La fraternità e l’ingombro

Il termine “fraternità” mi fa venire in mente un libro il cui autore era il noto consigliere politico di François Mitterrand,  Jacques Attali. Libro pieno di intuizioni e di spunti originali e stimolanti. Ragionando sulle caratteristiche della rete (eravamo nel 1999 e non c’erano ancora né Facebook, né Twitter e tanto meno Instagram), Attali arrivava ad affermare che la vera ricchezza del futuro sarebbe stata la ricchezza dei legami. «In passato essere poveri era non avere, in futuro sarà non appartenere.

Per soccorrere il debole bisognerà, di conseguenza, collegarlo a delle reti». Le affermazioni di Attali riguardavano il mondo spettacolare della rete che si è ulteriormente ingigantito negli anni più vicini a noi. Quel mondo trova la sua ricchezza nell’aprirsi, non nel chiudersi. L’unico vero pericolo, per la rete, è di non poter comunicare: «Il peggior nemico della fraternità è l’ingombro», diceva Attali: l’ingombro impedirebbe, appunto, di collegarsi e di comunicare. Quell’immagine di un mondo che si arricchisce solo aprendosi, che muore chiudendosi, è un’immagine stimolante per la comunità cristiana. Più la comunità cristiana è preoccupata di salvaguardare la propria identità “all’interno”, più fatica ad aprirsi. È vero che “siamo tutti fratelli” ma ad una semplice condizione: che quella fraternità ecclesiale non sia la versione ecclesiale della maternità fusionale di Eva, che quindi sia davvero, e totalmente, priva di ingombri.