio maschio. Simeone è il vero israelita, giusto e pio, guidato dallo Spirito (come i profeti), in attesa del Messia. Anna è l’anziana profetessa che dedica la sua vedovanza al Signore (vero sposo), servendolo con digiuni e preghiere, notte e giorno. Ogni giorno i due anziani accolgono bambini diversi, per compiere il rito. Quando si presentano davanti a loro i genitori di Gesù, vedono nel loro Bambino il Signore annunciato per secoli, la “luce per illuminare le genti”.

I miei occhi hanno visto la tua salvezza
Anna era rimasta vedova molto giovane. Simeone per una vita intera aspettava la consolazione di Israele, dopo averne condiviso il dolore e la desolazione. I loro occhi sarebbero potuti essere oscurati da sofferenza, solitudine, rassegnazione, stanchezza. Avrebbero potuto rivolgersi altrove, si sarebbero potuti spegnere, limitandosi a vedere solo da vicino. Invece, Simeone e Anna hanno saputo attendere per una vita intera. Nel racconto del Vangelo di Luca il cantico di Simeone sprigiona un rigurgito di luce dalla profonda umanità di un uomo che viene dato per molto anziano, ma che ha l’occhio vivo perché si è lasciato attrarre. Nel tempio c’erano ogni giorno tante persone e dottori della Legge, che si avvicendavano tra preghiere e liturgie. Eppure, solo Simeone e Anna hanno avuto lo sguardo capace di vedere oltre, non accecato dall’abitudine e dall’indifferenza, occhi che non smettono di cercare e di sognare.

La luce del mondo
Nello stesso giorno in cui si celebra la festa della Presentazione al tempio, dal quarto secolo si festeggia la Candelora. La processione, che la liturgia di questo giorno si manifesta con le candele accese, ricorda proprio le parole con cui Simeone indica il Messia: “luce per illuminare le nazioni”. La parola greca suggerisce lo staccare un velo che nasconde la luce.
L’uomo, rivolgendosi direttamente a Maria, svela l’accoglienza che sarà fatta al Signore: è destinato ad essere occasione di caduta e di rialzo in Israele, si sarà per lui o contro di lui; sarà accettato dagli uni e rigettato dagli altri. Anna venne presso la santa famiglia, e come Simeone, come se avesse udito le sue parole, si mise a lodare Dio e a parlare del bambino a tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme.

Pregare per la vita consacrata nel giorno della Candelora
Simeone e Anna sono persone dell’incontro, della profezia, della fraternità, del servizio.
Sono coloro che accolgono tra le loro braccia, con intimità e affetto, il Signore e benedicono Dio lasciando che parli per mezzo loro e della loro vita. Nell’intenzione di accostare la Giornata per la Vita consacrata alla festa della Presentazione di Gesù al tempio, si può scorgere l’attesa di lasciarsi avvolgere dalla luce nuova che prepara alla Pasqua, nel riconoscimento delle meraviglie operate da Dio. Suggerisce l’atteggiamento di vigilanza, del mantenere la luce accesa e far vedere che esiste la possibilità, sempre. Essere noi stessi luce, fiaccole nel quotidiano agire.
Ciò che è chiamato a fare il consacrato e la consacrata, ma in fondo, ciascuno di noi, che è sacro agli occhi di Dio. I ceri accesi sono il segno della bellezza e del valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la vergine, la consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato.

Giovedì eucaristico

L’adorazione è una sosta per ricevere e donare amore a Dio.
È uno stare vicino a Lui, pregando o semplicemente anche stando in silenzio.
Dio accetta tutto, anche il nostro silenzio, perché Lui legge nel cuore di ognuno di noi.
E per questo motivo, l’adorazione eucaristica sta diventando per la nostra comunità parrocchiale è un momento importante nel cuore della settimana. Si guarda a quell’amore diventato pane.
Questo luogo di adorazione intensa deve contagiare tutti i luoghi della nostra vita facendo diventare il nostro stesso cuore un santuario di adorazione.