La prima cosa che notiamo alla lettura del brano evangelico è l’iniziativa di Gesù. Il Maestro, infatti, non consulta l’uomo, non solo non chiede se vuole essere guarito, dal momento che, cieco dalla nascita, non può sapere cosa sia la luce e neppure desiderarla. Questo sottolinea quanto la salvezza sia dono totalmente gratuito di Dio per l’uomo. Difatti, non richiesta e neppure voluta, la guarigione è il segno di quanto Cristo abbia a cuore il nostro bene, di come si preoccupi delle situazioni problematiche che viviamo. Gesù non può attendere che il cieco formuli la sua richiesta perché si è ormai abituato alla sua situazione di infermità e neppure si pone il problema che ci possa essere per lui una possibilità di guarigione. Il primato quindi è della grazia, dell’amore di Cristo che rompe il grigiore di una vita senza speranza e rimette in circolo una gioia mai pensata come possibilità attuabile. Ecco il Dio che fa cose stupende, che compie meraviglie nelle situazioni limite dove l’uomo non ha più nulla da sperare ed attendere. Da questo impariamo che per il cristiano non esiste e non può esistere la rassegnazione perché il discepolo di Gesù è l’uomo della consegna e dell’abbandono, non della rassegnazione, che non è mai la resa incondizionata che l’amore genera, ma il desiderio fallito di avere la meglio.
Dio è onnipotente nel suo amore, la sua parola può ricreare, la sua mano riplasmare.
Da questo nasce e rinasce la speranza e la gioia del discepolo.
